Dopo la Giornata mondiale dell’Ambiente l’8 Giugno è stata celebrata la Giornata degli Oceani che sono essenziali per la vita del pianeta. A New York è stata organizzata la prima conferenza dedicata esclusivamente a questo tema. Il mare copre il 71% del nostro pianeta e fornisce circa il 50% dell’ossigeno che espiriamo, assorbendo il 26% dell’anidride carbonica generata dalle attività mane. Ma non basta, è fonte di cibo e sostanze nutritive ed è fondamentale nel controllo dell’equilibrio climatico. Tutti aspetti che rientrano negli obiettivi di sviluppo sostenibile, già approvati nel 2015 dall’Assemblea delle Nazioni Unite, (il numero 14 riguarda proprio la conservazione e l’utilizzo sostenibile degli oceani, dei mari e delle risorse marine). Eppure sembra che a nessuno interessi molto degli Oceani: l’80% dell’inquinamento marino è causato da ciò che avviene sulla terra ferma. Plastica (più volte abbiamo parlato degli ammassi di rifiuti di plastica negli oceani e nel Mediterraneo): 8 milioni di tonnellate all’anno di plastica e più di 51 trilioni di microscopiche particelle di plastica finiscono in mare minacciando l’ecosistema. A pagarne le conseguenze sono le specie marine (ogni anno sono causa di morte per 1 milione di uccelli, 100.000 mammiferi marini, tartarughe e innumerevoli pesci).
Ma anche in Italia si è parlato di ambiente. Dopo Taormina è il turno di Bologna ospitare i rappresentanti dei paesi del G7: presenti i ministri dell’ambiente di Italia, Gran Bretagna (che, viste le elezioni in corso, potrebbe mandare un alto funzionario del ministero), Germania (Barbara Hendricks), Giappone (Koichi Yamamoto), Francia (Nicolas Hulot), Usa (Scott Pruitt, che non è ministro ma direttore dell’EPA) e Canada (Catherine McKenna) oltre a Karmenu Vella e Miguel Arias Cañete, commissari Ambiente e Clima dell’Ue, e alcuni paesi “ospiti”.
Scarse, le speranze di convincere gli Usa ad un cambio di rotta dopo la conferenza stampa rilasciata dal presidente Trump nella quale ha dichiarato di voler abbandonare gli accordi di Parigi. “La comunità internazionale attende un nostro messaggio da questo G7” ha detto il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, aprendo i lavori seduto al tavolo adornato con un manto erboso.
Ennesima scenografia per distrarre l’attenzione sui numerosi problemi irrisolti. È lo stesso Galletti ad ammetterlo: “Un accordo completo tranne che sul clima”, “Credo che le posizioni espresse all’inizio rimarranno tali, su questo non ci sono dubbi, ma credo anche che un passo in avanti verso un dialogo l’abbiamo fatto”.
I ministri hanno discusso di temi come l’«attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibili e cambiamento climatico», gli «obiettivi di sviluppo sostenibile e cambiamento climatico: focus sull’Africa» e gli «obiettivi di sviluppo sostenibile e cambiamento climatico: focus sul ruolo delle Mdb, banche multilaterali di sviluppo». “L’Ambiente è parte integrante della politica economica. I Paesi che qui partecipano rappresentano oltre la metà del PIL mondiale e sono fra i maggiori esportatori” ha sottolineato Galletti.
Diversa l’opinione di Scott Pruitt, direttore dell’agenzia Usa per l’Ambiente Epa, che ha partecipato ai lavori per meno di mezza giornata (solo alla prima sessione di lavori, con argomento il clima, proprio il tema sul quale si registra la divergenza fra l’amministrazione Trump e gli altri governi del G7), per poi prendere il volo di ritorno negli Usa.
“Qui si tratta di continuare un percorso comune su tanti temi che non sono solo i cambiamenti climatici – ha ribadito il ministro Galletti – . Discutiamo di marine litter, di Africa, di finanza verde. Poi le posizioni su Parigi sono distanti, ma l’importante è non perdersi. In ambiente o si vince tutti insieme o si perde tutti”.
Il fatto è che di molti dei problemi di cui si è parlato oggi, si discute da oltre un trentennio: dal 1983 quando le Nazioni Unite istituirono una Commissione Internazionale per l’Ambiente e lo Sviluppo. Ci vollero ben quattro anni per completare i lavori: nel 1987, alle fine venne presentato un documento dal titolo “Our Common Future” (“Il futuro di noi tutti”) meglio noto come Rapporto Brundtland, dal nome della presidente, la primo ministro norvegese Gro Harem Brundtland dove gli esperti mondiali definirono “sviluppo sostenibile quello sviluppo che soddisfa i bisogni della generazione presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri”.
Con quel documento, la Commissione Brundtland indicò quali sarebbero stati i punti focali sui quali intervenire: risorse energetiche non rinnovabili, problemi legati all’inquinamento, il problema dell’alimentazione e della creazione di cibo a sufficienza per tutti gli abitanti del pianeta, i problemi legati all’erosione dei suoli, la scarsità di risorse naturali e di cibo legata al crescere dei costi, i problemi sociali legati alla famiglia, i cambiamenti negli stili di vita (anche in funzione dei consumi, la necessità di abbattere l’inquinamento. Interventi che avrebbero dovuto essere realizzati tempestivamente in modo da realizzare una “rivoluzione sostenibile” di lunga durata. Successivamente il rapporto fu aggiornato diverse volte: nel 1992 con l’aggiornamento Beyond the Limits (oltre i limiti), nel quale si sosteneva che erano già stati superati i limiti della “capacità di carico” del pianeta. E poi nel 2004 con il secondo aggiornamento, Limits to Growth: The 30-Year Update.
E oggi a trent’anni dalla prima pubblicazione e dalla definizione di “sviluppo sostenibile”, è evidente che quelle raccomandazioni non sono state ascoltate da nessuno: sulla Terra, non esiste un paese dove l’uomo vive “connesso con la natura” come dice il titolo della Giornata mondiale dell’Ambiente 2017 “Connecting people with nature”.
Eppure in questi decenni non sono mancati gli incontri, le riunioni, i meeting e le manifestazioni. Tutti immancabilmente conditi con cene di gala, eventi collaterali per i partecipanti e il loro (sempre più numeroso) seguito e strumenti di marketing da far invidia ad un esperto di comunicazione (dalla firma di ratifica del trattato di Parigi con i bambini in braccio durante la Giornata del Fanciullo ai monumenti illuminati di verde per la Giornata mondiale dell’Ambiente di un mese fa, dall’invasione di centinaia di panda di cartapesta del WWF per le strade di Bologna nei giorni scorsi al tavolo del G7 coperto di manto erboso).
Tutto bellissimo e molto “rappresentativo”. Salvo poi, a riflettori spenti, leggendo ciò che avevano previsto trent’anni fa gli esperti, scoprire che tutti questi incontri, queste celebrazioni non sono servite a niente. Se non a lasciare che la situazione diventasse “insostenibile”.