Un calendario davvero ricco di eventi quello organizzato da NYC Pride in occasione della NYC Pride Week, celebrata ogni anno dal 1970 per rendere omaggio ai moti rivoluzionari che hanno avuto luogo a New York nello storico Stonewall Inn, il club punto di riferimento per la comunità gay, e che hanno avuto un impatto notevole nel movimento per i diritti dei gay in tutto il mondo.
Era il 28 giugno del 1969, quando la polizia fece l’ennesima irruzione allo Stonewall Inn, ma quella volta i membri del circolo reagirono rispondendo all’attacco, in quella giornata che sarebbe poi passata alla storia come I Moti di Stonewall. Un anno dopo si svolse il primo Gay Pride, proprio in commemorazione di quei disordini e, dopo poco due decenni da Stonewall, c’era molto di cui essere grati, ma ancora molto da fare. La prima legge a favore delle unioni civili e di quelle tra le coppie LGTB è arrivata nel 2000 ed è stato il Vermont a promulgarla; poi è stata la volta del Massachusets, nel 2004, e di Washington, New Hampshire, Maryland e New York, nel 2010, ma soltanto nel 2013 la Corte Suprema si è pronunciata sul Defense of Marriage Act, “costringendo” di fatto il governo federale a riconoscere i matrimoni omosessuali negli stati in cui erano stati definiti legali. Quest’anno, proprio mentre New York si tingeva d’arcobaleno, a Washington DC la Corte Suprema ha stabilito che le nozze tra le persone dello stesso sesso, fino a oggi legalizzate in 36 Stati, sono riconosciute valide su tutto il territorio statunitense: una decisione storica e un passo, secondo Obama, fondamentale verso una società più libera e giusta.
Miss Richfield 1981 durante la Family Night
Ma torniamo alla NYC Pride Week. Il tema scelto per le celebrazioni, che quest’anno saranno estese a tutta l’estate e coinvolgeranno tutti e 5 i distretti di New York, è Complete the Dream, un riconoscimento per i sogni delle persone LGBT e quelli di tutte le persone in cerca di una liberazione dall’ingiustizia. La comunità LGTB festeggia, finalmente si vede riconosciuta ciò che voleva da anni, ma guarda al futuro: ok il matrimonio, ma adesso vuole maggiori tutele per i propri figli. Un sogno quasi completato.
La settimana si è aperta ufficialmente mercoledì 24 giugno con la Family Night, la serata dedicata alle famiglie. Come tutte le celebrazioni che si rispettino, non potevano mancare il taglio della torta (un’immensa creazione dai colori arcobaleno offerta a tutti i partecipanti) e ospiti d’eccezione, tra cui lo chef Cake Boss, che ha realizzato la torta, e la divina Miss Richfield 1981, con la sua performance allegra e colorata. Il pubblico assolutamente eterogeneo: famiglie omosessuali e non, in un’atmosfera rilassata nello scenario mozzafiato dell’Hudson River Park al tramonto. Tutti in attesa della proiezione di Alla ricerca di Nemo, il film di animazione della Pixar che racconta le vicende di un padre, il pesce pagliaccio Marlin, disposto a tutto pur di proteggere la vita del figlio, Nemo. Per Bradley Jacobs della Family Equality Council, intervenuto per un breve remark prima della proiezione insieme a suo figlio, “le famiglie omosessuali si meritano la parità e ognuno ha il diritto di proteggere i propri figli e salvarli dalla discriminazione”. “Il Family Equality Council – ha aggiunto – farà di tutto affinché le famiglie omosessuali siano protette e al sicuro”.
Le celebrazioni sono continuate con il Rally venerdì 26 giugno, la tradizionale veglia a lume di candela che si perpetua dal 1969, quando 500 persone si riunirono a Washington Square Park per il primo Gay Power (quest’anno all’Hudson River Park, con la performer Ashanti), e con il Teaze, il party dedicato alle donne, purtroppo troppo bagnato per essere partecipato: la pioggia battente che si è riversata su New York proprio sabato ha praticamente allagato il Pier 26, senza però scoraggiare un folto gruppo di irriducibili che, muniti di buste di plastica e ombrelli, ha danzato sotto la pioggia con le selezioni musicali di 3 Dj femmine d’eccezione, Ruby Rose, Sherock e Whitney Day.
Dereck Jacobi e Ian McKellen, Marshals d’onore della Marcia
Tra un rooftop party e l’altro, si è arrivati finalmente alla Marcia di domenica 28 giugno, un evento che, come hanno ribadito Chris Frederick e James Fallarino della NYC Pride durante la conferenza stampa di presentazione che ha preceduto la marcia, diventa ogni anno più grande e partecipato. Si chiamerà marcia e non parata fino a che non ci sarà una completa e piena parità per la comunità LGBT: oltre 3 chilometri di percorso, dall’angolo tra la Fifth Avenue e la 36th Street fino allo Stonewall, 344 contingenti coinvolti per un totale di 22.000 persone marcianti, 2 milioni di spettatori. Quattro i Marshals d’eccezione dell’evento: J. Christopher Neal, fondatore della FluidBeDesign, Kasha Jacqueline Nabagesera, Direttore Esecutivo della Freedom & Roam Uganda (FARUG), Dereck Jacobi e Ian McKellen, entrambi attori famosi (McKellen è Gandalf ne Il Signore degli Anelli) e insieme protagonisti di Vicious, la serie tv inglese della PBS. Un minuto di silenzio alle 11.58, per ricordare tutti coloro che hanno marciato in passato e le vittime dei crimini dell’odio senza senso, poi l’inno nazionale statunitense, eseguito da Titus Burgess, quindi finalmente l’inizio della marcia. In testa gli Scouts fo Equality di Brooklyn, le roboanti motociclette del Sirens Women’s Motorycycle Club e le FIAT Cinquecento (uno smacco all’Italia del Family Day?) che ospitavano Sir Dereck Jacobi e Sir Ian McKellen. A seguire, tutto il corteo. Presente, ma inavvicinabile, anche il sindaco di New York Bill De Blasio, con la famiglia al completo, che per l’occasione si è presentato con una cravatta arcobaleno. Davanti a lui, una richiesta di matrimonio in diretta, due donne felici: “Will you marry me?”.
Tanti i colori, tanta la musica e tante le sigle: “Jesus loves gay”, “Love has no label”, “Celebrate diversity”, “Fuck smarter! Fight harder! Fight AIDS!”. Una mamma, con tanto di tacchi ai piedi, che marciava con il cartello “My son wears heels too”. Nel corteo, anche chi in realtà non c’entrava niente con il Pride: Joe, su una carrozzella con il cartello “Don’t let cancer kill me”, un “hangry pacifist”, un ragazzo travestito da orsacchiotto che dispensava abbracci gratuiti e un gruppo di stravaganti manifestanti a favore di un’immediata legalizzazione della cannabis.
L’arrivo di Bill De Blasio alla Marcia
La felicità per come si è smosso il corso degli eventi dopo la sentenza della Corte Suprema si sente e si percepisce. Insieme alle famiglie omosessuali, numerosissime in mezzo al corteo, anche tante famiglie eterosessuali: una vittoria per l’amore.
Mi avventuro tra la folla e inizio a chiedere in giro se in Italia, a differenza degli USA, l’amore non abbia vinto (il riferimento è al Family Day organizzato a Roma lo scorso 20 giugno per dire no alle unioni civili).
Per J. Christopher Neal, uno dei 4 Marshals del Pride newyorchese, è la paura ad aver vinto in Italia: “Non è l’amore a non aver vinto, ma la paura che è prevalsa. Le persone pensano di perdere qualcosa dicendo sì al gender, di perdere parte della loro cultura e tradizione”.
Phillip Cheung, una transessuale in testa al corteo, crede che la differenza tra USA e Italia risieda nel fatto che negli USA la comunità LGBT abbia avuto la possibilità di esprimere i propri diritti, in Italia invece la Chiesa ha ostacolato l’affermazione di questi diritti: “La Chiesa non sta facendo un buon lavoro, promuove odio e ricorda: la Bibbia è stata scritta dagli uomini non da Dio”.
Joseph della Marriage Equality USA, insieme al compagno Rod e al figlio Cooper, mi confessa: “Sono italoamericano, la mia famiglia viene da Sciacca, in Sicilia, e mi rende molto triste vedere che là, in Italia, non possano condividere quello che stiamo condividendo oggi qui, dove l’amore ha vinto. Noi siamo una famiglia, lui è il nostro meraviglioso figlio Cooper e ci auguriamo che le famiglie omosessuali di tutto il mondo un giorno possano vivere quello che stiamo vivendo noi”.
Per Duana, una ragazza eterosessuale, anche lei di origini italoamericane, l’Italia è rimasta ancorata al passato: “A un certo punto ci si deve per forza rinnovare e seguire i tempi che cambiano. Il mondo sta cambiando, tutto sta cambiando intorno a noi”. Le chiedo, se secondo lei, il fatto di avere il Papa nel nostro paese non aiuti le cose. “Oddio, più che il Papa che mi sembra abbastanza progressivo, penso che il problema sia la mentalità degli italiani: ognuno è arroccato nelle proprie convinzioni. Ci vorranno anni prima che le cose cambino in Italia”.
Per Lee, l’amore è universale: “Tutti gli esseri umani sono adatti all’amore e al rispetto del gender, ma penso che la Chiesa abbia fatto un sacco di danni. Sono troppo felice di quanto ha deciso la Corte Suprema. Sono single e non so mai se mi sposerò, ma mi fa stare bene sapere che ci siano le carte giuste per farlo”.
Kevin Moore, che marcia con il suo compagno Enrico Gomez, mi dice: “Non sapevo del Family Day italiano, ma mi rattrista sapere che la famiglia abbia dei limiti. Penso che la religione non giochi il ruolo che dovrebbe giocare: Gesù è sceso sulla terra per insegnarci ad amare, spero che le generazioni future possano essere più intelligenti di quelle attuali”. Anche lui è felice della sentenza della Corte Suprema e mi comunica che si sposerà il prossimo 31 luglio, dopo 18 anni di relazione con Enrico.
Tra i contingenti in corteo, anche la Mosaic of Westchester, un’associazione attiva nell’inclusione degli ebrei LGBT. Scambio due parole con una delle fondatrici, Diane Werner: “La nostra associazione è fermamente convinta che gli ebrei LGBT debbano essere integrati nell’intera comunità ebraica”. Sulla sentenza: “Siamo felici e speriamo che si continui ad andare avanti in questa direzione”; e sul Family Day italiano: “È soltanto questione di tempo”.
Per Sharon, con la sua compagna da 8 anni, l’America ha fatto un passo avanti per rendere le famiglie omosessuali un po’ più protette, ma non basta: “La sentenza della Corte Suprema ha definito la relazione tra una coppia, ma non c’è ancora nessuna garanzia su come questa possa proteggere gli eventuali figli. Il problema della non accettazione della famiglia gender in Italia penso sia dovuto a più fattori combinati, che fanno capo alla Chiesa, alla politica e alla mentalità degli italiani”.
Il 2015 passerà alla storia come l’anno del Full federal marriage equality, ma il lavoro della comunità LGBT continuerà perché quel “sogno da completare”, slogan di quest’anno, diventi sempre più realtà.