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October 17, 2014
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Tranfa e Travaglio: dimissioni incrociate tra meditazioni e porcate

Fabio CammalleribyFabio Cammalleri
Marco Travaglio durante lo scontro con Claudio Burlando

Marco Travaglio durante lo scontro con Claudio Burlando

Time: 3 mins read

Si è dimesso dall’Ordine Giudiziario il magistrato Enrico Tranfa: ha presieduto la Corte di Appello che ha assolto Berlusconi nel processo c.d. Ruby. In un certo senso, lo stesso giorno, si è dimesso Marco Travaglio dal seggio di “Servizio Pubblico”, chez Santoro. Quasi tutti i commenti sono concordi nel ritenere che le dimissioni del magistrato siano state volte a segnare profondo dissenso dalla nota decisione. L’interessato si è limitato a precisare che si è trattato di “scelta meditata”. Quanto a Travaglio, ha riferito al presidente della Regione Liguria Claudio Burlando di non meglio precisate “porcate”, lo ha indicato come il “simbolo” di ogni malefatta genovese degli ultimi trent’anni, e poi se n’è andato, per significare clamorosamente al suo ex compagno d’armi che lui non aveva insultato nessuno e male aveva fatto a contestarglielo: perché un essere umano qualificato come porco non può certo risentirsene. Mi pare ovvio. 

Le due dimissioni corrono rischi opposti. Quella del magistrato, di essere nutrita, insufflata come un foie gras; quella del giornalista di essere scarnificata, essiccata come uno stoccafisso. 

Della prima pare abbia preso ad occuparsi il Corriere della Sera. Nonostante la precisazione del dott. Tranfa, è tutto un infiocchettare di “improvviso”, di “fulmine a ciel sereno”, di “senza precedenti”. Nemmeno per Benedetto XVI. Ma si capisce. Si prepara il terreno. A quanti Renzi non va giù, ogni possibilità polemica, ogni insinuazione sospettosa (cioè, il nerbo del c.d. giornalismo di relazione) può tornare utile. E certamente Berlusconi, dopo l’assoluzione in parola, è rientrato pienamente sul proscenio politico: l’equilibrio consolare su cui si regge il potente Governo in carica, il c.d. Patto del Nazareno, si è potuto consolidare grazie all’effetto di quell’assoluzione: con la condanna per quei reati, sarebbe stato improponibile. Inoltre, “l’assoluzione del secolo” ha diffuso un fondato alone di sfiducia sulla c.d. sentenza Esposito, la cui frettolosa e pasticciata vicissitudine non poteva, a quel punto, reggere da sola l’immagine di un Berlusconi squalificato. Così, dalle parti sempre turbolente di Via Solferino, ci si è dedicati a preparare retroscena che potrebbero indebolire “l’assoluzione maledetta”. S’intende che anche il Gruppo De Benedetti è in perenne allerta sull’argomento (hanno preso mille miliardi di vecchie lire, per “perdita di chance” sulla vicenda Mondadori), ma in questa fase Ezio Mauro si è “avvicinato” al Presidente del Consiglio, perciò, sullo spinoso tema, si è un po’ più defilati. 

Sapremo presto se questo ingrassamento delle dimissioni funzionerà o meno. Quello che qui conta rilevare è la persistenza di un grumo di interessi che mantiene la sua mano sulla leva giudiziario-scandalistica. S’intende che si tratta di un livello medio-alto. Qui al Corriere, non dimentichiamolo, è nato “l’avviso napoletano”; il redazionale-memoria sull’imminente (e fantomatica) prescrizione nel ricordato processo Mediaset, prodromica alla legittimazione della Sezione feriale della Corte di Cassazione, presieduta dal dott. Esposito, nonostante il figlio, pubblico ministero milanese, folleggiasse in Porsche con la consigliera regionale Nicole Minetti; qui, insomma, ha sempre trovato spazio un certo pensare ed un certo agire, di cui la guerriglia Bruti Liberati-Boccassini versus Robledo costituisce miserevole ma ancora sinistramente vivido esempio.

Non dimentichiamo nemmeno che l’autorevolezza assunta dalla Presidenza della Repubblica in questi ultimi quindici anni ha introdotto, di fatto, una Repubblica semipresidenziale; che al Presidente in carica, Napolitano, il Patto del Nazareno deve non poca della sua forza; che all’inizio dell’anno prossimo avremo un nuovo Presidente della Repubblica; e che il sordido manovrìo palermitano, che è manovrìo giudiziario e paragiudiziario, si riverbera sia sul pupillo fiorentino sia sulla successione al Quirinale, sul cui andamento, com’è noto, l’attuale inquilino avrà modo di indirizzare il suo autorevole viatico.

Come si vede, da un fatto tutto sommato minimo, dato l’ampio contesto si potranno muovere gravide conseguenze; pertanto, leggere il tono dei commenti non è pura esercitazione ermeneutica.

Dicevo che questo è un livello medio-alto. Ma c’è anche una base, per così dire. Un fondo limaccioso dove la verbosità teppistica, l’intimidazione allusiva di sempre incombenti sbocchi manettari, la disinvoltura manovriera di certe ibridazioni incestuose tra foia giornalistica e foia inquisitoria, ha disteso, in questi infelicissimi anni di riscatto giudiziario mancato, tutto il suo afrore e la sua velenosa didattica, donando alla Repubblica gemme preziose come l’ex senatore Di Pietro, l’ex  investigatore guatelmalteco Ingroia, l’ex (quasi) sindaco De Magistris, solo per citare i campioni. 

Ed è il livello dei compagni d’arme in cerca di markeitng che, pertanto, come coniugi di un matrimonio d’interesse in crisi di liquidità, litigano. Se per accordarsi sulle spoglie o tentare un accaparramento esclusivo, anche questo, si vedrà.    

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Fabio Cammalleri

Fabio Cammalleri

Il potere di giudicare e condannare una persona è, semplicemente, il potere. Niente può eguagliare la forza ambigua di un uomo che chiude in galera un altro uomo. E niente come questa forza tende ad esorbitare. Così, il potere sulla pena, nata parte di un tutto, si fa tutto. Per tutti. Da avvocato, negli anni, temo di aver capito che, per fronteggiare un simile disordine, in Italia non basti più la buona volontà: i penalisti, i garantisti, cioè, una parte. Forse bisognerebbe spogliarsi di ogni parzialità, rendendosi semplicemente uomini. Memore del fatto che Gesù e Socrate, imputati e giudicati rei, si compirono senza scrivere una riga, mi rivolgo alla pagina con cautela. Con me c’è Silvia e, con noi, Francesco e Armida, i nostri gemelli.

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