Oggi ci sono molti modi, per un osservatore, di accostarsi ai fatti di Firenze. Ma l’unico, sappiamo, dovrebbe essere quello che è già escluso. Il silenzio. Il solo che può consentire lo spazio mentale; la distanza; lo studio concentrato, ma controllato, delle pieghe del fatto. Poiché, però, il processo penale in Italia non c’è più, atti, e indiscrezioni, e valutazioni sugli uni e sulle altre, hanno già animato il suo consueto succedaneo.
Osserviamo il succedaneo. Cominciamo dalla sentenza. Ne abbiamo già una, infatti. L’ha emessa il generale Tullio Del Sette, comandante generale dell’Arma: “È un grande dolore vedere come basti il comportamento indegno, illegittimo e immorale di un qualche carabiniere, per oscurare il lavoro che compiono giorno e notte centomila uomini. È imperdonabile, anzitutto per noi, il grave danno che stanno facendo all’Arma. Questi fatti ci feriscono nel prestigio, gravemente”.
E’ una sentenza spiritualmente militare. Che equipara ogni infedeltà ai doveri della divisa, senza graduare. Dallo stupro all’infrazione disciplinare, pur grave, non passerebbe alcuna distinzione. E’ un pensiero che si può capire; la dichiarazione, molto meno. Il prestigio dell’Arma, specie in sede formale (e le esternazioni, nella qualità di, sono sempre formali) è tutelato dall’uniforme rispetto delle norme costituzionali. Di tutte.
Visto che si tratta di processo-succedaneo, proseguiamo pure a ritroso. Attestiamoci ora su un momento logico anteriore alla sentenza; con il Sottosegretario Maria Elena Boschi: “Le indagini sono ancora in corso e quindi non possiamo emettere noi delle sentenze. E’ però altrettanto vero che se venisse confermata la tesi delle ragazze americane, si tratterebbe di un fatto gravissimo e ignobile” .
Ma una proposizione logica, conseguente alla frase, “Le indagini sono ancora in corso e quindi non possiamo emettere noi delle sentenze”, avrebbe potuto essere anche: “E’ però altrettanto vero, che se NON venisse confermata la tesi delle ragazze americane, si tratterebbe di un fatto gravissimo e ignobile”. Giacché, accusare infondatamente, questo è. Dato che si afferma di credere che le ipotesi sono ancora tali. Perché allora, di due proposizioni, entrambe ugualmente ammissibili sotto il profilo logico, si è scelta la prima, quella che già prefigura una condanna? Perché, si potrebbe rispondere, sembra quella più plausibile. Sembra. E va bene. Non ci crede, l’On. Boschi. Ma, dunque, a cosa è dovuta quella sua avvertenza, quella cautela? E’ più lineare il pensiero del Generale, in questo processo-succedaneo.
Analogamente, il Ministro della Difesa, Roberta Pinotti: ““Quanto successo a Firenze è di una gravità inaudita. Seguiamo il lavoro che sta facendo la magistratura, ma saremo ovviamente inflessibili”. Il “lavoro” della magistratura è in corso di svolgimento. Ma, secondo il Ministro, muove da un fatto che lei ha già qualificato “di una gravità inaudita”. E, di nuovo, va bene. E’ convinta così. Vuole forse dire che sta “seguendo” un “lavoro” puramente scenico, che è già acquisita la verità? Meglio, diciamo, ancora il Generale.
Il Sindaco di Firenze, Dario Nardella, ha già fatto sapere che il Comune si costituirà parte civile. E’ piuttosto loquace. Prima, dice: “”L’eventuale stato di ebbrezza, in cui potevano trovarsi le due ragazze che hanno denunciato di essere state violentate dai carabinieri, non può rappresentare nessuna attenuante a quanto sarebbe accaduto“. Poi, però, aggiunge: “E’ importante che gli studenti americani imparino, anche con l’aiuto delle università e delle nostre istituzioni, che Firenze non è la città dello sballo”. Imparino. Non suona molto bene. Specie dopo aver appena affermato, a margine di un’ipotesi di stupro, che “l’eventuale stato di ebbrezza”, o “sballo”, non potrebbe scusare. Non c’è dubbio. Perciò, risulta piuttosto confuso.
Uno dei due carabinieri ha riconosciuto la congiunzione carnale; ma nega che sia stata violenta. “Non sono un mostro, so di aver fatto una cosa inqualificabile, ma lei era consenziente. Mi sono fatto trascinare in questa situazione, non so neanche io perché, ma sono state loro a invitarci a salire a casa”. L’altro, per ora, tace.
Sembra, tuttavia, che le due ragazze avessero assunto alcool e, pare, anche stupefacenti. Se i loro effetti risultassero così intensi da aver anche solo affievolito, pur senza escluderla, la capacità di autodeterminazione, si tratterebbe comunque di una congiunzione abusiva. Giuridicamente, parallela a quella violenta. Ma, se si fosse trattato solo di un’alterazione del tono dell’umore, e non di una menomazione della capacità di discernimento, le cose potrebbero risultare più complesse. Bisognerebbe accertarlo. Bisognerebbe che ci fosse un processo. Non un succedaneo.
Certo, rimarrebbe in ogni caso l’affidamento sulla divisa, l’uso improprio di beni di servizio, la dignità del Corpo menomata. Condotte, però, che non sarebbero uno stupro. Materia da licenziamento; non da galera. Sembra. Pare. Nessuno lo sa, con la dovuta certezza. Lo si saprà: si può sperare. Ma, ora, non si sa.
Questa breve rassegna ci ha mostrato istituzioni di varia specie: ma tutte accomunate da una grossolana disattenzione verso le necessità del giudizio.
Uno stupro, la sola sua ipotesi, non è materia per dichiarazioni. Richiede giudici. Cioè, uno sguardo attentissimo, un animo aperto ad ascoltare il dolore, come a scorgere l’equivoco; ad interrogarsi sulle mille possibili derivazioni di quello da questo. E poi, solo allora, disposto a concludere, a chiarirsi. A chiarire. Richiede intimo raccoglimento, rispettoso silenzio.
Magari, un’altra volta.