Silvio Berlusconi è stato definitivamente assolto nel caso Ruby. Alla notizia ricordiamo cosa scrisse, con parole limpide e precise, uno dei maggiori letterati del Novecento italiano, Franco Fortini: “Tutti i processi per motivi di costume implicano una dimensione politica se rivolti ad una persona pubblica. Il processo al famoso regista o banchiere sorpreso con una minorenne sono politici sotto qualsiasi regime”. Fortini si riferiva a Pier Paolo Pasolini, che era stato a lungo perseguitato da sempre solerti Pubblici Ministeri, anche per la sua intimità sessuale: sin dai famosi “fatti di Ramuscello”, in Friuli, quando venne accusato di “corruzione di minorenni” e “atti osceni in luogo pubblico”, per essere rimasto in intimità con tre ragazzi. Era l’Ottobre del 1949. A Dicembre dell’anno successivo venne assolto dal reato sessuale (allora definito contro il pudore e l’onore sessuale), condannato per gli atti osceni; nell’Aprile del 1952 venne assolto anche da questo reato. Ma, poichè con l’azione penale si può fare quello che si vuole, divenne un abituè del banco degli imputati, con esiti quasi sempre assolutori. Ma non importa: giacchè per intimidire, torturare, soggiogare, basta e avanza diventare il trastullo di un Pubblico ministero.
Un uomo e un artista di quella levatura intellettuale non solo seppe descrivere magistralmente quel putridume processuale, ma fece di più: ne fissò le matrici culturali. In polemica con Calvino che, insieme a molti altri intellettuali di più ligia sinistritas, già suoi amici, gli rimproveravano con le sue invettive “luterane” e “corsare” mosse anche contro aborto e divorzio, di rimpiangere “l’italietta”, Pasolini replica che è “italietta” proprio quella così fanaticamente prona su accuse giudiziarie di schietta estrazione moralistica: è “…un paese di gendarmi che mi ha arrestato, processato, perseguitato, tormentato, linciato per quasi due decenni” (Caos, 25); lo “sa”, avendo sperimentato “l’angoscia di chi per anni e anni si attendeva ogni giorno l’arrivo di una citazione del tribunale”. E si noti il nesso: all’angoscia della citazione, si accostava il “… terrore di guardare nelle edicole per non leggere nei giornali atroci notizie scandalose sulla sua persona”. E precisa: non sono “…quei famosi mesi con la condizionale che rischiamo ogni giorno” lo scopo ultimo di questa “italietta”; “Ciò che conta è la condanna. La condanna pubblica. Il venire additati alla pubblica opinione come ‘rei’ di idee contrarie alla comunità”. E ancora: “…e lascio immaginare al lettore il sentimento che può provare un innocente sentendosi condannare. Credo che non ci sia niente di più insopportabile e disumano. E’ un vero e proprio atroce dolore fisico a cui non c’è rimedio…” (Caos, 190). Il processo penale mette capo al “disumano”.
Se mi sono soffermato su queste mirabili parole, e su un simile precedente, non è per gusto archivistico. Ma per rilevare quale condizione di perdurante regresso mantenga la sempre viva “italietta”.
A Milano, in Procura della Repubblica, se possibile hanno fatto ancora peggio: perchè hanno ripristinato lividure da anni ’50; perchè hanno aggiunto contro Silvio Berlusconi un’accusa di concussione nonostante il Dott. Ostuni (il funzionario della Polizia di Stato, preteso concusso) avesse ripetutamente dichiarato di non essere stato in alcun modo minacciato o “indotto”; perchè, in pieno spasmo inquisitorio, hanno accusato di falsa testimonianza tutti i testimoni a difesa; perchè hanno violato regole nel riparto dei fascicoli, non esitando a inscenare l’indegno spettacolo di un conflitto che ha avuto il solo effetto di sanzionare l’infingardaggine e la superfluità del Consiglio Superiore della Magistratura; perchè hanno mostrato che gli imputati sono solo materia inerte e anonima per opache e irresponsabili esercitazioni di potere, queste sì lubriche e insanamente libidinose; perchè hanno moltiplicato a dismisura l’impatto degradante delle accuse mediante una studiata strategia di divulgazione e abbrutimento della pubblica opinione.
Ma, soprattutto, hanno impedito qualsiasi seria critica all’uomo politico Berlusconi, occupando lo spazio pubblico con ogni sorta di sconcezze processuali e riducendo l’azione penale a catalizzatore piatto e monocorde di giudizi che, nella sede propria, politica ed extragiudiziaria, avrebbero potuto e dovuto essere ben altrimenti pertinenti e penetranti.
Che si tratti di un regista, uno scrittore, un banchiere o un industriale, qui non ci sono innocenti.