La vicenda di Marcello Dell’Utri (co-fondatore e poi deputato e senatore di Forza Italia, coinvolto in numerose inchieste giudiziarie e condannato pochi mesi fa a sette anni per associazione mafiosa, scappato in Libano e l’altro ieri arrestato a Beirut) non si limita a confermare il livello di corruzione e impunità che esiste nell’Italia della Seconda Repubblica. Consente anche di riflettere sulle ragioni profonde di questa decadenza morale e su cosa si potrebbe o dovrebbe fare per uscirne.

Marcello Dell’Utri
Perché Dell’Utri non è un’anomalia ma neppure il sintomo di un’antica e incurabile malattia del popolo italiano. Rappresenta invece i valori che una significativa minoranza di italiani ha coscientemente scelto votando Berlusconi per un ventennio, e che un’altra significativa minoranza di italiani non ha fatto nulla per contrastare, o perché timorosa di non apparire al passo coi tempi o perché incapace di scuotersi dalla propria ignavia. Sto parlando del mito del successo, del culto dei vincenti e delle celebrity, del feticismo per gli status symbol, del cinismo come scusa per giustificare egoismi e debolezze. Un mito, un culto, un feticismo e un cinismo peraltro diffusi quasi ovunque nel mondo occidentale.
Il lusso dell’albergo di Beirut in cui Dell’Utri si era rifugiato a molti (che pure non potranno mai permettersi di metterci piede) non sembra affatto osceno: del resto il fascino di Berlusconi si basava anche sull’opulenza ostentata a Arcore o nelle sue ville in Sardegna. E quanti sono gli italiani che tifano per la Ferrari, benché sia una marca per milionari che esplicitamente promuove una filosofia dell’ineguaglianza estrema? Tanti, ma non tutti. Una buona parte dell’Italia è restata sana, sobria, onesta, malgrado tutto. È quella che ha espresso i magistrati che Dell’Utri lo stanno sbattendo in galera.
Preoccupa allora che il continuatore e perfezionatore del berlusconismo, Matteo Renzi, abbia promesso una lotta “violenta” (l’aggettivo è suo) contro la burocrazia: che produce sì istituzioni inefficienti e funzionari menefreghisti ma anche apparati pubblici di controllo. Non fatevi ingannare: sono questi controlli a infastidire i liberisti rampanti, non l’inefficienza o il menefreghismo. Votare Berlusconi significò sdoganare i valori di Dell’Utri. Votare Renzi significa volerli legalizzare.
Ma c’è un altro aspetto dell’Italia di oggi, forse ancora più rilevante, che la storia di Dell’Utri, e in particolare il suo arresto, rivela: il buonismo. Si noti che per giustificare la sua fuga nel lusso l’ex segretario di Berlusconi non ha detto “sono un perseguitato” o “era una montatura” e neppure “vado dove cazzo mi pare” bensì “sono malato”. Il buonismo non è compassione: è complicità. È un sentimento di scambio, per cui chi rinuncia al rigore nei confronti di qualcun altro si aspetta che gli altri a loro volta ci rinuncino nei suoi confronti. All’origine c’è la condizione d’illegalità formale a cui buona parte degli italiani sono costretti o rassegnati: la pervasiva pratica delle raccomandazioni, l’evasione fiscale per necessità, i piccoli abusi edilizi, le sistematiche infrazioni ai regolamenti. Ho amici che diventano garantisti ogni volta che ricevono una multa per sosta vietata o eccesso di velocità.
Niente cambierà in Italia se non si esce da questo circolo vizioso e gli unici che possono romperlo sono coloro che, se pure hanno compiuto qualche irregolarità, preferirebbero un sistema trasparente e onesto. La parabola evangelica giustamente dice che chi ha una trave nel proprio occhio non dovrebbe stare a guardare la pagliuzza nell'occhio di un altro. Ma non dice l'opposto. I tanti che negli occhi non hanno che pagliuzze devono smetterla di avere comprensione o pietà per quelli che ci hanno delle travi.
Per un'opinione diversa sul caso Dell'Utri potete leggere Fuori dal Coro