E’ meglio sapere quello che si è o quello che non si è? La certezza è sicurezza ma non permette lo sviluppo della personalità attraverso la conoscenza di se stessi. Se un giovane non si forma come individuo unico non avrà una sua identità. E farà propria l’identità di un gruppo.
Questo è il grande male del secolo, a causa delle opposte tendenze di globalizzazione economica e religione unica. Pertanto nella prima parte della vita è importante capire quello che non si è, cioè quello che si è in grado di fare, così nella seconda si potrà sapere quello che si è, si è diventati. Un unico mercato e un solo dio annullano la personalità che non è più capace di creare. Ogni cultura ha avuto un dio che ha creato a modo suo, proprio perché degli esseri unici l’hanno creata con la loro fantasia, i loro bisogni e le loro conoscenze.
Cultura è il culto attraverso il quale gli antichi suggellavano un sentimento etico per dare norme sociali a una comunità. E’ la cultura, non solo gli usi e i costumi di un’etnia, a determinare l’identità di una società. Cultura oggi è sinonimo di civiltà, patrimonio di conoscenze di chi è colto. Identità non è solo identificazione, come senso di appartenenza a un gruppo, perché senza un processo di ricerca personale (conosci te stesso) non conduce alla differenziazione individuale, ma ad una rassicurante quanto malsana omologazione. Conoscere gli dei è conoscere i nostri pregi e difetti, forma la coscienza etica e determina la libertà d’espressione.
Identità è differenziazione, mentre identificazione è riconoscere identico, uguale ad un altro. Infatti il latino per esprimere il verbo identificare utilizzava una perifrasi con il verbo riconoscere “agnoscere” e il pronome “idem, eadem, idem” (a seconda dei generi). Ancor più: il verbo riflessivo identificarsi era reso con “videor” o “appareo” oppure “in unum confluo” o “confundo”. Quindi insieme fino a confondersi. Bella roba. Perché in tal modo non si diventa esseri umani, ma cose, robot.
Le religioni politeiste attraverso i racconti dei pregi e difetti degli dei descrivevano il genere umano, essi dovevano essere d’esempio positivo e negativo per i mortali. Gli antichi avevano capito che l’onnipotenza di un solo dio poteva condurre all’identificazione e allo sviluppo della hybris: superbia e tracotanza che portano all’eccesso e alla prevaricazione. Come avviene ogni giorno nella vita pubblica e in quella privata.
La scorsa settimana gli alunni della scuola media Corsi di Trieste, ragazzi di 12 e 13 anni, al teatro greco, hanno messo in scena la hybris degli uomini e la nemesis degli dei. Più che una punizione, la vendetta divina per avere voluto oltrepassare i limiti umani comportandosi come loro.
Questo è stato possibile grazie a degli insegnanti illuminati che sanno andare oltre la programmazione del ministero della Cultura, il quale non considera più obbligatorio lo studio del latino alle medie. Perché sanno che i miti greci e latini formano l’etica individuale. Hanno saputo far vivere ai loro allievi i miti greci e latini, narrati da Ovidio nelle Metamorfosi, come processo di crescita individuale interiore nel delicato periodo adolescenziale, quando si scopre l’amore ma anche il dolore.
Ecco Fetonte che precipita dal cielo perché aveva voluto eguagliare Apollo conducendo il suo cocchio troppo vicino al sole: “Gnothi seauton”, conosci te stesso, ripetono a turno in greco i ragazzi. Era l’ammonimento del dio del sole Apollo, inciso all’entrata del tempio di Delfi. Ma Apollo è anche il padre sconosciuto, mentre “mater semper certa est”. Come Proserpina, figlia di Cibele che non conosce il padre Zeus e crede che la sposa Giunone sia sua zia. Miti che servono anche a far comprendere ai ragazzi la famiglia allargata. Il ratto di Proserpina non è amore dicono i ragazzi, è violenza. Come non è amore quello che nutre Narciso per la sua immagine e l’ammoniscono: “Gnothi seauton”. Orfeo non ama abbastanza Euridice e la perde per sempre: “Che farò senza Euridice, che farò senza il mio amor?”
Conoscere i propri limiti è avere la consapevolezza di essere inferiore agli dei. Ma ora è l’epoca in cui gli uomini hanno cancellato gli dei perché si sentono dei e adorano chi si dimostra materialmente superiore a loro. Solo quando soffrono privazioni e scorre sangue, scoprono che si sono affidati in massa a uno psicopatico che gli ha privati dell’autodeterminazione, della libertà, della vita.