Il titolone di “Repubblica” del 20 aprile scorso ha fatto tremare Forte Braschi (l’attuale sede dell’AISE a Roma Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna) ex Sismi, prima SIM, SID poi SIFAR ovvero le varie sigle che hanno definito negli anni i servizi segreti italiani fino all’ultima riforma del 2007.
Quel titolo, “Via subito al segreto sulle stragi. Al voto nel 2018”, segnalava tuttavia due fatti fondamentali: l’intenzione di comunicare rispetto a un desiderio che molti cittadini italiani hanno espresso più volte, ovvero che si faccia chiarezza sui misteri orribili che hanno tracciato di sangue il paese, e insieme la condizione che per avverare questo desiderio è necessario che ci sia lui al timone, l’uomo nuovo al Governo (e al PD): Matteo Renzi. Il titolo però chiariva anche da subito che chi aveva redatto l’intervista non aveva verificato un fatto essenziale: alle stragi per legge non è possibile opporre alcun segreto di Stato, come l’articolo 39 della legge 124/2007, attuata con la riforma dei servizi di sicurezza, impone. L’articolo infatti stabilisce che «in nessun caso possono essere oggetto di segreto di Stato notizie o documenti relativi a fatti di terrorismo o eversivi dell’ordine costituzionale» e impone un tetto massimo al segreto di Stato di 30 anni (15 + 15). Successivamente la Corte Costituzionale, con una sentenza dell’11 marzo 2009 numero 106 lasciava sostanzialmente la discrezione sul tema al Parlamento, ("l'individuazione degli atti, dei fatti, delle notizie che possono compromettere la sicurezza dello stato e che devono rimanere segreti" costituisce il risultato di una valutazione "ampiamente discrezionale"), di fatto quasi annullando l’assunto che doveva restituire quella “nuova stagione nei rapporti fra cittadini e istituzioni” evocata da Ezio Mauro, direttore di La Repubblica, con queste parole.
Intanto Marco Minniti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alla sicurezza della Repubblica, ha precisato che “sono stati eliminati i 4 livelli di classificazione”: “riservato”, “riservatissimo”, “segreto” e “segretissimo”. Mentre ieri (23 aprile) il Dis, (il Dipartimento di Sicurezza che sovrintende al coordinamento dei due rami dei servizi AISE e AISI), come riporta la testata di inchiesta e intelligence “Lettera 35” (http://www.lettera35.it/primi-documenti-declassificati-stragi-piazza-fontana-gioia-tauro-e-peteano/,) ha riferito che i documenti già valutati dalla magistratura ma non resi noti e pubblici riguarderanno gli avvenimenti relativi a Piazza Fontana (12 dicembre 1969), Gioia Tauro (22 luglio 1970) e Peteano (31 maggio 1972), declassificabili non prima di qualche mese. Tra l’altro per la strage di Peteano, in cui morirono, per l’esplosione di una Fiat 500 abbandonata, tre carabinieri e rimasero gravemente feriti un tenente e un brigadiere, seppure ancora aggravata da misteri irrisolti, esiste un reo-confesso Vincenzo Vinciguerra che ha rivelato in processi ed esposti diversi segreti relativi alla strategia della tensione e ricostruito alcune dinamiche.
La direttiva firmata dal premier Renzi, come da nota di Palazzo Chigi, "consente il versamento anticipato di carte classificate in possesso di tutte le amministrazioni dello Stato che rappresentano un importante contributo alla memoria storica del Paese. I documenti verranno versati secondo un criterio cronologico (dal più antico ai tempi più recenti), superando l’ostacolo posto dal limite minimo dei 40 anni previsti dalla legge (fatto che vale per tutte le Amministrazioni) prima di poter destinare una unità archivistica all’Archivio Centrale". Di fatto, l’elemento dei 40 anni già chiariva che il provvedimento riguardasse la declassificazione e non il segreto di stato rispetto ai 15 + 15 sopra esposti.
Come riportava l'agenzia Ansa ieri sera, inoltre, il presidente del Senato Piero Grasso rilancia, forte di questa novità, la possibilità che anche il Parlamento possa raccogliere l’input istituendo “una Commissione d’inchiesta su tutte le stragi irrisolte del nostro Paese, mafiose e terroristiche”. Proprio in questi giorni, ricorda poi l’Ansa, il senato deve discutere della Commissione d’Inchiesta sul caso Moro, la cui approvazione da parte dell’altra ala del Parlamento (che a breve secondo le intenzioni di Renzi resterà l’unica) è stata stigmatizzata subendo grande spinta dalle ultime rivelazioni che hanno investito proprio il caso Moro, sulla presenza di eventuali agenti dei servizi segreti sulla scena del rapimento e della strage della scorta del Presidente Moro.
Renzi, da par suo, non si capacita di tante polemiche e risponde: "Vogliamo un paese più trasparente possibile, con i dati accessibili online. Un sacco di faldoni sono stati portati fuori dagli archivi riservati nell'archivio di Stato a disposizione di tutti. Non
dobbiamo essere il paese della nebbia ma della chiarezza.
Dopodiché ho visto polemiche anche su questo, se siete nervosi
ditelo. Che ci dobbiamo fare?".
Tuttavia lo stesso Dis (fonti Ansa) ha espressamente avvertito di non farsi illusioni: “Non ci saranno pistole fumanti, forse qualche sorpresa.” E ancora “Sicuramente delle chicche storiche”.
Il procuratore di Trieste Carlo Mastelloni, che diverse volte ha indagato nei fatti di eversione contro lo Stato, ha infatti dichiarato: "La declassificazione di documenti riservati è una bella cosa, ma attenzione perché c'è il rischio di annegare tra le carte inutili''.
''Non dobbiamo farci illusioni. Sulla strategia della tensione,
per dire, non vi aspettate di trovare nei documenti gli uomini
della Nato per nome e cognome. Intanto perché i loro referenti
erano cammuffatissimi. Poi perché certe cose non si scrivono
mai, neppure per errore”.
Il fatto che giornalisti, storici e magistrati possano far richiesta di carte utili a una maggiore comprensione storica, quanto meno, degli avvenimenti più crudeli è senz’altro un avvenimento importante, tuttavia diffondere in modo non corretto un provvedimento, dando false speranze su un fatto che non sussiste (il segreto sulle stragi di stato, un vincolo giuridico specifico che oggi sussiste invece ancora per altri casi, come per il caso Abu Omar e quello sui lavori di ristrutturazione di Villa Certosa, opposto dall’ex premier Silvio Berlusconi) non aiuta alla trasparenza, come l’operazione dal nome vuole far intendere, e alimenta speculazioni.