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February 9, 2014
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Le Olimpiadi di Vladimir il terribile e quelle dell’ipocrisia occidentale

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Il presidente russo Vladimir Putin inaugura le Olimpiadi invernali di Sochi

Il presidente russo Vladimir Putin inaugura le Olimpiadi invernali di Sochi

Time: 4 mins read

 

Le Olimpiadi invernali di Sochi si sono inaugurate con un imponente e bellissimo spettacolo che ha seguito la sfilata delle squadre dei vari paesi davanti allo sguardo orgoglioso e commosso dello Zar Vladimir. Un trionfo per Putin,  nonostante sia stato boicottato dai maggiori leader occidentali, inclusi Barack Obama e Angela Merkel, che in quella tribuna non si sono fatti vedere. Invece il premier italiano Enrico Letta si è fatto trovare puntuale allo stadio per salutare gli Azzurri. 

Ha forse fatto male il premier italiano ad esserci? Visto da New York, scriviamo che il capo del governo italiano è riuscito nell'impresa, con quella presenza, a far bene e male nello stesso momento. Spiegheremo ma prima ricordiamo il perché Obama e Merkel non erano allo stadio di Sochi, avendo annunciato la loro assenza già molto tempo prima con squillo di trombe e rullo di tamburi. Ufficialmente, il presidente USA e la cancelliera della Germania  hanno voluto così mortificare il presidente russo Putin per le leggi anti gay recentemente approvate a Mosca.

Noi da New York pensiamo invece che qualche forma di protesta a Sochi fosse sicuramente giusta, ma che quella adottata dai leader assenti fosse il modo sbagliato di manifestarla. Sarebbe stato molto più efficace protestare le leggi putiane anti omosessuali magari servendo agli occhi dell'opinione pubblica mondiale, nel bel vassoio brillante fornito dallo stesso Putin allo stadio di Sochi, un Obama in tribuna con una spilla arcobaleno e chissà, anche con addosso una sciarpa dai colori altrettanto variegati. Questi simboli dei diritti civili degli omosessuali addosso a tutti i leader dell' Occidente (ma esiste ancora l'Occidente) sarebbe stato un affronto, un insulto troppo grave? E già, ci vuole molto coraggio e soprattutto abbandonare l'ipocrisia per affrontare veramente Putin. Optare invece per la semplice assenza, come ha deciso Obama, può risultare efficace solo ai fini della politica interna americana. La Casa Bianca sapeva benissimo che la protesta con l'assenza avrebbe avuto un impatto blando a livello internazionale e quindi sarebbe risultata del tutto inoffensiva alle politiche omofobe russe. 

Germania

La coerenza coraggiosa della squadra olimpica della Germania, che a Sochi ha sfilato indossando una divisa arcobaleno

Quindi, sospettiamo che Obama non andando a Sochi "ufficialmente" per protestare le leggi anti gay russe, volesse sì punire Putin ma per aver dato rifugio a Edward Snowden durante la sua fuga dopo aver svelato i segreti della NSA. Non è forse vero Barack?

Intanto Vladimir il terribile ha già ripagato  lo sgarbo della Casa Bianca, dando l'ordine ai suoi servizi di diffondere l'imbarazzante registrazione della conversazione della funzionaria del Dipartimento di Stato Victoria Nuland con l'ambasciatore USA in Ucraina in cui la responsabile per gli affari europei esclama quel "Fuck EU!".  

Obama ha sbagliato a non andare a Sochi. Almeno Jimmy Carter, ai tempi dell'invasione dell'Afghanistan, ebbe il coraggio di non mandare l'intera squadra alle Olimpiadi di Mosca del 1980. Ma Obama, con il misero gesto di risparmiarsi solo un viaggio, ha avuto solo torto, come tutti gli assenti. Se fosse stato lì il presidente USA, a salutare gli atleti tra il Segretario Generale dell'ONU Ban Ki-moon e Putin sventolando un simbolo del rispetto per diritti civili di tutti gli esseri umani, il suo impatto su queste Olimpiadi sarebbe stato un terremoto. Con scosse che non si sarebbero fermate al Cremlino. Sarebbero infatti arrivate anche  dove i diritti dei gay sono calpestati molto di più che a Mosca, dove il fatto stesso di esserlo omosessuale pone fuorilegge e si rischia galera e torture. Non ci risulta invece che la Casa Bianca rinunci ai grandi affari e a continuare a fornire armi sofisticatissime  a certi regimi al cui cospetto la Russia di Putin ci appare come un paradiso di democrazia.

Ma se Obama prende la medaglia d'oro come ipocrita, Letta prende l'oro, e ci dispiace dirlo, nella gara all' opportunismo vigliacco. Già, il Presidente del Consiglio italiano ha dichiarato prima della partenza che andava a Sochi per ribadire che l'Italia rispetta i diritti civili dei gay… Ma davvero? Peccato che la nostra medaglia d'oro Letta lo dichiarava da alcuni ricchissimi paesi del Golfo Persico, dove era in visita di affari, proprio dove i gay sono fuorilegge!. 

Letta

Il premier italiano Enrico Letta saluta gli Azzurri allo stadio olimpico di Sochi

Ma poi, che ha fatto in realtà allo stadio il premier italiano oltre a salutare gli Azzurri e gli altri atleti? Ha forse sventolato con il tricolore anche una bandiera arcobaleno? Si è forse fatto inquadrare mentre salutava Putin avendo addosso un simbolo della difesa dei diritti civili? 

Come dite? Sarebbe stato troppo offensivo? Già avrebbe potuto rovinare quella che invece sospettiamo sia stata la vera ragione del perché la medaglia d'oro dell'opportunismo italiano non potesse mancare allo stadio di Sochi. Che occasione per dare alle aziende italiane che fanno già grandi affari con la Russia, un ulteriore vantaggio rispetto a quelle tedesche della "dispettosa" Merkel, o quelle francesi e britanniche dei "pavidi"  Hollande e Cameron. 

Letta ha fatto bene ad andare a Sochi, ma esserci soltanto è sembrato più il gesto vigliacco di chi non volesse irritare Vladimir il terribile per non rischiare di perdere certi favori conquistati, a suo tempo, da Silvio "il sincero".  Già almeno il Cavaliere Berlusconi, amico di Putin, non era un ipocrita.

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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