Nel campionario dei personaggi che animano il presepe del dibattito su cosa sia successo in Italia tra fine anni ‘80 e inizio anni ‘90, – “trattativa ci fu”, “trattativa non ci fu”, “attentato allo Stato”, “normale politica”, i fronti in campo – si è inserito da un po’ anche Vincenzo Scotti. Pezzo da novanta della DC campana ed italiana, più volte ministro, Scotti era soprannominato “Tarzan”, per la sua indiscutibile capacità di saltare di corrente in corrente nella Democrazia Cristiana come Tarzan con le liane, senza cadere mai.
Scotti ha da poco pubblicato un libro, tradotto anche negli USA, dal titolo Pax mafiosa o guerra: a venti anni dalle stragi di Palermo. La presentazione del suo libro è stata l’evento clou della seconda giornata di studi sulla mafia, parte della conferenza annuale del Calandra Institute della City Univeristy of New York.
Scotti era ministro dell’Interno dal 1990 al 1992, alla vigilia delle stragi di mafia. Si ascrive molti meriti, e i documenti glieli riconoscono: l’istituzione del carcere duro, il 41 bis, la Direzione Antimafia e la Procura antimafia. E in succo il suo discorso è questo: “Volevo fare guerra alla mafia, avevo pensato gli strumenti, con Falcone e Claudio Martelli. Non me l’hanno fatto fare”. Quando Scotti, dopo la morte di Salvo Lima, chiese ai suoi colleghi parlamentari di fare guerra alla mafia e di smettere di conviverci, fu sostituito da ministro. Eravamo nel cuore della trattativa, è la conseguenza logica del ragionamento, e siccome quel ministro era scomodo, misero al suo posto Mancino, che infatti ora è imputato proprio nel processo sulla trattativa Stato-Mafia che si tiene, tra molte polemiche, a Palermo. Tant’è – ricorda Scotti – che ad esempio, il carcere duro per i mafiosi non fu rinnovato.
Scotti è stato sentito come persona informata sui fatti dai magistrati che hanno indagato sulla trattativa, ha ricevuto apprezzamenti per il suo lavoro e il suo contributo nella ricostruzione degli avvenimenti.
“Bisognava fare guerra alla mafia, non conviverci – ricorda – e con Giovanni Falcone sapevamo che erano necessari strumenti nuovi”.
Ci sono i documenti, ricorda Scotti, è tutto scritto. Vero, ma c’è anche la memoria. E allora, mentre tutti si complimentano con Scotti per il suo ministeriale coraggio, mi viene una domanda, e gliela faccio. Che poi è un ragionamento. Ed è questo: la Democrazia Cristiana, il partito di Scotti, ha governato per 50 anni l’Italia non solo convivendo con la mafia, ma utilizzandola per governare il territorio. Lo ha fatto in Sicilia, lo ha fatto nella Campania di Vincenzo Scotti con Antonio Gava. E, a proposito di trattative, mafie e Stato hanno sempre trattato, per cose piccoli e grandi. Nel 1981, mentre l’Italia restava con il fiato sospeso per sapere se il piccolo Alfredo, caduto in un pozzo a Vermicino, sarebbe stato salvato in diretta TV (spoiler: non fu salvato), la Democrazia Cristiana si calava in uno dei suoi tanti pozzi neri per salvare Ciro Cirillo, assessore regionale campano rapito dalle Brigate Rosse. Ci fu una trattativa, per liberare Cirillo, come non ci fu per Aldo Moro, lasciato al suo destino. E la trattativa non fu tra DC e BR, ma tra DC e Raffaele Cutolo, capo della Nuova Camorra Organizzata. La vicenda nei dettagli non è mai stata chiarita. Ma trattativa ci fu, in quel caso, e Cirillo venne liberato. In cambio di quale favore per la Camorra non è dato sapere. Cirillo stesso, per non violare la regola dell’omertà tra compari democristiani, ha consegnato la sua verità al notaio: verrà pubblicata solo dopo la sua morte. E’ ancora vivo.
Ma, insomma, Scotti c’era, allora. E magari avrebbe potuto parlarci, oggi, non di cosa è successo quando l’hanno mandato via dal governo, ma dei dieci, venti, trenta anni prima.
Il senso di questa mia domanda, che era appunto un ragionamento, molto sciasciano (indegnamente) è questo: perchè non ci raccontate, anziché quei due anni, i nostri ultimi cinquanta anni, voi che eravate al governo del Paese? Basta con queste ricostruzioni di riunioni, telefonate, verbali di commissione.
E poi, Scotti , non pensa che per chiarire i misteri sulla trattativa – e sulle trattative – tra Stato e mafia sia necessario che prima o poi qualche gran commis di quegli anni si penta e ci dica la verità? La mafia è stata sconfitta grazie ai pentiti: si sono dissociati, e hanno cominciato a raccontare quello che sapevano. Si è aperto un mondo. I primi venivano presi per pazzi. Nessuno immaginava prima di Buscetta che esistesse davvero la mafia. I misteri sulle trattative, sui pozzi neri del campo della memoria d’Italia, hanno bisogno , per essere risolti, di nuovi pentiti: persone dell’aristocrazia politica italiana che fu, che ad un certo punto dicano: mi pento, e racconto il sistema e tutto – anzichè solo i loro meriti – anche a costo di essere presi per pazzi.
Per tutta risposta Vincenzo Scotti mi ha accusato di essere molto ideologizzato, di voler provocare.
Nooo…devo attraversare l’oceano per scoprire che a New York i politici mi rispondono allo stesso modo che a Palermo: ideologizzato, dunque comunista. E io che pensavo di essere solo uno che fa domande. O ragionamenti.
“A proposito” – gli ho detto.
“A proposito di cosa” – ha detto lui.
“Il pentito” – dico.
“Sono sereno” – risponde.
“Per carità, il pentito boiardo, come lo chiamo io, il politico che si pente e racconta tutto tutto, non può essere la soluzione a tutti i nostri guai?”.
“Non lo so” – dice.
“Non è una risposta” – insisto (qui sono molto ideologizzato).
“E allora sì – mi dice Tarzan – spero che ci sia un pentito di Stato”.
Se la savana non se lo inghiotte prima, penso. Ma educatamente ringrazio e muto mi sto. Ideologizzando sulle cose mie.
PS: A chiusura del suo intevento Vincenzo Scotti si è avvicinato a me e al direttore de La VOCE, Stefano Vaccara, per dirci che aveva capito, che, sì, la mia domanda era pertinente e che si era reso conto che, no, non era ideologica.
Qui sotto il video dell’intervento di Scotti pubblicato sul canale online della CUNY TV.
Poi Stefano Vaccara ha anche intervistato l’ex Ministro Scotti (Video sotto).