A Natale si ha bisogno di buone notizie. E’ il giorno opportuno per azzardare un’ipotesi: che il terrorismo islamista sia entrato nella fase di ripiegamento e di virulenza discendente. Paradossalmente, lo stesso attentato di Berlino, per le modalità con le quali si è svolto, e per l’epilogo italiano, spinge a questa conclusione.
Un movimento terrorista è forte e produttivo quando corrisponde ai seguenti parametri: ha il leader carismatico, il vertice ben strutturato e finanziariamente garantito, credibile ideologia di riferimento basata sul binomio giustezza e superiorità, uno o più “santuari” di autotutela e garanzia, acqua (sorta di consenso popolare generalizzato) nella quale possano nuotare i suoi pesci (i terroristi, esecutori materiali di assassinio e distruzione di beni), la speranza per quanto remota di vittoria. Elementi di questo tipo, per richiamare l’esempio storico a tutti noto, finché furono attivi, consentirono alle Brigate Rosse di prosperare, collezionando i cosiddetti “anni di piombo”. La loro decadenza generò il declino e la fine delle Br.
Nel caso del jihadismo contemporaneo, la morte di Osama Bin Laden non ha solo coinciso con la cessazione del carisma in Al Qaeda, rientrata nei ranghi delle centinaia di sigle delle quali pullula il firmamento della militanza armata islamista, ma con l’incapacità dell’insorgenza islamista a replicare una figura di eguale livello, capace di infiammare cuori e menti degli adepti.
In quanto all’organizzazione, l’avanzamento tecnologico, in specifico l’uso di droni e altri UCAV, Uninhabited (or unmanned) combat aerial vehicle, e l’intercettazione delle comunicazioni telefoniche ed elettroniche, ha aperto, in pochissimi anni, falle importanti negli assetti di vertice, e scombinato le linee di comunicazione tra comandi. Il progresso nell’Information technology, IT, è all’origine anche di successi rimarchevoli nella sterilizzazione delle fonti di finanziamento dell’insorgenza islamista, in particolare di quella proveniente da Arabia Saudita e Qatar. Qui hanno giocato anche pressioni politiche, ovviamente.
La partita maggiore contro il terrorismo jihadista si sta probabilmente giocando nel campo hearts and minds. Mascherato dal drappo verde dell’islam (nero, nella versione Daesh) l’insorgenza capitanata dalla miriade di predicatori, mullah, emiri e similcaliffi assetati di sangue cosiddetto “crociato”, si è rivelata, nel quarto di secolo che ci separa dai conflitti di Bosnia, Kosovo e Cecenia dove la presente ondata di radicalizzazione ha avuto inizio per responsabilità soprattutto russe, non esprimere comportamenti “religiosi” ma al contrario attuare strategie improntate a ferocia e antiumanismo.
Se quell’atteggiamento ha trovato attenzione e consenso negli ambiti di marginalità sociale e culturale degli ambiti di religione islamica, nei paesi arabi come in Europa, ha allontanato la ben più estesa umanità di religione islamica, pia e timorata di Dio che ai combattenti islamisti ha guardato con raccapriccio e rifiuto. Il grande popolo religioso dell’islam, una volta compresa la ferocia e disumanità del “suo” terrorismo, ha in più di un’occasione scisso legami di responsabilità con gli insorgenti, declinando la propria vita in termini di appartenenza alla legalità costituita, fedeltà alle leggi, rifiuto della violenza, pratica religiosa pia e misericordiosa.
L’abbattimento volontario e non dettato da esigenze belliche, di monumenti ed eredità culturali dell’umanità, intervenuto in Afghanistan, Siria, Iraq, ha certificato l’estrema ignoranza e barbarie dei combattenti, in particolare di fronte ai giovani “colti” di religione islamica, non animati da ideologie antioccidentali. La ferocia e la gratuità dei ripetuti assassini, stupri, schiavismi, hanno scandalizzato molti candidati, dai movimenti islamisti, all’arruolamento nelle loro fila. La causa propagandata come “giusta” veniva ad essere percepita come iniqua, antiumana, diabolica.
Il “crociato”, ovvero l’occidente, che nella propaganda islamista avrebbe dovuto personificare il “grande satana” distruttore dell’islam, intanto accoglieva in Italia e Grecia centinaia di migliaia di profughi dalle guerre africane e mediorientali, distribuiva aiuti umanitari e assistenza medica con le sue NGO, garantiva e anzi tutelava la libertà di esprimersi della religione musulmana nei paesi di accoglienza del cosiddetto occidente come in Germania Scandinavia Francia, mostrava che le leggi colpivano le manifestazioni della violenza non della fede religiosa.
Le masse degli emigrati dai paesi islamici, fuggiti anche dai ghetti originari politici sociali e religiosi, non si rendevano disponibili ad allearsi con il jihadismo. Poteva accadere che ragazzi non si sa se più idealisti o emarginati, rispondessero alla sirena dei reclutatori via web, non che ci fosse il sollevamento islamista da parte di emigrati e rifugiati. Si contano sulle dita gli agenti del terrorismo jihadista che hanno colpito in Europa. Questa è la verità, nonostante la propaganda coincidente dell’estrema destra nostrana e dei movimenti mortiferi islamisti.
Da un lato paesi arretrati, con regimi politici dittatoriali, spesso alle prese con guerre e conflitti armati interni. Dall’altro democrazie con benessere sociale ed economico, libertà garantite, possibilità di futuro. Rispetto alla cultura occidentale, non erano più garantite al terrorismo jihadista né la pretesa di stare nel giusto, né quella di dichiararsi superiore.
E’ da questa perdita di “verginità” che l’islam estremo sta derivando la perdita di “santuari” (territori e luoghi dove possa sentirsi al sicuro e protetto), e acqua dove far nuotare in tranquillità suoi sicari e agenti. Per quanto se ne sa al momento, il tunisino Anis Amri non ha trovato in Germania, né nei paesi europei che ha attraversato prima di venire a morire in Italia, un fienile nel quale nascondersi, una porta che gli si aprisse in segno di solidarietà e complicità. Ha finito i suoi giorni sparando ad un controllo di polizia, con indosso un doppio paio di pantaloni. La fine di un qualunque banditucolo che deve sopravvivere al gelo della notte milanese senza dare nell’occhio, sapendo di non avere nessun luogo dove qualcuno lo accolga. Finiscono così i loro giorni le bestie feroci braccate dai loro simili o dai cacciatori: hanno violato le leggi del branco e non hanno più né tana né protezione. Qualcosa del genere, con pochissime eccezioni, è capitato ad altri imbecilli di fede islamica che, prima di lui, sono andati in giro per l’Europa a stroncare la vita dei malcapitati di turno.
Nelle fila del terrorismo islamista, sta probabilmente scemando anche la speranza di vittoria. Le retrocessioni dei talebani in Afghanistan, la perdita di territorio in Siria Libia Iraq da parte di Daesh e apparentati, tolgono retroterra a chi, seguendo i proclami di quel movimento, vuole portare morte e distruzione in Europa.
Per cancellare definitivamente ogni barlume di questa sconsiderata fiducia nel futuro, occorre che le polizie europee collaborino strettamente, che condividano banche date e intelligence. Creare una grande area di libero movimento (benedetto sia Schengen!) e al contempo non istituire un grande corpo di polizia europea che operi di concerto almeno nelle grandi infrastrutture di comunicazione europea come aeroporti, autostrade, ferrovie, appare una contraddizione in termini da sanare.
***
Il terrorismo ha la natura di fenomeno transitorio, strumentale rispetto al raggiungimento dell’obiettivo politico. Difficile non trovare tecniche terroristiche nel percorso che conduce ogni vicenda di National building alla presa del potere.
Non tutti i terrorismi, però, riescono a costruire l’obiettivo rispetto al quale operano. L’ipotesi esposta è che il terrorismo di radice islamica appartenga ai gruppi destinati al fallimento. Affermazione che non cozza con la certezza che vi saranno ancora attentati, anche gravi, attesi purtroppo anche in Italia, in particolare dopo quanto è accaduto a Sesto San Giovanni. Conforta che sintomi di declino si registrino anche nella qualità delle azioni terroristiche e nelle tecniche adottate: sempre meno i combattenti, cessate le azioni di commando e quelle con armi d’assalto. Questo grazie alla prevenzione delle forze di polizia, ma anche alla “crisi” rilevata nelle fila terroristiche.
Un successo i terroristi islamici potrebbero, purtroppo per gli europei, rivendicarlo in un futuro non lontano: aver contribuito a radicalizzare la politica e a portare al potere partiti nazionalisti, antiliberali, antintegrazionisti.
Si guardi a cosa sta accadendo nelle fragili democrazie ungherese e polacca. Si pensi a cosa potrebbe succedere dell’Europa se la destra xenofoba prendesse piede in Germania e Francia, i due paesi cardine dell’Unione. D’altronde l’Ue sta (forse) perdendo Britannia anche come effetto del rapporto europeo con le immigrazioni dai paesi islamici, mentre attende la caduta sulle coste europee dello tsunami antislamico promesso da Trump.
Se l’ipotesi di un terrorismo islamista in lento declino fosse corretta, sarebbe anche corretta l’affermazione che ogni errore commesso dal cosiddetto occidente, potrebbe ritardare detto declino, rinfocolando le ragioni ideologiche e morali che hanno consentito al fenomeno, insieme ad altri fattori, di reclutare adepti e strutturarsi a nostro danno.