Nata a Palermo, dopo un solido percorso di formazione, Giovanna Di Benedetto ritorna nella sua terra con Save the Children. Di Benedetto si occupa del supporto e dell’assistenza dei minori non accompagnati dall’arrivo di migranti e rifugiati sulle coste della Sicilia sino alle strutture di prima accoglienza.
Insieme ad un team di avvocati e di mediatori culturali, si lavora per raccogliere le loro storie, si lavora soprattutto per capire.
Per capire chi sono, da dove vengono, per ricostruire l’identità di questi minori, un’identità sconvolta da un viaggio infernale, dove accadono, ci dice Di Benedetto, “cose che un essere umano non dovrebbe mai vedere”.
Chi sono i minori non accompagnati?

“Sono i migranti più vulnerabili. Arrivano da soli, senza alcuna figura adulta di riferimento. Quest’anno sono aumentati più del doppio rispetto lo scorso anno: si tratta di 24.000 minori, di cui 21.000 non accompagnati. Quest’anno si è anche assistito a una diminuzione dell’età: è sempre più frequente trovare agli sbarchi bambini di 9-10 anni che hanno fatto il viaggio da soli. Eritrea, Egitto, Gambia, Nigeria, Guinea, Somalia, Costa d’Avorio. Fuggono da conflitti, da persecuzioni e da situazioni di povertà estrema. Ci sono anche piccolissimi che hanno visto morire i genitori durante il tragitto, in prigione, in mare. Il viaggio è un’esperienza difficilissima, un incubo. “Benvenuto all’inferno” dissero ad un ragazzo appena giunto in Libia. Raccontano storie di detenzione, di violenze. In prigione vengono picchiati molto forte, di modo che i familiari possano sentire le urla e inviare denaro ai trafficanti. Vengono tenuti giorni e giorni senza bere e senza mangiare, vedono morire i lori cari, o le persone con cui hanno fatto il viaggio. E poi c’è la traversata: molti di loro non sanno nuotare, vedono il mare per la prima volta. Capita spesso che durante il viaggio bevano le loro urine, o l’acqua del mare”.
Quali sono gli obiettivi di Save the Children? Come operate?
“Dal 2008 Save the Children rafforza il sistema di protezione e accoglienza dei minori migranti non accompagnati che giungono in Italia. Il fronte è duplice: capacity building, ovvero formazione agli operatori che gestiscono i flussi migratori e attraverso 7 team mobili di esperti, aumentare il livello di consapevolezza dei minori migranti in merito ai loro diritti, ai loro doveri, alle loro opportunità e ai rischi a cui sono esposti, soprattutto quello della tratta. Utilizziamo delle modalità childfriendly che quindi vadano incontro alle esigenze dei minori, soprattutto dei più piccoli. Inoltre, individuiamo e segnaliamo ad operatori competenti i minori più fragili, coloro che hanno subito traumi fisici o psicologici molto forti. Dal 7 Settembre, Save the Children opera con una propria nave in mare. La caratteristica consiste nella presenza oltre al team leader, di un gruppo di esperti in protezione di minori e di uno spazio ad hoc sulla nave rivolto ai più piccoli”.
Oltre l’assistenzialismo: integrazione, cultura, accoglienza. Che cosa c’è in Italia e cosa manca?
“Sicuramente in Italia c’è un efficiente sistema di soccorso in mare, un impegno di cui andare fieri. Manca invece spesso un sistema strutturato e lungimirante, che sappia dare senso all’impegno di molte persone e che risponda in maniera adeguata alle esigenze dei migranti. A questo proposito, tre anni fa, Save the Children ha presentato un disegno di legge, finalmente passato alla camera. Esso prevede: la creazione di una banca dati per gestire al meglio le presenze i nei centri di accoglienza, presa in carico e garanzia di un sostegno continuo dei minori, programma di integrazione scolastica, rafforzamento della figura dei tutori, oggi spesso i sindaci dei Comuni!, promozione dell’affido familiare. Tutto ciò è fondamentale, perché l’accoglienza senza integrazione è monca! A Milano, Roma e Torino, è presente una struttura rivolta ai minori migranti transitanti: coloro, cioè, che sono in Italia solo di passaggio. Si chiama “Civico Zero”. Save the Children ha inoltre attivato una helpline multilingue, attiva dal lunedì al venerdì: 800 14 10 16.
Ecco qui due storie: Due fratellini di 10 anni e 6 anni dal Gambia. Un maschio e una femmina. La bimba appena arrivata non parlava. Il fratellino mostrava un atteggiamento tenero e protettivo ‘Stai attenta, stai bevendo troppo!’ le diceva. Poi, una volta arrivati nella struttura di Trapani, la piccola si è improvvisamente aperta al gioco nella ludoteca. Gli operatori hanno poi portato altri bimbi. Uno si è avvicinato al fratellino e gli ha detto: ‘Se vuoi possiamo dormire insieme, possiamo mettere anche un letto per la tua sorellina‘. Quattro fratellini dalla Guinea, il più grande 10 anni, il più piccolo 2. Ci raccontavano che la mamma era partita con loro. Ora cercavano di capire dove fosse”.
A Milano, qualche settimana fa, gli abitanti del quartiere vicino alla Caserma Montello si sono organizzati per una festa di benvenuto ai migranti. Che ne pensi?
“Un’iniziativa molto positiva che dovrebbe essere più frequente. Anche a Messina gli abitanti del quartiere vicino a un centro ospitante migranti si erano organizzati per dare il benvenuto agli ospiti della struttura. E non è qui una cosa rara”.
Un lavoro che diviene scelta di esistenza. O forse no. Come fai a distaccarti per mantenere la lucidità operativa necessaria?
“Ovviamente siamo dei professionisti, di fronte a storie di immenso dolore, risulta molto difficile non venirne travolti. Eppure c’è la consapevolezza e soprattutto l’immensa stima nei confronti di queste persone, del loro coraggio, della loro resilienza. E’ un continuo apprendimento. E poi spesso il dolore è bilanciato dalla gioia. Dall’emozione fortissima di vederli correre e giocare con una bottiglietta di plastica appena sbarcati. Ed è qui che ti rendi conto della meravigliosa forza della vita”.