Salti indietro nel tempo, di chi si può permettere chi pasticcia di giornalismo da più di quarant’anni, “memoria” che si serba per puri dati anagrafici… E’ il 2 luglio del 1975. Il luogo è il salone della sede del Partito Radicale al terzo piano di un po’ decaduto palazzo umbertino al centro di Roma; salone affollatissimo, come nelle grandi occasioni. Marco Pannella ha annunciato, avvertendo tutte le autorità possibili, che intende infrangere pubblicamente la legge sulle sostanze stupefacenti. Qualche giorno prima la polizia, “obbedendo” alla normativa dell’epoca, ha arrestato una decina di studenti che fumavano delle “canne”, passandosele l’uno all’altro. “Fumare” non sarà bello, ma ancora meno finire in carcere per questo…
Pannella accende il suo “spinello”. E’ talmente padrone della materia che lo accende dalla parte sbagliata; fa nulla, è il gesto che conta. Guarda interrogativo una persona che gli sta accanto, gli porge i polsi come dirgli: “Mi arresti o no?”. Si chiama Ennio Di Francesco, quella persona; è un commissario di polizia, responsabile dell’antidroga a Roma. Il giorno prima c’è stata una riunione dei grandi capi, al ministero dell’Interno: nessuno vuole sbucciare la patata bollente dell’arresto di Pannella. Così mandano lui: è il capo dell’antidroga, problema suo. Di Francesco si guarda bene dall’estrarre le manette: “Che ne so, cosa ha fumato? Sequestro la sigaretta, la facciamo analizzare, e vediamo. Lei onorevole Pannella, mi segua in questura”. Niente arresto, obiettivo comunque raggiunto. Effettivamente la “droga” c’è. Pannella finisce in carcere per una settimana, in attesa del processo per direttissima (dopo la prima udienza, immediata liberazione; non se ne farà più nulla, fino alla prescrizione). Il commissario nel pomeriggio manda a Pannella un telegramma: “Come poliziotto la dovevo arrestare, come uomo sono solidale con lei”. I giornali sparano: “Il commissario che arresta Pannella, solidale con lui”. Il giorno dopo il commissario viene rimosso. Di Francesco è un rompicoglioni costituzionale: in passato è stato tra i fondatori del sindacato di polizia; ora da anni è iscritto al Partito Radicale.
Gli episodi di “disobbedienza civile” si susseguono. Si fanno arrestare anche il segretario radicale Jean Fabre, e il consigliere comunale radicale a Roma Angiolo Bandinelli. Anche per loro qualche giorno di carcere. Processi? Neppure parlarne. Quando si tratta dei radicali meglio lasciar perdere, affossare tutto.
L’episodio più buffo a Bologna. I radicali, meticolosi, preparano tutto, ma nessuno pensa alla cosa principale: la “roba”. All’ultimo minuto non sapendo che fare, mescolano un po’ di tabacco con del thé al bergamotto, e si “fumano” quella improbabile mistura. Le perizie per accertare se effettivamente gli “spinelli” siano tali, garantiscono che uno è sostanzialmente innocuo; l’altro invece contiene i cosiddetti “principi attivi”. Ma essendo uno e non due la cosa va rubricata nell’uso personale. Non punibile. Che analisi avranno fatto, per dichiarare “principio attivo” del thé al bergamotto?
Alla fine, batti e ribatti, sempre i radicali raccolgono le firme necessarie per un referendum per abrogare la legge sugli stupefacenti che non fa differenza tra cocaina, eroina, e derivati della canapa indiana; che permette di ubriacarsi ogni giorno con whisky o vodka, ma ti considera spacciatore se con altri due, a casa tua, ti fumi una “canna”…
Il referendum abroga la legge; il Parlamento risponde varandone un’altra legge perfino peggiore: la Jervolino-Vassalli; che poi sostituta dalla Fini-Giovanardi. Le azioni di “disobbedienza civile” dei radicali si susseguono, a Roma e a Napoli, a Milano e a Torino, a Verona e a Palermo…
Quasi sempre alla sbarra Pannella, e una sua sodale, “pannelliana” ventiquattro carati, Rita Bernardini; ne ricavano sentenze che dovrebbero far riflettere: una volta i due sono assolti, la corte riconosce al loro “fare” un alto valore morale; un’altra volta sono condannati, ma con i benefici di legge; ma vengono anche condannati senza che questi benefici siano riconosciuti; c’è poi una corte di giustizia che assolve, perché “il fatto non costituisce reato”; un’altra dichiara che la sostanza è sufficientemente stupefacente… Insomma, una babele…

Ne parlo con la stessa Bernardini, che se ne inventa un’altra: coltiva una trentina di piantine di marijuana sul terrazzo di casa sua: spacciatrice a tutti gli effetti. Segue passo passo la “coltivazione” immortalandola nella sua pagina facebook: sono piantine alte, rigogliose. Fossero nel mio giardino, sarei in galera da un pezzo.
Cosa vai cercando?
“Che mi arrestino, sono una coltivatrice di sostanze vietate”.
Esiste la modica quantità…
“Sono molte piante. Tecnicamente sono una spacciatrice. Altri per molto meno sono finiti in carcere”.
E poi?
“Poi il processo, e vediamo che cosa viene fuori. Nonviolenza e diritto, ancora una volta…”.
Intanto le prime piantine te le hanno sequestrate, e il processo te lo sogni, non sono mica dei fessi…
“Si sono inventati che quelle piantine, coltivate in quel modo, sono prive dei principi attivi…”.
Chi lo dice?
“La procura di Roma. Me l’hanno detto chiaro e tondo: non l’arrestiamo”.
Eppure dovrebbe esserci l’obbligatorietà dell’azione penale…
“Nel mio caso evidentemente si può fare una deroga”.
Denunciali…
“Aprono un fascicolo, e lo chiudono in qualche cassetto a far polvere…”.
Tu continui…
“Chi la dura la vince. In fin dei conti quello che si chiede è solo che il Parlamento ne discuta, e che si apra un dibattito serio nel paese…Comunque, ovunque il proibizionismo è fallito”.
Tu fumi?
“Droga di stato” (mostra un pacchetto di sigarette).
Un motivo per legalizzare le “canne”.
“Oggi la droga, quella leggera e quella pesante, è sostanzialmente libera, la si può acquistare a qualsiasi ora del giorno e della notte. Si darebbe un colpo significativo alle mafie, perché oggi il cittadino consumatore – e sono circa quattro milioni i consumatori in Italia – ha solo una possibilità, rivolgersi alla criminalità organizzata, tant’è vero che ci sono persone che se la coltivano anche per uso terapeutico e vengono condannate, arrestate, persone che anziché dare i soldi alla mafia piantano un seme, coltivano una pianta, ecco, vengono sbattute in galera. Di mafiosi in galera se ne sono ben pochi, per questo. Per inciso, lo sai che piantare semi di derivati della cannabis è vietato, ma li può detenere a scopo di collezione?”.
Collezionista di semi?
“Se vuoi, puoi. E’ una delle tante assurdità di questa legge. Fammi dire che la stessa Direzione Nazionale Antimafia da anni invoca il superamento di questa legislazione, e ha dato parere favorevole al progetto di legge in discussione in Parlamento per depenalizzare le droghe leggere, primo firmatario il sotto-segretario agli Esteri Benedetto Della Vedova; cofirmatario il vice-presidente della Camera Roberto Giachetti”.

A questo punto, sentiamole, le ragioni di Della Vedova. “Mi aspetto”, dice, “un avvio in sede parlamentare, che lasci fuori Governo e maggioranza e che il mio testo di legge venga trattato da tutte le forze politiche consentendo ai parlamentari di pronunciarsi e votare contro o favore indipendentemente da logiche di schieramento. La proposta nasce dall’Intergruppo che ho promosso un anno e mezzo fa e ha lavorato per produrre un testo comune, che è stato presentato. Siamo stati molto pazienti senza mettere fretta a nessuno ma adesso è il momento di entrare nel vivo”.
Previsioni? Il testo Della Vedova è stato sottoscritto da 220 deputati; la maggioranza è di 315: “E’ evidente che ci sono possibilità che venga approvato. Alla fine decidono le maggioranze”.
C’è un mercato di massa, aggiunge Della Vedova, “che consegna giornalmente milioni di italiani alla criminalità senza alcun controllo sulle sostanze, trasferendo soldi legali alle varco mafie, impegnando forze di polizia, magistrati e posti nelle carceri per un reato che non desta allarme sociale. Chiunque conosce qualcuno che consuma cannabis non lo considera né criminale né malato, è un consumo certamente nocivo ma come lo sono altri consumi legali come alcol e tabacco. I proibizionisti dicevano che avrebbero risolto il problema ma da allora non è cambiato nulla, è stato un fallimento. Io credo che a questo fallimento si debba reagire”.
L’iter parlamentare, tuttavia, si annuncia tutt’altro che facile e lineare. “Area Popolare”, magmatico gruppo parlamentare di ispirazione “centrista, che spazia da Angelino Alfano a Rocco Buttiglione ha presentato oltre un migliaio di emendamenti. Il presidente dei deputati di questa formazione, Maurizio Lupi definisce assurda la proposta Della Vedova-Giachetti sulla cannabis: “Siamo assolutamente contrari alla legalizzazione, al messaggio che si vuol far passare, che ci si può fare uno spinello liberamente senza problemi. Per questo non condividiamo per niente la ratio e l’impianto del provvedimento, né dal punto di vista della salute pubblica né da quello del contrasto alla criminalità organizzata. Le nostre modifiche sono rivolte a riaffermare alcuni principi cardine: non esistono droghe leggere, fanno tutte male”.
Uno può anche sorridere, di fronte a prese di posizione così dogmatiche e ideologiche; però poi il sorriso ti muore in bocca, se pensi che per ministro dell’Interno ti tocca uno come Angelino Alfano; e che i suoi deputati e senatori sono parte determinante di quella maggioranza su cui si regge il governo di Matteo Renzi.