Fra due settimane sapremo quindi se la Scozia intende mantenere il proprio posto nel quadro della Gran Bretagna o se, invece, vorrà tornare indipendente 368 anni dopo “the glorious defeat” di Culloden Moor, la battaglia contro gli Inglesi che segnò di fatto la fine delle ambizioni cattoliche su Londra e Edimburgo e la rinuncia degli Scozzesi alla sovranità nazionale.
Gli Scozzesi andranno difatti alle urne per prendere, in un senso o nell’altro, una decisione storica. Ma se dovesse vincere lo schieramento secessionista, la svolta sarebbe di straordinarie dimensioni: se non altro, riporterebbe un poco di vivacità in un’Europa occidentale ammorbata, narcotizzata, ingessata dall’Unione Europea.
La Scozia attraverso i secoli ha offerto alla Gran Bretagna un contributo di eccezionale portata: l’ha offerto con la Poesia, con la Scienza, con le Lettere: con la disciplina, col senso del destino comune. Fra i primi sul campo della Chimica, della Metallurgia, della Cantieristica navale, del Sindacalismo, dello Sport (col Calcio, col Rugby, con l’Atletica e l’Automobismo), gli “Scots” quale parte integrante del Regno Unito, non si sono tirati indietro una sola volta: sono morti a centinaia sul fango di Waterloo, molti di essi suonando la cornamusa mentre a passo di marcia puntavano verso i Francesi; sono caduti contro gli Zulu; fulminati al Khyber Pass; sulla Somme, a El Alamein, a Anzio, in Birmania; e in conflitti assai più recenti. La secessione non la invocarono nemmeno quando “i cannoni d’agosto” dettero il via alla Grande Guerra; non la invocarono neppure quando nell’estate del 1939 chiunque avrebbe capito che tra Gran Bretagna e Germania le ostilità (e quali ostilità!) sarebbero prima o poi riprese. Lo scozzese è uomo di parola. Tiene fede alle promesse: non ha mai tentato di spiazzare, cogliere di sorpresa, un alleato un poco troppo ingombrante e intento a mantenere il controllo delle operazioni. Se ti dice che è pronto ad andare fino in fondo sulla tua stessa barca, sta’ tranquillo che saprà andare davvero fino in fondo. Preferirebbe tagliarsi la gola, anziché macchiarsi di disonore, mendacia, o anche tiepidezza.
Ora una gran parte degli scozzesi chiede che le venga corrisposto quel che essa crede di meritare. La sua parte, appunto, l’ha fatta generazione dopo generazione, senza mai risparmiarsi. Adesso è giunto, sì, il momento di decidere, di scegliere: o di qua o di là. La parola, certo, vada alle urne. Vada al Popolo.
I soliti “riduttivisti”, i soliti “scaltri”, quelli che “non la bevono”, ci vengono a dire, senza nostra nessuna sorpresa, che è “tutta una questione petrolifera”, la questione del petrolio del Mare del Nord. Sono i “campioni del senso pratico” i quali negano nei popoli l’esistenza di un’anima che pulsa, palpita; per la quale l’individuo non può ridursi a un semplice consumatore di merci, divoratore di cibi e primizie varie. Nella vicenda, i giacimenti nel Mare del Nord c’entrano poco davvero. La verità è che l’anèlito scozzese all’indipendenza non è mai morto; s’è assopito, s’è di molto assopito, ma una ventina di anni fa s’è risvegliato e ha mostrato tutta la sua freschezza, la sua tonicità, a dispetto dei tempi che cambiano, delle epoche che si susseguono l’un l’altra.
Si dice che lo scozzese rappresenti il tipo “pratico”, assai pratico. Questo è vero: pragmatismo e empirismo difatti non recano il solo timbro inglese: recano anche quello scozzese. Ma uno dei caposcuola del Romanticismo è il celeberrimo Robert Burns, poeta; seduttore, un impulsivo ora esuberante, ora tenero. Sul versante dello Sport, lo scozzese prova nella “gloriosa, epica sconfitta” una gratificazione assai maggiore di quella che ricava dalla vittoria. A riguardo, ricordiamo un episodio parecchio significativo, il quale risale alla Coppa del Mondo di Calcio del 1974, giocata nella Germania Occidentale. La Scozia battè lo Zaire, pareggiò col Brasile, impattò con la Jugoslavia; subì una sola rete (dalla Jugoslavia). Uscì dal girone eliminatorio per differenza-reti. Uscì imbattuta, e dopo aver dato anche qualche lezione ‘geometrica’ al Brasile stesso. Bene: alla fine del terzo e ultimo incontro, quello con gli jugoslavi, gli Scots schierati a centro campo salutarono a lungo, e con una certa, sorridente passionalità, il folto, commosso pubblico. Erano felici così! Avevano trovato la nuova “gloriosa sconfitta” dalla quale uscivano fieri, appagati.
Noi abbiamo giocato anche in Scozia, a Edimburgo, febbraio 2005. Con le casacche del Cus Firenze, vi andammo quali iscritti a un torneo di Rugby Old Boys che venne disputato sui campi dei Vigili del Fuoco locali. Ogni partita (una mezza dozzina) fu combattuta al suono di cornamuse meravigliosamente maneggiate da “pipers” anziani, piccolini, modestamente vestiti, felici di poter allietare col loro sentimento, col loro valore artistico, tutti noialtri, italiani, spagnoli, inglesi, scozzesi stessi; già parecchio allietati nella scoppiettante ‘bagarre’ sottoposta alle frustate del vento.
Ecco, quindi, chi sono gli “Scots”.
E non a caso è scozzese Sean Connery, l’aitante 007, l’eroe del film “The Hill”, il protagonista – talvolta tenebroso – di un elevato numero di pellicole di successo: uno che già trent’anni fa alzava al cielo il vessillo dell’indipendentismo scozzese; un “eccentrico”, uno “fuori dal mondo” per gli inglesi, e anche per scozzesi delle Lowlands, le contee a ridosso del Vallo d’Adriano, anglicizzate già nella seconda metà dell’Ottocento. Forse la causa del secessionismo, molto popolare nelle Highlands, avrebbe prima o poi preso un bell’abbrivio, ma è fuori dubbio che Connery abbia assai velocizzato il processo, sempre sicuro di sé, forte delle proprie convinzioni, passionale, persuasivo: da bravo “Scot” uno che ama le cause perse, sedotto dal fascino, appunto, della “luminosa sconfitta”. Certo, senza di lui tutto sarebbe risultato assai faticoso e complicato per gli indipendentisti. Ora si dice che ”James Bond” soffre del Morbo di Alzheimer, ma il suo staff passa di smentita in smentita. La nostra speranza è che i suoi collaboratori ci dicano la verità.
La nostra speranza è che, qualora a uscire vincitori dai seggi elettorali, siano i secessionisti, la Scozia “restituita” a re Robert The Bruce, restituita a Bonnie Prince Charles, il grande sconfitto di Culloden Moor; si tenga ben lontana da un mastodontico veicolo di micidiali infezioni: l’Unione Europea… Che non ne desideri l’abbraccio fatale; che non ceda a promesse, a lusinghe, a corteggiamenti; che non scivoli nel conformismo provinciale di Bruxelles e di tutti i reggicoda, i palafrenieri di Bruxelles. Che non avvilisca e impoverisca se stessa, acconciandosi a prendere ordini da una conventicola di distruttori espressione dell’Alta Finanza.
Che la Scozia faccia da sé. Che, tornata libera, non si assogetti a un organismo che distribuisce solo povertà, iniquità, sperequazioni. Che dia una lezione a tutti noi, la lezione del coraggio, dell’audacia, dell’orgoglio.
Questo ci aspettiamo da una Scozia che torni all’antica indipendenza.