Antonin Scalia, detto Nino, gigante “pensaci tu” dell’America più conservatrice, è morto nel sonno – apparentemente – per cause naturali, in un ranch texano in cui si trovava per una battuta di caccia con amici. Scompare dalle altissime sfere del potere americano il giudice che col suo voto e soprattutto con la scrittura delle sue sentenze – sia quelle vincenti che perdenti – aveva per trent’anni “riscattato” il credo dell’America delle origini. Quando infatti Ronald Reagan lo nominò alla Corte Suprema, quell’America con lo sguardo rivolto all’indietro per andare avanti, si era ormai risvegliata reclamando il “destino manifesto” di tornare ad essere sempre più influente. Quella che proprio in Scalia troverà il “giudice supremo” del “fondamentalismo costituzionalista”.
Per il giudice Antonin Scalia la US Constitution del 1776 non si interpreta, si legge e basta. E non si legge con gli occhi e la mente del 1986 (anno di nomina di Scalia) o ancora del 2016, ma cercando di “capire” (questa volta sì che si può interpretare?) il pensiero “originale” e “incontaminato” dal presente, che i padri fondatori degli USA possedevano nel momento in cui scrivevano, due secoli fa a Filadelfia, le parole che si leggono nella carta. A questa filosofia giuridica che ha condotto il pensiero e azione del giudice Scalia viene dato il nome di “originalism”. E sicuramente in questa azione Scalia lo fu molto, nel significato qui italiano del termine, originale.
Volendo estremizzare -ma neanche tanto- un paragone con l’attualità internazionale, Scalia sta, in paragone al resto dei giudici della Corte Suprema e alla sua interpretazione della Costituzione, come certi imam musulmani della setta saudita “Wahabi” stanno all’interpretazione del Corano rispetto al resto dei sunniti. Il “libro”, o in questo caso “la carta”, non la si “adatta” ai nostri tempi, ma la si legge letteralmente e solo per quello che dice. Senza tentare di “avventurarsi” in quello che non dice. Il Costituzionalismo “immobile”, “congelato” di Antonin Scalia, che ha fatto tremare i polsi non solo ai liberal e progressisti d’America, ma anche ai conservatori moderati, vedeva la società sì in continuo movimento ma nell’orbita e stretta regolamentazione dei principi sempre fermi della Costituzione.
E questo suo conservatorismo appunto “fondamentalista”, che poi risultava essere qualche volta determinante come ago della bilancia tra una corte divisa tra progressisti e conservatori “normali”, ha fatto di “Ninuzzo” Scalia – famiglia di origini siciliane, cresciuto nel Queens, lo stesso borough in cui cresce il super liberal Mario Cuomo – come “l’uomo più influente non eletto d’America degli ultimi trent’anni”, come sabato sera lo ha definito Lewis, prof. newyorchese, quando la scomparsa del giudice aveva ormai preso il sopravvento sulle discussioni a cena tra amici iniziata su chi avrebbe vinto la nomination tra Bernie e Hillary.
La decisione di Scalia che ha avuto più conseguenze non solo sulla storia contemporanea degli Stati Uniti, ma del mondo intero, avvenne nel dicembre del 2000, quando la Corte Costituzionale intervenne per fermare la riconta dei voti in Florida, che Al Gore aveva richiesto e che avrebbe potuto ribaltare il risultato elettorale a favore di George W. Bush. Il giudice Scalia fu il “Commander-in-Chief” che influenzò gli altri giudici conservatori della corte al muro contro muro con gli altri quattro giudici liberal, arrivando a quella sentenza che divise l’America e cambiò la storia. Scalia in quella occasione scrisse che “the counting of votes that are of questionable legality does in my view threaten irreparable harm to (Mr. Bush) and to the country, by casting a cloud upon what he claims to be the legitimacy of his electoin”.
Come ha sottolineato anche il New York Times, Antonin Scalia molto tempo dopo, in conversazioni private, ammise che quella sua esposizione nello scrivere la sua motivazione della sentenza, gli impedirono di essere nominato “chief judge” della corte, nonostante negli ultimi anni ne fosse diventato il giudice con più anni di servizio. Quando poi gli veniva chiesto, in eventi pubblici, se avesse riflettuto su quella decisione del 2000, magari col senno di quanto accaduto, Scalia tagliava corto: “Get over it” – che in Italia corrisponde più o meno a “chi ha avuto ha avuto, chi ha dato a dato, scurdamoce o passato… “.
Ovviamente ci sono tante altre decisioni importanti della Corte di cui Scalia andava fiero, sul secondo emendamento e le armi, così come sull’aborto e in tutte quelle questioni che ne fecero, con il suo “originalismo” in difesa del pensiero dei “padri fondatori”, il pilastro del pensiero iper conservatore d’America. Ma per quanto le decisioni di Scalia irritassero tutti quegli americani, compreso chi scrive queste righe, che invece ritengono che la grandezza della Costituzione degli Stati Uniti risieda proprio nella sua “naturale predisposizione” ad essere interpretata con gli occhi e lo spirito della società del presente, e che la sua funzione sia proprio quella di difendere il valore assoluto della libertà intesa e raggiunta mai a spese della libertà altrui, ecco nonostante questo non si può oggi non salutare la straordinaria vita e personalità di questo italoamericano. Per parecchi anni Scalia rimase l’americano di origini italiane nella più alta carica pubblica mai raggiunta fino a quel momento – superato solo venti anni dopo da Nancy Pelosi speaker del Congresso. La vita di Antonin Scalia resterà quindi per sempre un simbolo del “sogno americano” per milioni di famiglie di emigrati.

Scalia era nato in Trenton New Jersey, 11 marzo del 1936, da Salvatore Scalia e Catherine Panaro. Figlio unico, crebbe nel Queens, frequentò il liceo alla Xavier High School di Manhattan per poi brillare all’università gesuita di Georgetown (la stessa che formò Bill Clinton) che gli permise infine l’accesso alla prestigiosa School of Law di Harvard (dove studierà anche Barack Obama). Con la moglie Maureen McCarthy, ebbe nove figli, tanto per comprendere che Nino Scalia viveva il suo essere cattolico con la stessa coerenza di come interpretava la costituzione degli Stati Uniti.
Dopo anni di insegnamento di universitario a Chicago, Scalia fu nominato nel 1982 giudice della corte di Appello del Distretto del Circuito di Columbia, Washington DC. Li attirò ancora di più l’attenzione della Casa Bianca, e Ronald Reagan lo nominò nel 1986 giudice della Corte Suprema.
Chi scrive parlò con Scalia in una occasione: quando fu scelto Grand Marshall della sfilata del Columbus Day a New York e tenne una conferenza stampa prima dell’evento. Dopo le domande, si intrattenne alcuni minuti e nello scambio “a microfoni spenti”, mise in mostra tutta quella sua personalità aperta e piena di humor, in aperto contrasto con l’immagine rigida del giudice costituzionale conservatore e inflessibile. Dalle cronache di queste ore, abbiamo letto che gli altri giudici della Corte Costituzionale, soprattutto le donne liberal, per quanto fossero contrarie e ostacolassero le sue decisioni di giudice, ne amassero il carattere espansivo, la persona capace di straordinarie dimostrazione di affetto e attenzioni nei confronti dei colleghi.
Come il New York Times, chiudiamo con la risposta che Scalia dette durante una intervista al canale tv C-Span in 2009, sul suo modo di vivere la sfida di giudice nella Corte Suprema e su come dovrebbe essere il ruolo di un giudice in generale: “We don’t sit here to make the law, to decide who ought to win. We decide who wins under the law that the people have adopted. And very often, if you’re a good judge, you don’t really like the result you’re reaching.”