“La vita è il fatto cosmico dell’altruismo, ed esiste solo in quanto emigrazione dell’Io verso l’Altro”. Così nel 1950 scriveva Ortega y Gasset, filosofo, antropologo, esteta spagnolo nato a Madrid nel 1883 e morto, a Madrid, nel 1955.
All’epoca, in gran parte dell’Occidente, questa impostazione veniva condivisa da primi ministri, parlamentari, pensatori, romanzieri, editori, industriali, sindacalisti, cittadini. Ortega y Gasset riaffermava così la propria posizione critica, sebbene non del tutto ostile, verso il concetto dell’uomo-massa, che era stato così caro al Fascismo e, a partire dalla Rivoluzione d’Ottobre, lo era al Comunismo rappresentato dall’Unione Sovietica prima, dai Paesi della Cortina di Ferro poi.
Nell’uomo-massa si notavano tuttavia aspetti positivi, quali una solidarietà collettiva che lo stesso Ortega dall’alto della propria onestà intellettuale non poteva negare. Ma oggi nulla resta di quegli orientamenti, di quei ‘punti di riferimento’, di quei cardini. Viviamo nell’epoca di un consumismo ormai esasperato, ormai sfrenato (ma per quanto ancora potrà durare??), e quindi di una standardizzazione di costumi che alcuni avevano già previsto negli anni Sessanta e fra questi personaggi forniti di preparazione e di intuizione fuori dal comune figurava Perpaolo Pasolini.
Viviamo nell’epoca che assiste al lento, lentissimo, ma inesorabile declino dell’Occidente, e in particolare al declino della nazione italiana. Sono i tempi di una massificazione che lascia sconcertati, sgomenti, allibiti, ma questa non è massificazione “da uomo-massa”: è massificazione passiva, impersonale, arida. Nulla di edificante da essa nasce. Nulla di elegantemente originale sa essa concepire. Nessuno spessore umano, sociale, culturale vi si presenta. I ritmi d’oggigiorno nella maggior parte dei casi, sono frenetici: eppure il cammino degli italiani, il cammino di popoli europei – forse il cammino stesso degli americani – si presenta macchinoso, goffo, insicuro. Vi aleggia il fiato del fallimento, il fiato della sconfitta, ma che non è fallimento immeritato, non è sconfitta onorevole; bensì insuccesso meritato; disfatta ingloriosa, riportata dopo non aver nemmeno combattuto o dopo aver combattuto solo su posizioni di retroguardia, di attendismo suicida.
Massificazione a briglia sciolta, quindi, ma anche l’affermazione malsana, nociva, almeno in Italia, di un individualismo di cui non abbiamo memoria… È l’individualismo che tiene banco nei posti di lavoro, che dimezza la portata di scioperi e agitazioni, che complica insomma il rapporto fra le persone, che acceca, altera, incattivisce, incanaglisce. Il “paradosso” è enorme, è spaventoso; confessiamo che fino a dieci o vent’anni fa nulla di tutto questo ci saremmo aspettati. Massificazione-individualismo, appunto. Pare un’invenzione, una creazione “diabolica”. O un “parto innaturale”… O, sennò, un’“unione abominevole”.
Su un equivoco così vistoso si muovono a meraviglia i Renzi, i Berlusconi, perfino gli Alfano. Renzi e Berlusconi non potrebbero chiedere di meglio: un popolo massificato, ma legato con “passionalità” all’individualismo così tanto apprezzato dal capo ufficio, dal patron, dal commendatore i quali premiano con somma gioia i dipendenti meritevoli, assidui, carini, soprattutto carini: devono esserlo. E devono esser sempre di buonumore.
Un popolo narcotizzato dalla retorica dell’intento “buono”, dalla retorica dell’azione “comune”: chiacchiere che chissà che cosa nascondono, chissà che cosa ci preparano; chiacchiere distribuite da due personaggi i quali, almeno secondo noi, non sono all’altezza di guidare un Paese; eppoi, sempre secondo noi, tutta non te la raccontano.
Tutta non ce la raccontano nemmeno il Primo Ministro britannico Cameron e il Presidente francese Hollande. Si vede che lo “spartito” non è opera loro. Non mostrano la scioltezza, la sicurezza, lo slancio dei leader che intendono render conto solo al popolo e intanto si procede sulla base della loro volontà, della loro sapienza, della loro intuizione.
C’è la Germania, certo, c’è la Germania della nuova “lady di ferro”, ma quanto potrà essa stessa reggere da sola il confronto con Cina, India, Taiwan, Sudcorea e forse anche col Brasile? “Da sola” poiché oramai Italia e compagnia bella si troveranno fuori “tempo massimo”.
Questa è la fine. Tempo venti o trenta, massimo quarant’anni, il mondo si presenterà ben diverso da quello conosciuto a partire dal Sei, Settecento. Si sovvertiranno i ruoli. Si capovolgeranno le posizioni. Vinceranno i Paesi ai quali l’Europa Occidentale, e gli stessi USA, avevano fatto ponti d’oro in nome del “progresso comune”, in nome della “comune ricerca della prosperità”… Che suicidio…
Nessuno dei leader occidentali succedutisi dal 1980 in poi deve aver letto bene, studiato bene, e bene interpretato la storia dell’immane, triplice, conflitto tra Roma e Cartagine.
Peccato.