Gli arresti per gli appalti del Mose di Venezia (il sistema di barriere che dovrebbe proteggere la città dall’aqua alta), che da mercoledì 4 giugno riempiono le prime pagine dei giornali italiani, arrivano a meno di una settimana da un evento all’ONU con cui una delegazione veneziana aveva presentato alla comunità internazionale questa tecnologia tutta made in Italy, con l’obiettivo di capitalizzare l’esperienza fatta e internazionalizzare il progetto. La presentazione era andata bene. Evento partecipato, curiosità e interesse internazionale, insomma un figurone. Peccato che una settimana dopo, esponenti dello stesso ente e della stesso consorzio che si erano presentati a Palazzo di vetro siano finiti in manette. Non proprio un figurone.
La presentazione a Palazzo di Vetro davanti alla comunità internazionale
All’ONU c’erano, tra gli altri, Roberto Daniele ed Hermes Redi, rispettivamente presidente del Magistrato delle Acque e direttore del Consorzio Venezia Nuova, proprio le due entità oggi al centro dello scandalo. Sarebbe infatti stato il Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico dell’opera da oltre cinque miliardi di euro, a pagare tangenti a politici e amministratori locali, con la connivenza (o quantomeno il silenzio) del Magistrato delle Acque, ente preposto ai controlli che avrebbe invece lasciato mano libera al Consorzio.
Va detto che gli illeciti contestatati dalla Guardia di Finanza sarebbero relativi, sia per l’ente che per il consorzio, alla gestione precedente a quella attuale. Tra i 35 arrestati infatti figurano Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva ex presidenti del Magistrato alle Acque. Già mesi fa era invece finito in carcere Giovanni Mazzacurati, ex direttore di Venezia Nuova. Una vicenda che, secondo quanto riportato dalla stampa italiana, aveva portato l’attuale direttore Hermes Redi a ipotizzare misure cautelative per tutelare l’immagine del Consorzio.
E tuttavia, nonostante i signori incontrati a New York sembrerebbero non avere nulla a che vedere con la vicenda, con uno scandalo di queste proporzioni che colpisce un’opera italiana su cui pochi giorni prima erano stati accesi i riflettori internazionali, la brutta figura rimane. Soprattutto considerando che i fatti di Venezia seguono la già non bella figura fatta con l’Expo. Anche in quel caso, pochi giorni dopo una gloriosa presentazione a New York, ci era toccato leggere notizie dall’Italia su tangenti, indagini e scandali.
Ce n’è abbastanza da chiedersi se, oltre alla tecnologia, al know how italiano e al made in Italy, l’intenzione sia di esportare anche l’italica malagestione, le tangenti, la leggerezza nell’amministrazione della cosa pubblica. Un tipo di export in cui l’Italia ha una lunga tradizione che una parte della comunità italo-americana da decenni si sforza di far dimenticare da questa parte dell’Atlantico. Compito reso non semplice dalle notizie che arrivano da casa. E a noi che con questo giornale da New York tentiamo genuinamente di raccontare un’Italia diversa e meritevole della fiducia internazionale, ma che allo stesso tempo ci sforziamo di fare giornalismo senza occultare verità scomode, queste vicende rendono il lavoro ancora più difficile. Siamo in difficoltà. E lo siamo soprattutto quando ci rendiamo conto che la volontà è quella di oscurare, nascondere, mettere a tacere e fare finta di niente, andando avanti col sorriso sulle labbra, piuttosto che scegliere di affrontare con correttezza e coraggio difetti e problemi di un’Italia che afferma di voler cambiare. Come è successo il 2 giugno al Consolato e qualche settimana prima all’ENIT, quando in due consecutive presentazioni dell’Expo Milano, nessuno ha ritenuto necessario fare cenno alle vicende giudiziarie, fosse anche solo per rassicurare i presenti sul fatto che l’evento sarebbe andato avanti.
Occhio non vede… Ma il problema è che, nonostante i diversivi, l’occhio vede eccome, e il cuore duole ancora di più quando si accorge che mancano l’onestà intellettuale e il coraggio di mettere sul tavolo sia i pregi che i difetti. Il cuore finisce per pensare che tutti abbiano qualcosa da nascondere.
Se La VOCE di New York esiste è perché a noi che facciamo questo giornale piace pensare che la verità, non importa quanto scomoda, sia sempre da preferire alla tentazione di nascondersi dietro un dito. Ed è per questo che un articolo su una presentazione di una grande opera che avrebbe dovuto rendere orgogliosa l’Italia si è trasformato in un amaro commento. Per completezza di informazione, di seguito riportiamo comunque la descrizione dell’opera fatta all’ONU. Ma intanto una considerazione finale: quando si va in terapia per abuso di droghe, la prima cosa che viene chiesta al paziente è di ammettere di avere un problema. L’Italia che all’estero nega di avere un problema fa la figura del tossico che dice di star bene e di poter smettere quando vuole. Ci piacerebbe vedere un’Italia più coraggiosa. Quando la vedremo, saremo i primi ad assumerci con orgoglio l’onere e l’onore di raccontarla.
Il progetto
La presentazione alle Nazioni Unite è stata parte dell’evento Saving and Preserving World Heritage Cities: Venice and Dubrovnik, in cui le due città sorelle dai due lati dell’Adriatico si sono confrontate sulle sfide poste dalla conservazione del patrimonio storico in relazione alle opportunità offerte dal turismo di massa e alle problematiche poste dai cambiamenti climatici. Idee e strategie per la sopravvivenza di due tesori lasciatici in eredità da civiltà del passato e che non possiamo permetterci di lasciare affondare nelle acque o snaturare dal turismo.
Una delle slide mostrata durante la presentazione a Palazzo di Vetro
All’incontro si è parlato di resilienza urbana, di gestione dei flussi turistici, del passaggio delle grandi navi da crociera, delle strategie per preservare l’ambiente naturale. A seguito della ben riuscita presentazione all’ONU, la delegazione veneziana ha poi incontrato i giornalisti nella sede della Rappresentanza italiana alle Nazioni Unite. In quell’occasione Hermes Redi (Venezia Nuova), Roberto Daniele (Magistrato delle Acque) e l’ambasciatore e consigliere della Fondazione Venezia 2000, Antonio Armellini, sono entrati nei dettagli della realizzazione del Mose e di altre strategie per la salvaguardia di Venezia
Un’illustrazione del meccanismo di funzionamento delle paratoie del Mose
La visita newyorchese si inserisce in un percorso iniziato lo scorso autunno quando l’amministrazione comunale veneziana aveva avviato un confronto con l’amministrazione Bloomberg per affrontare le emergenze drammaticamente messe in luce dall‘uragano Sandy. “Vogliamo provare a internazionalizzare il progetto – ha spiegato Redi – Questa è una tecnologia importante che sta suscitando interesse in giro per il mondo. Più che le paratoie in sé, tuttavia, quello che è esportabile è il metodo progettuale seguito dagli italiani. Le esperienze olandesi, per esempio, con cui viene da fare il primo paragone, hanno un approccio molto più hard basato su paratoie fisse in calcestruzzo. Per noi era invece prioritario che non si vedesse niente in superficie, che la navigazione non venisse disturbata e che non venisse alterato lo scambio d’acqua tra mare e laguna”. Esigenze che hanno portato alla realizzazione di un intervento complesso di cui il Mose è solo una parte e che comprende la bonifica di aree industriali, il miglioramento morfologico della laguna, il ripristino di 1.600 ettari di barene.
Preservare la laguna è il compito specifico del Magistrato delle acque di Venezia, istituzione nata nel 1502 e preposta alla conservazione del regime lagunare. “Siamo garanti e custodi del mantenimento ambientale” ha detto Daniele che ha assicurato che il Mose si inserisce adeguatamente in questo sforzo complessivo. “Le opere sono tutte a scomparsa – ha detto ancora Daniele – e quelle fuori terra sono ben integrate nel paesaggio. Tant’è che l’opera, che era inizialmente osteggiata dai veneziani, è poi stata accettata”. Il Mose i cui lavori di realizzazione sono stati completati al 75-80%, dovrebbe essere completato entro la fine del 2016.
Intanto c’è da affrontare con urgenza il problema del passaggio delle grandi navi da crociera. “Solo durante lo scorso anno – ha spiegato Daniele – abbiamo avuto due milioni di passaggi alla marina. Le navi sono sempre più grandi per sostenere le economie di scala delle compagnie e, anche se ormai arrivano a motore quasi spento, l’impatto resta. Ormai c’è una generalizzata accettazione del fatto che è necessario trovare una soluzione alternativa per le crociere. Per questo motivo la Presidenza del Consiglio dei ministri ha convocato un comitato ad hoc il 30 aprile ed è previsto un nuovo incontro a giugno per affrontare questo problema”.
L’ambasciatore Antonio Armellini
Per quanto il turismo rappresenti un’insostituibile opportunità, non può e non deve essere l’unica risorsa di Venezia. È necessario quindi attirare nuove attività e servizi. Anche con questo obiettivo Venezia si è presentata all’ONU, come ha spiegato Antonio Armellini: “Non è vero che Venezia si stia spopolando. Le cifre sono stabili, ma per essere viva bisogna recuperare una residenzialità qualificata promuovendo servizi ad alto contenuto tecnologico e liberandosi dalla monocoltura turistica”. Il pensiero va alle istituzioni e le agenzie internazionali e anche in quest’ottica la presentazione a Palazzo di Vetro è stata strategica. “Organizzazioni internazionali da circa 100-150 funzionari – ha spiegato Armellini – potrebbero avere un indotto di circa 1.000 persone ed essere in grado di rovesciare l’economia della città. Venezia deve convivere con una dimensione dominata da turismo, ma non può diventare un parco a tema”.