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March 13, 2015
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Eroi e falliti, ovvero la competizione spietata spacciata come meritocrazia

Francesco ErspamerbyFrancesco Erspamer
Time: 3 mins read

 

Articolo di prima pagina del New York Times di giovedì 12 marzo (“Unsettled at Home, Veterans Choose a New Fight”) sui veterani delle guerre in Iraq o in Afghanistan che vanno volontari in Iraq o in Siria a combattere contro l’Isis. Stiamo parlando di americani di nemmeno trent’anni, motivati, spiega il giornale, da un cocktail di ragioni, in particolare “l’indignazione per le atrocità commesse dall’Isis e la noia della vita civile”. 

Come ormai spesso capita ai media americani e occidentali, il servizio si limita a descrivere una situazione e a darne l’interpretazione più superficiale e immediata. Nessuna analisi, nessuna volontà di denuncia, di risalire alle cause sociali di un fenomeno. Neanche un sospetto, per esempio, che quelle due ragioni possano essere connesse: che la rabbia nei confronti dell’Isis possa essere una conseguenza delle ore trascorse, in mancanza di meglio da fare, a guardare alla televisione o su internet il canale d’informazione (si fa per dire) di gran lunga più diffuso negli Stati Uniti, Fox News, specializzato nello spaccio di cazzate tipo quella che in Inghilterra ci siano città dove i non musulmani non possono entrare (persino un conservatore come il premier britannico David Cameron fu costretto a reagire definendo l’“esperto” in terrorismo che aveva dato la notizia “un totale idiota”). O che la noia e la solitudine che spingono questi ex militari a un consumo eccessivo di televisione spazzatura (oltre che di pornografia, alcol e droghe) nasca dalle precise scelte di politica economica e sociale imposte dal neocapitalismo, nella fattispecie lo smantellamento delle comunità in nome della mobilità e precarietà del lavoro, l’esaltazione di un consumismo reso compulsivo da tecnologie individualistiche, la competizione spietata a qualunque livello (scuola, sport, occupazione), spacciata come meritocrazia. 

Un paese che manda giovani uomini in guerra e che li scarica appena rientrati in patria (anche i soldati sono dei precari privi di garanzie sociali) senza per di più essere in grado di offrire loro prospettive diverse dal ritorno all’esercizio della violenza (peraltro celebrata e praticata, sia pure virtualmente, in innumerevoli videogiochi) ha seri problemi che dovrebbe riconoscere e provare a correggere. Ma i media, da Fox News al New York Times, non sono fattori di cambiamento: piuttosto trincee scavate per difendere il sistema vigente. Preferiscono dunque limitarsi a catalogare e banalizzare le situazioni: chi combatte in Medio Oriente è un vincente e, per antonomasia, un eroe; ma gli eroi che non riescono a reinserirsi nella vita ordinaria, anzi, che non riescono a “sfondare” nella vita ordinaria, sono dei falliti. 

L’articolo del New York Times descrive l’esistenza di uno di questi ex soldati: dopo aver lasciato i Marines quattro anni fa, a 25 anni, “è passato da un’occupazione all’altra, lavorando come operaio edile, barista, conduttore di un taxi a pedali, vigilante”, senza alcuna prospettiva di trovare un posto stabile. Per questo vuole tornare, da mercenario, in Iraq. (Ma per persone come lui stanno cercando di aprire un altro mercato: l’Ucraina).

Sventurata la terra che ha bisogno di eroi, dice Galileo nel dramma di Bertolt Brecht. Ma molto più sventurata è la terra che ha bisogno solo di eroi o di vincenti, e che di tutti gli altri non sa che farsene. È incredibile che la gente accetti il proprio impoverimento materiale e spirituale solo perché i media le raccontano che il libero mercato, la globalizzazione e la continua innovazione tecnologica sono realtà inevitabili o almeno, per usare la formula con cui l’America giustificò il suo imperialismo e la sua supremazia, un destino manifesto. Non è vero. Non è vero che digitalizzare e automatizzare qualsiasi attività, trasformare i dipendenti in freelance o consulenti, delocalizzare le fabbriche e gli uffici, defiscalizzare i profitti finanziari e consentire la libera circolazione dei capitali, delle merci e dei lavoratori, porti al benessere. Porta solo all’osceno arricchimento di pochi speculatori, la feccia del pianeta. Non è questione di rinunciare al progresso o di distruggere le macchine, come i luddisti due secoli fa: è questione di regolamentare il progresso, di subordinarlo al bene comune. Egoismo e arrivismo, isolamento e mancanza di solidarietà e di empatia, aridità e ignoranza, rinuncia a princìpi o valori condivisi, culto del successo e del denaro sono solo l’ideologia dei ricchi, il liberismo, oggi dominante ma che può essere spazzato via in qualsiasi momento. Come nella favola di Andersen, basta guardare e avere il coraggio di accorgersi e di gridare che il re è nudo e che i suoi cortigiani sono dei bugiardi.

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Francesco Erspamer

Francesco Erspamer

Nato a Bari, cresciuto a Parma e in Trentino, laureato a Roma, professore a Harvard. Mi interesso di letteratura, politica, storia delle idee e cambiamenti culturali. Insegno corsi su estetica, romanzo moderno e contemporaneo, Rinascimento, calcio. Di recente ho scritto: La creazione del passato, Sulla modernità culturale e paura di cambiare, Crisi e critica del concetto di cultura. Come Gramsci, penso che al pessimismo della ragione occorra accompagnare l’ottimismo della volontà, e come James Baldwin, che la libertà non la si possa ricevere in dono: bisogna prendersela.

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