La minaccia, a quanto pare, è seria. L’Interpol, qualche giorno fa, ha lanciato l’allarme su possibili attacchi terroristici nelle acque tra la Libia e l’Italia, nel Canale di Sicilia quindi. A divulgare la preoccupante notizia è RID, Rivista Italiana della Difesa.
Si parla di barchini ‘suicidi’ che potrebbero farsi esplodere in prossimità di navi europee, o di pescherecci. Una tecnica già sperimentata in Sri Lanka dalla Tigri Tamil così come durante la guerra Iran-Iraq e sposata anche da Al Qaeda. E che ora potrebbe essere sfruttata dall’Isis vicino a casa nostra, nel bel mezzo del Mare Nostrum.
La rivista, che è tra le più importanti del genere e che certamente si avvale di fonti del settore, ricorda come gli uomini dell’Isis sia siano impossessati “di alcuni porti e di imbarcazioni di vario genere, e con la possibilità di sfruttare l’esperienza accumulata dagli scafisti da anni impegnati sulle rotte migratorie" e che "ISIL potrebbe ripetere tra Golfo della Sirte e Canale di Sicilia lo scenario che da 10 anni domina la regione marittima compresa tra la Somalia e Aden”.
Nello specifico: “Veloci natanti potrebbero infatti attaccare pescherecci, imbarcazioni da crociera, piccoli mercantili, ma anche vedette impegnate in missioni di soccorso, in questo caso più per catturare prigionieri da esibire con tuta arancione e coltello alla gola (e per i quali chiedere lucrosi riscatti) che merci”.
Per inciso, nel Mediterraneo non ci sono solo navi da crociera o piccoli mercantili. C’è di tutto, e di ogni nazionalità, incluse le navi petroliere, le piattaforme petrolifere, le navi fattoria per la pesca del tonno rosso.
Quindi il rischio legato all’immigrazione clandestina: “Inoltre – scrive RID – il miscuglio tra mancanza di scrupoli e fanatismo potrebbe trasformare qualche barcone di ignari clandestini in una trappola esplosiva innescata nel momento in cui l’imbarcazione viene abbordata dai team di ispezione, o avvicinata dal guardacoste di turno, con conseguenze devastanti per uomini e mezzi”.
Insomma, il rischio che l’attacco dei terroristi non si fermi alla Tunisa sembra più che mai concreto. E non riguarda solo possibili attacchi in mare aperto. La rivista specializzata in materia di Difesa si spinge oltre, parlando di ‘modello Mumbai’. Il riferimento è ai tragici fatti del 2008, quando un gruppo di terroristi qaedisti arrivati via mare seminò il panico nella città indiana.
Una tattica, aggiungiamo noi, che somiglia molto al ‘modello Sousse’ con i terroristi arrivati sulle affollate spiagge tunisine su un gommone per uccidere i turisti.
Potrebbe succedere anche in Sicilia?
“Una tattica – si legge su RID – che ben si presterebbe a ispirare eventuali raid contro Lampedusa, o se questa fosse troppo sorvegliata (e i terroristi disponessero di una nave-madre tanto apparentemente innocua, quanto adeguata a lunghe traversate), sulle coste siciliane”.
La rivista, forse per tranquillizzare, aggiunge che “si tratta di scenari cui le forze navali NATO si preparano dal dopo 11 settembre, ad esempio con l'Operazione ACTIVE ENDEAVOUR, dotando anche le stesse navi di appositi sistemi di difesa ravvicinata anti-barchino” ma sottolinea pure che“la minaccia non può essere sottovalutata. Anzi”.
Certo è che, la Sicilia, suo malgrado, è diventata la piattaforma militare degli USA e della NATO nel Mediterraneo. Non sembra illogico, dunque, che possa essere considerata un obiettivo da parte dei terroristi. Che, magari, difficilmente potrebbero arrivare a Sigonella (dove c’è la base Usa) ma, forse, lo stesso non si può dire per le coste e per isole come Lampedusa (per la sua collocazione) o Pantelleria da dove, come ha svelato il collega Antonio Mazzeo nel suo blog, partiranno le operazioni d’intelligence delle forze USA sui cieli della Tunisia.