Non più tardi di cinque giorni fa ero in vacanza vicino L’Aquila. Tornare lassù dopo quei mesi trascorsi a Collemaggio durante l’emergenza post-terremoto ha significato trovarsi nuovamente di fronte le vecchie, dolorose, ferite del sisma ma anche quelle nuove, più assurde, della ricostruzione.
Sarà forse perché ero passato di lì recentemente ma lunedì notte quando sono stato svegliato da uno strano cigolio di un comodino che si muoveva mi è venuto istintivo, prima di realizzare nel dormiveglia ciò che stava accadendo, pronunciare la sola frase: “di nuovo”.
E’ stato come rivivere qualcosa di già accaduto e forse proprio per questo è stato ancora più spaventoso. Sapevo infatti già in cuor mio che dopo quegli interminabili secondi a me sarebbe rimasto il terrore ma per qualcun altro da qualche altra parte non sarebbe rimasto più nulla, in alcuni casi nemmeno la vita.
E’ stato un deja vù insopportabile. Era così sette anni fa, sarà così tra altri setti anni. Oggi se si potesse gridare con una tastiera urlerei la sola parola Basta.
L’Italia che oggi corre al ristorante ad ordinare un’amatriciana, che invia cibo e vestiti, che condivide IBAN, e che dona il sangue è commovente ma non riesco a togliermi dalla testa che sia anche lo stesso paese che non fa nulla per evitare tutto ciò. In cui allora era tutto esattamente come oggi. Che elegge da generazioni una classe politica vergognosa, che fa condoni, che inaugura una scuola nuova di zecca ma che ora si è sbriciolata, che costruisce nuovi quartieri disabitati ma non si preoccupa di consolidare i centri storici in cui la gente vive.
Se solo questo paese fosse meno straordinario e più ordinario. Se non ci si ricordasse di queste cose solo ogni decennio quando muore qualche centinaio di innocenti, ogni volta per terremoti che di straordinario non hanno proprio nulla.
Un paese che si raccomanda ai Santi, e che piange le fatalità mentre invece tutto ciò è noto da secoli.

E non è colpa dei politici, dei tecnici, è colpa di tutti noi, anche di quelli oggi più generosi.
Una nazione seria ora direbbe appunto Basta. Non prometterebbe nuove case tra tre mesi. Lavorerebbe ad un paese più sicuro tra quindici-vent’anni, con scuole ed ospedali in cui rifugiarsi e non da cui scappare. Con centri storici restaurati e consolidati. Un paese in cui un terremoto di 6 gradi sarebbe solo una notizia a fine telegiornale. Ma qui -si sa- si vuole tutto subito e possibilmente che sia ben visibile per fare bella figura.
Certo l’impresa è ciclopica, forse la più grande opera pubblica della storia, e impegnerà persino le prossime generazioni ma l’alternativa sarebbe piangere ogni volta vite che possiamo salvare.
Solo i terremoti degli ultimi quarant’anni hanno ucciso in Italia oltre 4.500 persone, il che significa una media di più di 100 persone l’anno. Ora pensiamo ad esempio alla paura del terrorismo, a quanto se ne parla sui media e quanto la gente sia allarmata dal pericolo attentati; Ebbene nel nostro paese è molto più probabile essere uccisi dalla nostra abitazione che dall’ISIS o chi per lui. E pensare che la gente dopo gli attentati di Parigi si chiudeva istintivamente dentro casa per sentirsi protetta. Questa è la disarmante realtà ed è sotto gli occhi di tutti da quarant’anni eppure avete mai visto crociate da parte dei politici di turno per avere un’edilizia più sicura? La risposta è un nauseante “No”.
Eppure che la risposta ce l’avremmo sotto gli occhi proprio in questi drammatici giorni, ed è Norcia. Il piccolo borgo umbro -che si trova nella zona dell’epicentro- non ha registrato vittime tra i suoi abitanti. Questo perché lì si è intervenuto sulle antiche case medioevali con un minuzioso consolidamento antisismico. Un’opera invisibile e che quindi garantisce pochi voti ai politici ma che ha salvato le vite. Eppure, non so perché, ma ho la sensazione che questi argomenti verranno prima derubricati per poi essere ben presto definitivamente accantonati, almeno fino al prossimo dramma.
E allora dai con le generosità più spontanea e commovente di un popolo, come pochi altri al mondo, che non sarà mai troppo disgraziato per aiutarsi.
Andrea Bentivegna, storico dell’architettura, vive a Roma. Con Daniela Tanzj, su la Voce di New York, cura la rubrica TRANSATLANTIC