Cosa ci dice l’episodio del gruppo di teppisti romani che ha malmenato un autista, colpevole di aver protestato perché erano parcheggiati in doppia fila impedendo la circolazione?
1) È significativo che l’aggressione sia avvenuta, e non è la prima, nei confronti del conducente di un mezzo pubblico. Ciò che quegli stronzetti hanno espresso è infatti l’ideologia liberista del primato del privato: ognuno deve poter fare quello che cazzo gli pare e l’unica limitazione accettata è l’eventuale interesse contrario di uno stronzetto più forte. La legge della giungla. Che è esattamente quello che a livello economico e sociale afferma Renzi: in politica e nella vita, così come alle Olimpiadi, conta solo vincere e prendersi tutto, in qualunque modo, non partecipare e condividere. E se qualcosa non funziona la colpa è sempre dei lavoratori, mai dei governanti o dei dirigenti e tanto meno degli imprenditori.
2) È deprimente che, a quanto leggo, tutti i passeggeri dell’autobus siano scappati invece di intervenire, salvo poi tornare non appena sono arrivati i poliziotti e soprattutto i giornalisti. Non so cosa avrei fatto io ma non vuol dire nulla: in un popolo sano ci sono sempre dei vigliacchi ma anche una percentuale di persone coraggiose o semplicemente integre. Quando ci sono solo vigliacchi, quel popolo non ha futuro e sarà pronto a subire senza protestare e tanto meno ribellarsi qualsiasi vessazione – per esempio lo smantellamento del sistema sanitario edi quello scolastico o della Costituzione da parte di un piccolo gruppo di avidi speculatori.
3) Anche i teppisti sono una minoranza però godono di assoluta impunità. Qualcuno vuole scommettere che non faranno neanche un giorno di galera? E che se un giudice coraggioso li condannasse severamente subirebbe (lui, non i teppisti) gli attacchi degli intellettuali buonisti? Perché la casta che domina il paese è così marcia che il garantismo e il perdonismo sono nel suo interesse e i media hanno convinto una consistente parte della gente (in particolare di sinistra) ad abbandonare il rigore che caratterizzava il PCI e il PRI. In altri tempi, come raccontava Tomasi da Lampedusa nel Gattopardo, “la teppa cittadina aspettava il primo segno di affievolimento del potere per buttarsi al saccheggio e allo stupro”. Oggi non ce n’è bisogno: le deregulation volute dal neocapitalismo hanno istituzionalizzato la debolezza dello Stato: saccheggi e stupri (delle persone ma ancor di più dei beni comuni e dell’ambiente) sono la norma.
4) Sapete da dove deriva la parola teppista? Dal nome della Compagnia della Teppa, un’associazione di giovani della nobiltà milanese che all’inizio dell’ottocento si divertivano a compiere atti goliardici e prepotenze nella sostanziale indifferenza delle autorità. Quando esagerarono, la polizia ci mise pochissimo a individuarli, arrestarli e porre fine al gruppo e alle loro violenze. È rimasto il nome, a indicare un abuso fine a sé stesso e alimentato da un senso di immunità. Mi viene in mente un articolo di Italo Calvino dell’agosto del 1974, subito dopo la strage dell’Italicus (che beffa che Renzi abbia pensato di chiamare con lo stesso nome, solo declinato al neutro, la sua legge truffa elettorale, che sostanzialmente realizza il sogno antidemocratico degli ideatori della strategia della tensione!). Scrisse Calvino: “I fascisti non esitano a compiere qualsiasi carneficina quando hanno le spalle coperte”. E solo quando hanno le spalle coperte: solo quando sanno di farla franca. Perché anche loro sono sostanzialmente dei codardi. Così i teppisti romani: fanno i gradassi perché non rischiano nulla: se li sbattessero in galera per cinque anni come meriterebbero (un anno per l’aggressione, quattro per i motivi abietti, ossia per essere degli stronzi), sarebbero lì a pentirsi, a piangere e a giurare che non lo faranno più. Stessa cosa i politici opportunisti e gli imprenditori corrotti.
5) I teppisti romani sono l’inevitabile prodotto di un sistema economico e sociale che quotidianamente, nelle parole e nelle azioni del governo e dei partiti di maggioranza ma anche delle celebrity (pensate all’evasore fiscale Valentino Rossi o al bullo Balotelli) e degli imprenditori con meno scrupoli (i Marchionne, iBriatore, il mondo della Leopolda), promuove un solo valore: il successo, non importa come ottenuto e a spese di chi, garantito sempre e solo dal denaro e dalla visibilità. Ho menzionato Tomasi da Lampedusa e Calvino; chiudo citando un altro grande scrittore italiano di un’epoca che, con tutti i suoi problemi, ancora non si era arresa all’arroganza dei ricchi e degli stronzi e lottava anzi per creare un mondo migliore. Parlo di Pasolini, di uno dei suoi ultimi articoli, pubblicato sul Corriere della sera (un ben diverso Corriere della sera) due settimane prima di essere ucciso: “Il consumismo ha distrutto cinicamente un mondo reale trasformandolo in una totale irrealtà dove non c’è più scelta possibile tra bene e male. Ma una scelta tuttavia c’è stata: la scelta dell’impietrimento, della mancanza di ogni pietà. Bisogna ammettere una volta per sempre il fallimento della tolleranza. Che è stata, s’intende, una falsa tolleranza, ed è stata una delle cause più rilevanti nella degenerazione delle masse dei giovani”.
6) È da quella rinuncia a giudicare e a difendere i valori etici, è da quello sdoganamento del solo profitto materiale e personale, è da quella graduale affermazione dell’egoismo dei vincenti al posto della solidarietà, che prende slancio la deriva liberista. Lì sono le origini della dissoluzione delle comunità, del tramonto della cultura, del disastro ambientale ormai imminente. Renzi e il suo Pd sono, in Italia, il compimento di un processo messo in moto quarant’anni fa dai poteri forti della finanza per fermare i movimenti che stavano creando una società più giusta e egualitaria. Il liberismo è oggi egemonico però qualche segno di resistenza comincia finalmente a vedersi, da papa Francesco a Bernie Sanders, da Jeremy Corbyn a Pablo Iglesias. Per quanto ancora gli italiani resteranno a guardare, rassegnati ai soprusi dei potenti e dei teppisti?