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September 14, 2016
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Schiavitù: Corea del Nord e India al top, Italia tra i primi 50

La schiavitù è ancora molto praticata nel mondo e purtroppo ci sono cattive notizie anche sull'Italia

C.Alessandro MauceribyC.Alessandro Mauceri
schiavitù
Time: 4 mins read

Nel mondo la schiavitù è ancora diffusa e praticata. Anche nella maggior parte dei “paesi avanzati”. Ad affermarlo è il Global Slavery Index , della fondazione Free Walk, che ha analizzato la schiavitù in 168 paesi e la loro capacità di far fronte al problema. In tutto il mondo, oltre 45 milioni di persone vivono in una qualche forma di schiavitù. Al primo posto per percentuale di schiavi sulla popolazione è la Corea del Nord (4,37 per cento). Ma se ci si riferisce ai numeri assoluti la graduatoria cambia: è l’India a guidare la classifica (18,35 milioni di schiavi), seguita dalla Cina (3,39 milioni), dal Pakistan (13,2 milioni), dal Bangladesh (1,53 milioni) e dall’Uzbekistan (1,23 milioni). Il 58 per cento degli schiavi moderni vive in questi cinque paesi.

In questa penosa classifica, l’Italia occupa il 44esimo posto (seconda solo alla Polonia tra i paesi dell’UE). Non si può dire, però, che gli altri paesi europei abbiano ottenuto risultati migliori: la Germania (con 14.500 persone in schiavitù) è 52esima a pari merito con la Francia (dove però sono stati stimati 12.000 schiavi) e la Gran Bretagna (con 11.700 schiavi). Stessa posizione per la Spagna (con 8.400) e la Svezia. Anche il Portogallo non sembra aver ottenuto una valutazione positiva: è 49esimo (con poco meno di 13.000 schiavi). Secondo i ricercatori, nella “moderna” e socialmente evoluta Europa ci sono ancora 1.243.400 schiavi, paria a circa il 2,7 per cento della popolazione. La maggior parte di loro sono donne (circa l’80 per cento) spesso vittime di sfruttamento sessuale a fini commerciali. Provengono dall’Albania e dalla Romania ma anche dall’Africa sub-sahariana, in particolare dalla Nigeria: secondo il Referral National , è da questo paese che provengono molte vittime di questa moderna tratta delle schiave. Nel 2015-2016, la crisi migranti europea ha politicamente, economicamente e socialmente dimostrato la vulnerabilità dell’UE: nella classifica il punteggio è stato molto basso, 27,1 su 100.

Poche e spesso inefficaci le misure per contrastare questo fenomeno: in Italia ad esempio, sebbene esista un tavolo nazionale che include le ONG e le autorità nazionali per affrontare il problema, dal primo Giugno 2014 al 31 Agosto 2015, gli incontri sono stati pochissimi. La conseguenza è che non esiste un piano d’azione nazionale né un gruppo d’azione per sostenere le vittime di schiavitù (Milestone 1, 4.2.1). Si stima che, in Europa, siano almeno 10.000 i bambini registrati come rifugiati ma di cui si sono perse le tracce spesso per finire a lavorare come schiavi. Di questi, circa la metà sono scomparsi mentre si trovavano in Italia. È per questo motivo che, in questo paesaggio scuro, l’Italia occupa una posizione di rilievo. Si piazza tra il Guatemala e la Malesia, e sotto certi aspetti, la situazione rilevata dai ricercatori sembra essere ancora peggiore di quella della maggior parte dei paesi del Terzo Mondo. Un cattivo risultato se si considera che i paesi al di sopra della soglia di 100 mila schiavi, dopo l’Italia, sono il Niger, Somalia, Malawi, Mali, Zambia, Haiti, la Repubblica Dominicana e il Ghana. Dati di cui certamente non essere orgogliosi e che, stando al numero di migranti che dopo essere stati prelevati nel Mediterraneo o essere finiti in Italia non ne sono più usciti, non potranno che aumentare.

Anche gli USA non hanno fatto una bella figura; si sono piazzati al 52 posto della classifica. Qui a vivere il schiavitù, secondo i ricercatori, sono ben 57.700 persone. Ben peggiore, però, la situazione in Russia dove gli schiavi sono più di 140.000 (lo 0,73 per cento della popolazione).

Il flusso di migranti finiti in Turchia ha avuto conseguenze sociali non indifferenti. Da anni in questo paese molte associazioni denunciano lo sfruttamento da parte di molte aziende di richiedenti asilo e rifugiati come manodopera a basso costo. Ora queste accuse hanno trovato un’ulteriore conferma: su una popolazione di 76 milioni di abitanti sono oltre 480.000 i nuovi schiavi, una perfomance che piazza la Turchia al ventesimo posto della graduatoria.

Anche paesi considerati da sempre come tra i più rispettosi dei diritti umani si sono piazzati lontani dalle ultime posizioni (ovvero quelle che spettano ai paesi in cui la schiavitù è quasi un lontano ricordo): l’Australia, ad esempio, è “solo” 52esima (i ricercatori stimano che siano più di quattro mila gli schiavi che vivono in questo paese). Stessa posizione per la Norvegia e la Danimarca, da sempre ai primi posti delle classifiche per la qualità della vita e per il rispetto dei diritti civili.   

Dall’analisi dei dati rilevati su oltre 160 paesi e basati su 24 parametri emerge una sola conclusione: che la schiavitù è ancora un problema grave. Tutela dei diritti civili e politici, dei diritti sociali e legati alla salute, sicurezza personale e lotta ai conflitti e assistenza ai rifugiati, in molte zone del pianeta, sono delle chimere. Ancora nel XXI secolo, nonostante gli sforzi e gli inviti di tutte le organizzazioni internazionali, i governi non sono riusciti a porre un freno al problema della schiavitù: solo un paese, i Paesi Bassi, ha meritato una A in questa classifica. Tutti gli altri non sono riusciti ad andare oltre la B e la maggior parte non è riuscita nemmeno a raggiungere questo traguardo. Anche alcuni paesi ritenuti “civili”, come la Grecia o il Lussemburgo o il Giappone (CCC) non sono riusciti a dimostrare la propria capacità di far fronte al problema della schiavitù e hanno mostrato grossi limiti giuridici e operativi per proteggere e tutelare le vittime di schiavitù.

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C.Alessandro Mauceri

C.Alessandro Mauceri

Sono nato a Palermo, città al centro del Mediterraneo, e la cultura mediterranea è da sempre parte di me. Amo viaggiare, esplorare la natura e capire il punto di vista della gente e il loro modus vivendi (anche quando è diverso dal mio). Quello che vedo, mi piace raccontarlo con la macchina fotografica o con la penna. Per questo scrivo, da sempre: lo facevo da ragazzino (i miei primi “articoli” risalgono a quando ero ancora scolaro e dei giornalisti de L’Ora mi chiesero di raccontare qualcosa). Che si tratti di un libro, uno studio di settore o un articolo, raramente mi limito a riportare una notizia: preferisco scavare a fondo e cercare, supportato da numeri e fatti, quello che c’è dietro. Poi, raccontarlo.

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