“Io non temo Berlusconi in sé ma Berlusconi in me”, così diceva uno dei più grandi cantautori italiani, Giorgio Gaber. Così in questi giorni quando non si parla altro che del nuovo Presidente del Consiglio, ho pensato non tanto a Matteo Renzi ma a quanto di Matteo Renzi ci fosse in me. Non mi riferisco al giudizio politico o a quello più pragmatico di programma di governo dopo la discussione alle Camere, che sospendo, espresso, invece, chiaramente dal nostro direttore.
Quello che mi sta sfruculiando non ha a che vedere con una condivisione di idee, che in alcuni casi ci può stare e in altri meno, nemmeno con il fatto che condividiamo una provenienza toscana, che i toscani sanno poter arrivare ai limiti del cameratismo (tranne se si tratta di pisani e livornesi), ma piuttosto con l’appartenere alla stessa generazione, quella nata negli anni ’70 e cresciuta negli ’80.
Durante il discorso al Senato percepivo una distanza tra ciò che Renzi diceva, o meglio tra il modo con il quale comunicava e le aspettative della maggioranza dei senatori. Non a caso molti, senatori e poi giornalisti, lo hanno criticato per aver utilizzato un linguaggio inadeguato alla sede istituzionale. Altri si sono limitati a dire che è stato innovativo, senza precisare se volessero parafrasare coraggio o sfrontatezza. Altri ancora sono stati più accoglienti riconoscendo il nuovo che avanza ma da valutare alla prova dei fatti. Insomma, un marasma di idee, interpretazioni e critiche, tanto da non riuscire a tener fede a quella prima impressione che il discorso suscitava.
Eppure nessuno, almeno tra le mie letture, ha puntato il dito su i chiari e gli oscuri della sua/nostra generazione che per la prima volta vedeva un suo esponente, nella carica di Premier, tenere un discorso in Parlamento.
Degli anni ’80, soprattutto in Italia, molto si è scritto e detto. Ma non sappiamo realmente chi siano oggi coloro che diventavano adolescenti in quegli anni. Se c’è un fatto socialmente e politicamente rilevante che caratterizza gli anni ’80 è il percorso anno dopo anno di benessere e di affermazione dell’individualismo che abbatterà le barriere degli ideologismi. Le ideologie si frantumano, per come erano state pensate fino ad allora, sotto gli ingannevoli colpi – a causa anche di un aumento siderale del debito pubblico – di un esplosione di prosperità che modifica i processi identitari di autoriconoscimento come gruppo o come singolo. Finiscono chiaramente i programmi di conquista della felicità collettiva degli anni’70 e si afferma un modello di liberismo forzato ma desiderato, incarnato da molti governi come quello della Thatcher in Inghilterra e di Reagan negli Stati Uniti. Si arriverà così, nell’ottobre dell’ ’89, alla caduta del muro di Berlino e alla fine, due anni dopo, del comunismo in Russia. In Italia si respira e si sorseggia la Milano da bere craxiana, che farà la fine che sappiano sotto gli effetti di Mani Pulite, ma questi sono già gli anni’90.
Sono anni che iniziano con due delle più grandi stragi della nostra Repubblica: Ustica e Bologna, ma un Presidente straordinario, Sandro Pertini, colma gli italiani di coraggio e fiducia. E’ sempre presente nei momenti che contano: è a Vermicino per seguire le vicende di Alfredino caduto nel pozzo, uno dei primi momenti di diretta televisiva continua; è a Bologna negli ospedali e negli spazi dove sono accampati i corpi delle vittime della strage; è anche presente in momenti più felici. Come quello nel quale l’Italia sembra ritrovarsi e unirsi. E’ una sera di luglio, per l’esattezza l’11, per molti “la notte più bella”, quando a Madrid l’Italia vince la coppa del mondo e nello stadio sventolano ovunque bandiere tricolore. Nessun riferimento politico, è l’Italia tutta e i suoi cittadini che vincono come un corpo unico. Al terzo gol Pertini si alza in piedi e dice: “Non ci riprendono più”. Non vincevamo solo un’importante partita di calcio, spiccavamo il volo, costruivamo un orizzonte che nel giro di cinque anni ci avrebbe portato ad essere la quinta potenza industriale del mondo, superando, attraverso quello che fu denominato “il sorpasso”, la Gran Bretagna. Niente a che vedere con la vittoria del 2006, solo festa di una notte, rituale senza gioia vera, stordimento di suoni e colori tra un momento e l’altro, tra un giorno e il seguente, quando tutto tornerà come prima. Riguardare quelle immagini di ormai trentuno anni fa’, per chi quella notte l’ha vissuta, fa venire ancora i brividi.
Gli anni’80 sono quelli dell’ambizione personale ma ridisegnati sotto un contesto diverso: non più quelli dell’ideologia ma della possibile convivenza, essendo però ognuno a modo suo. Iniziano ad arrivare i primi cosiddetti “vu compra”, mentre intorno, soprattutto durante l’estate vacanziera, suonano le hits tormentone: Gazebo I like Chopin, i Righeira Vamos a la playa e L’estate sta finendo, Giuni Russo Un’estate al mare, mentre Franco Battiato cerca un centro di gravità permanente , e così via.
Niente più testi e musiche impegnate, disimpegno massimo, si balla ma ognuno per conto suo, al massimo si aspetta il lento per stringersi e stringere come ne Il tempo delle mele. Al ballo si affianca lo sballo fine a se stesso, con droghe sempre più eccitanti piuttosto che alienanti. Al tempo stesso non solo gli sport “classici”, ma attività fisica per tutti, anche a casa la si può fare. E’ l’esplosione del fitness e del body building. Tutti possono essere belli e in armonia se “ci dai dentro”, allora, è tempo di Phisical di Olivia Newton John, mentre Flashdance richiama al ballo come personale affermazione. Basta stivaloni, scarpe in cuoio e zampe di elefante ma scarpe da ginnastica, Nike o Adidas e d’estate le Superga, mentre i pantaloni si accorciano e si riempiono di fiori.
Sono stati anni frivoli probabilmente, ma mi sono sembrati una sorta di recupero di energia tra ambizione, volontà, desiderio di affermazione e confusione, accompagnati da vuoti, estetica e corporeità fini a se stesse. Lustrini, paillettes, capelli cotonati, make up accentuato anche negli uomini, perché in tv bisogna apparire, farsi notare, essere piacevoli. E le tv dominano la scena, entrano con forza quelle private di Berlusconi che ridisegnano contenuti, programmi e nuovi pubblici. Ecco la nostra generazione 80 nasce in quel pubblico, tesa alla competizione, come un Giano guarda all’apparire come se l’essere volesse lasciarlo finalmente tranquillo, pronto a prossime sfide. L’obbiettivo di successo era quello di diventare un “colletto bianco”, che poi diventa sinonimo di persona di potere, egoista e spesso corrotta. Siamo un po’ così duri, nel senso di volontà e desiderio, e non puri. Generazione ibrida, un po’ e un po’ e forse per questo, a volte a torto a volte a ragione, né carne né pesce, vuota. Ma il vuoto si può riempire, e questa volta la scelta di cosa mettere dentro, volenti o nolenti, sta, per la prima volta, ad ognuno di noi.
Gli anni’80 sono stati, quindi, anni di distinzione. E’ per questo che alla fine penso: “No, non c’è in me un Matteo Renzi ma che ci sia, invece, sotto mentite spoglie, un Renzo Mattei?”.