Non soltanto un requiem, ma un pensiero tra i più cari e affettuosi a Simone Camilli. Se mi fossi trovato a Gaza avrei abbracciato il suo corpo dilaniato, come fa un padre. Simone se ne è andato nel modo più assurdo e crudele quando a 35 anni avrebbe potuto insegnare a tanti suoi coetanei cosa significa “fare il cronista” ed “essere giornalisti”. A ucciderlo una seconda volta, laggiù a Gaza, non è stato quel missile che artificieri provavano a disinnescare, ma le schegge di coloro che hanno battuto alla tastiera la notizia della sua morte. Senza arrecare offesa a chi appartiene a queste categorie, hanno definito Simone Camilli videoreporter, collaboratore di agenzia, addirittura cameraman. Invece quel nome apparterrà per sempre a un giornalista autentico, esemplare oggi assai raro. Nel suo tesserino dell’Ordine, c’è tutto e alcuni avranno in viso vampate di vergogna. Nel curriculum professionale, si legge invece una carriera che esalta questa bellissima e maledetta professione: tante volte a Gaza, nei Territori e in Israele tra 2008 e 2012. Tra i suoi reportage, il rilascio del giornalista israeliano Gilad Shalit nel 2011 e del reporter della Bbc Alan Johnston, nel 2006. E poi il naufragio della Costa Concordia, l'arresto del militare e criminale di guerra serbo Ratko Mladic, la morte di papa Giovanni Paolo II. Oltre alla Palestina, Simone Camilli, “giornalista totale” era già stato in scenari di guerra come la Georgia, nel 2008.
Ciao Simone, non posso non abbracciare tuo padre. Era giornalista come te. Alla Rai. Sei figlio d’arte. Per chi ama questo mestiere, sarai un mito.
*Salvatore Taormina, giornalista da mezzo secolo tra la Sicilia e New York