A maggio dello scorso anno un cittadino svizzero-italiano perse la vita nel Bronx. Si chiamava Olivier D’Orio, aveva 37 anni ed era padre di un bambino di 8 anni e una bimba di 3 e mezzo. Olivier era in vacanza a New York da un’amica spagnola conosciuta a Zurigo. Perse la vita nella notte tra il 23 e il 24 maggio, colpito da un pugno davanti a la bodega Guerrero, su Washington Avenue e East 184th Street.
Già il giorno dopo, su YouTube c’erano i filmati delle telecamere di sorveglianza che mostrano Olivier conversare amichevolmente col ragazzo che poi lo avrebbe colpito, lo si vede entrare nel negozio e parlare con i presenti. Poi lo si vede uscire, allontanarsi e tornare dopo poco, a torso nudo, avvicinarsi al giovane con cui aveva parlato poco prima all’interno del negozio, essere colpito al volto e cadere a terra. Poi più niente. I soccorsi arrivarono diversi minuti dopo, mentre davanti al negozio continuava il normale andirivieni. All’arrivo in ospedale Olivier era morto.

Olivier D’Orio, ucciso nel Bronx il 24 maggio 2014
I giornali parlarono di un uomo ubriaco e molesto che chiedeva ai gestori dell’alimentari di fare una telefonata in Svizzera e insisteva con gli altri clienti del negozio, di pagargli da bere. In poche parole, se l’era cercata. L’immagine data dalla stampa è quella di un piantagrane, di una persona rissosa che, già ubriaca e senza soldi, voleva continuare a fare baldoria. La stampa riportò testimonianze secondo cui l’uomo aveva avuto problemi nel quartiere e aveva infastidito altre persone.
Olivier morì sul colpo. Ma per la polizia e la magistratura non si trattò di omicidio. Ora la madre, Antonia D’Orio, vuole giustizia, non solo nei confronti del ragazzo che causò la morte di suo figlio, ma anche e soprattutto giustizia per la memoria di un figlio che non riconosce nei racconti della stampa: “Mio figlio non era un ragazzo di strada. Non beveva, né usava droghe. Lo posso giurare sulla sua tomba, che è ancora fresca”.
Proprio per raccontare un’altra versione dei fatti e tentare di dare un’immagine diversa di suo figlio, Antonia D’Orio ha voluto parlare con La VOCE di New York durante uno dei suoi purtroppo frequenti viaggi in città degli ultimi mesi. La signora D’Orio vive a Zurigo, dove è emigrata negli anni ’70 e dove Olivier era cresciuto e avrebbe dovuto tornare dopo il viaggio a New York.
L’abbiamo incontrata nello studio dell’avvocato Germana Giordano che ha preso in carico il caso pro bono. Più che concentrarsi sulla dinamica dell’evento, la signora D’Orio ha voluto raccontare un Olivier diverso da quello dipinto dalla stampa. Le sue parole sono intrise di un dolore che non avrebbe senso provare a definire. Ma c’è anche tanta incredulità nella sua voce e incapacità di accettare un sistema che non si fa scrupoli a raccontare una storia parziale e a lasciare la famiglia senza una verità: “Per me l’hanno ammazzato più volte presentandolo così nei media. I giornali di Zurigo hanno ripreso tutta la storia con il nome per esteso. Non abbiamo mandato a scuola il bambino per giorni proprio per questo. Farò di tutto. Non posso lasciare le cose così. Tenterò di far cancellare questi video da Internet cercando di spiegare la situazione umana mia e dei bambini. Non voglio che i figli, che erano molto legati al padre, siano turbati da queste immagini e da quanto scrivono i giornali”.

La signora D’Orio nello studio dell’avvocato Giordano
Antonia D’Orio ci ha raccontato di un uomo serio e responsabile, ben voluto da tutti e istruito: “Aveva studiato economia in Svizzera e poi aveva fatto varie specializzazioni in analisi dei rischi in ambito assicurativo. Era molto amato. Tutti volevano essere suoi amici. E lui era bravo a curare le amicizie, alcune le conservava fin dall’asilo. Al funerale sono venute 300 persone. E tutti erano increduli per come la storia è stata raccontata”.
Il ragazzo che colpì Olivier si chiama Brownie Lopez, ha 19 anni ed è dominicano. Si è costituito il 25 maggio (non che avesse molte possibilità, dato che c’erano dei video dai quali era facilmente riconoscibile), ma rischia poco: “L’imputato è accusato di due capi di imputazione – spiega l’avvocato Giordano – Uno è aggressione di terzo grado, che è un reato minore, punibile fino a un anno di reclusione; il secondo è molestia, una violazione, punibile con un massimo di 15 giorni in prigione. Poiché in America non esiste l’omicidio preterintenzionale, secondo il pubblico ministero non ci sono gli elementi per un’accusa di omicidio. È il cosiddetto one punch murder che si basa sulla presupposizione che solo con un pugno non si verifica la morte”.
Una giustizia, questa, che lascia allibita una madre che ha perso un figlio: “Senza essere vendicativa, ma per il sistema di giustizia cui sono abituata, che sia svizzero o italiano, i presupposti per una condanna da sei a otto anni ci sono tutti”.
Il pubblico ministero ha invece chiesto tre anni con la condizionale. Una richiesta che secondo l’avvocato Giordano è sensata, date le condizioni: “Credo che, pur di ottenere una condanna, il pubblico ministero abbia fatto un’offerta intelligente, non dico giusta, ma intelligente. Senza un periodo di reclusione ci sono maggiori possibilità che lui accetti senza andare a processo e si prenda la responsabilità di quello che ha fatto. Se il pubblico ministero avesse fatto una richiesta più dura, lui avrebbe potuto pensare che gli conveniva andare a processo, magari davanti a una giuria di gente che poteva pensarla come lui, il che non è infrequente nel Bronx. Anche se in udienza è sembrato molto menefreghista: sapeva che la madre di Olivier era in tribunale, ma nonostante questo sbadigliava, era stravaccato sulla sedia, si è presentato con i jeans bucati e calati sotto il sedere, tanto che il giudice l’ha ripreso”.
Dopo una serie di rinvii procedurali, il processo inizierà il 25 marzo.

Olivier D’Orio durante una maratona contro il razzismo
L’iter giudiziario va avanti con i tempi della burocrazia, ma intanto Antonia D’Orio non smette di farsi domande. Nella ricostruzione dei fatti non riconosce i comportamenti tipici del figlio, né immagina alcun atteggiamento di Olivier che possa aver provocato la reazione violenta che ne ha causato la morte. A suo avviso è fuori discussione che il pugno sia partito come reazione a un insulto: “Era una persona molto cosciente, soprattutto cosciente di se stesso. Era lui il primo a sapere quando qualcosa di se stesso andava bene o no”. Impossibile anche la matrice razziale, anche perché Olivier era di padre africano ed era stato sposato (poi separato) con una donna dominicana : “Era un uomo che rispettava la famiglia, proprio per essere figlio e nipote di immigrati. Si impegnava contro il razzismo: nel 2013, a settembre, partecipò a una maratona contro il razzismo. Non aveva pregiudizi, era cresciuto tra varie culture. Considerava le persone come individui non come appartenenti a un etnia. Navigava tra le culture. Magari di indole era più italiano, ma conosceva bene anche la cultura di suo padre, era stato varie volte in Africa. È stato uno dei primi meticci: 37 anni fa in Svizzera non era scontato. Ebbe un ruolo emblematico, fu preso un po’ a modello”.
Da escludere anche un’incomprensione linguistica: Olivier parlava cinque lingue tra cui l’inglese e perfettamente lo spagnolo, più comune in quella zona del Bronx, tanto che l’imputato parla solo spagnolo e in tribunale si è servito di un interprete.
Secondo l’avvocato si è trattato di un’agghiacciante, quanto purtroppo frequente, storia di ignoranza: “Credo che questo Brownie Lopez sia un ragazzo che non conosce altri modi di reagire. Non ha i mezzi per poter ragionare diversamente e ha visto in quella situazione un momento per comportarsi come gli hanno insegnato, con la violenza. Ma non c’era bisogno di picchiare Olivier. Non aveva motivo di ritenere che fosse in pericolo. A mio avviso dal video si vede che Olivier era magari ubriaco, ma non pericoloso. Barcollava e, anzi, quando una persona è in quelle condizioni, è anche meno pericolosa. L’imputato ha detto che quando ha visto Olivier avvicinarglisi a torso nudo ha pensato che stava per essere attaccato. Ma dai video si vede che Olivier aveva la camicia appoggiata sul braccio. Generalmente, nella mia esperienza di avvocato penalista, quando una persona ha intenzione di attaccare, in una situazione simile a quella di Olivier, libera le mani, non si sarebbe assolutamente avvicinato al suo bersaglio con la camicia appoggiata sul braccio, come mostra chiaramente il video”.
Per l’avvocato della famiglia, quindi, non c’era alcuna necessità di difesa, né c’è motivo di ritenere che Olivier avesse in alcun modo provocato il suo aggressore.
“Olivier era visibilmente intossicato — prosegue Germana Giordano — ma era completamente innocuo, all’interno della bottega Olivier barcollava, scherzava e veniva punzecchiato fisicamente con una banana dagli amici dell’aggressore, pochi istanti prima del suo attacco. Lopez lo osserva dal marciapiede, mentre Olivier è ancora all’interno della bodega. Lopez studia il suo attacco. È completamente calmo. Continua a parlargli mentre lui è ancora all’interno della bodega, non lo perde mai di vista, non scappa, non si mette al riparo. Appoggia, in preparazione dell’attacco che seguirà a pochi secondi, il sacchetto di plastica nero, mentre Olivier continua a scambiar parole con l’amico di Lopez. Lopez ha la situazione completamente sotto controllo ed è pronto all’attacco. Infatti gli basta un solo schiaffo a mano aperta per uccidere Olivier. Se Lopez avesse avuto davvero paura di Olivier avrebbe avuto tutto il tempo di mettersi al riparo, di mettersi in salvo. Non avrebbe neanche dovuto scappare, avrebbe potuto semplicemente girarsi ed andar via. Ma non lo ha fatto. Ha preferito uccidere Olivier”.
Se per l’avvocato l’aggressore è una “vittima del sistema”, Antonia D’Orio trova che un sistema che non punisce chi ha compiuto un atto del genere sia fallimentare: “Credo che siccome sa che non deve temere granché se ne freghi. E quindi sarà di nuovo violento. Per me è uno abituato alla violenza”.
Ci sono elementi poco chiari nella dinamica dell’incidente e in quello che è successo dopo: “C’è qualcosa che non quadra. Tutto è molto opaco. Non ho informazioni. Non so che spiegazione darmi” dice ancora la signora D’Orio.

Olivier D’Orio con il figlio Lorenzo che oggi ha 8 anni
Innanzitutto, nel primo contatto con la polizia, alla madre fu detto che Olivier era stato trovato senza effetti personali addosso. Si scoprì poi, attraverso il verbale della polizia, che in realtà l’uomo aveva con sé il suo portafogli con tanto di carte di credito. “Mio figlio aveva un ottimo lavoro, e con grandi potenzialità, in una grossa compagnia di assicurazioni internazionale. Guadagnava 10.000 franchi al mese. Il suo datore di lavoro ha preso in carico tutti i costi del funerale e di trasporto: non lo avrebbero fatto per un buono a nulla”.
La versione dei fatti che vede Olivier insistere perché gli si pagasse da bere non ha senso per la madre: “Nel portafogli c’era tra l’altro la ricevuta della Western Union da dove aveva ritirato 700 dollari che gli avevo mandato io perché volevo comprasse delle cose per i bambini. Anche mia sorella gli aveva mandato dei soldi perché comprasse delle cose qui. Ma quelli non li ha mai ritirati”. Dagli atti non risulta che Olivier avesse del contante quando è stato trovato dalla polizia.
C’è poi un elemento di ulteriore mistero. La madre venne a sapere di quanto era successo a Olivier da una telefonata in cui qualcuno che non conosceva, in inglese, chiedeva all’ignara Antonia se avesse visto le notizie in rete e sapesse cosa era successo a suo figlio. Era un numero del New Jersey e la signora D’Orio immagina che quella persona avesse il suo numero di telefono perché quello era uno degli ultimi che Olivier aveva chiamato dal suo cellulare. Ma di quel cellulare non c’è traccia, non è mai stato trovato, né è stato mai cercato. “Abbiamo provato a chiedere che venisse tracciato dalla polizia, ma non è stato fatto – ci spiega Germana Giordano – Così come nessuna verifica è stata fatta su quel numero del New Jersey da cui è partita la telefonata”.
Infine c’è la ragazza che Olivier era venuto a trovare. Secondo il pubblico ministero, che ha raccolto la sua testimonianza, pare che lei lo avesse buttato fuori di casa. Ma la ragazza si è rifiutata di incontrare la madre di Olivier che tuttavia ricorda che, durante l’ultima telefonata avuta con il figlio, Olivier le avesse detto di avere avuto qualche problema con questa persona che lui non definiva come sua ragazza ma semplicemente come amica. “Questa ragazza è un punto oscuro – ci dice la signora D’Orio – Sono convinta che sia successo qualcosa. Per me era soprattutto interessata, e l’ho anche detto a mio figlio. Secondo me deve esserci stato un problema di soldi”. Oliver avrebbe dovuto prendere un aereo il giorno prima dell’incidente. Sul perché non prese quell’aereo restano vari interrogativi. Forse voleva provare a rappacificarsi con l’amica o forse c’era qualcosa che voleva risolvere.
Antonia D’Orio vorrebbe capire cosa è successo, per potersi almeno dare una conclusione. E vorrebbe poter riabilitare la memoria di quello che per lei resta un figlio modello: “Era una persona attenta – conclude con un filo di voce – attenta ai suoi bambini, attenta anche a me. Lo vedevo quasi tutti i giorni perché passava a vedere come stavo. Non era un superficiale, al contrario. Una persona muore, dei bambini perdono il padre e devo essere io a battermi perché mio figlio sia riconosciuto come vittima. Che sia riconosciuto che è lui la vittima, vittima di una violenza senza la quale non sarebbe morto”.
Discussion about this post