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January 29, 2014
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January 29, 2014
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Cercano di nasconderlo, ma la Sicilia ormai è economicamente, politicamente, culturalmente fallita

Giulio AmbrosettibyGiulio Ambrosetti
Time: 7 mins read

La Sicilia è fallita. Miseramente fallita. Travolta da una voragine finanziaria. Quella che noi ai nostri lettori in America ricordiamo spesso essere una Regione italiana a Statuto speciale – quasi come uno dei vostri Stati – non c’è più. Ma, a parte qualche quotidiano on line – come questo che state leggendo – la notizia ‘non passa’ sui quotidiani italiani nazionali e internazionali. Perché?

Quello della Sicilia sarà un fallimento a luci spente. Per evitare all’Italia quello che è successo alla Grecia. Sarà, quello siciliano, il primo caso di fallimento di una Regione di oltre 5 milioni di abitanti da ‘pilotare’ nel silenzio assoluto. 

Nel fallimento della Regione Sicilia – che, da sola ha un ‘buco’ di bilancio pari a quello dell’intera Grecia, ovvero un miliardo e mezzo di euro! – ci sono motivazioni legate alla gestione folle dell’Unione europea e dell’euro. Ma ci sono, soprattutto, questioni interne, legate a una politica fallimentare, arruffona, clientelare e intrisa, in buona parte, di cultura mafiosa. 

La scorsa settimana – i lettori lo ricorderanno – vi abbiamo raccontato di cosa è capace la mafia, quella vera: una mafia in grado di aggirare, con cavilli e codicilli, una legge che vieta l’edificazione lungo le coste dell’Isola. Da qualche giorno anche i parlamentari regionali del Movimento 5 Stelle – tra i pochi che si salvano dal marasma della politica siciliana – stanno cercando di combattere un’assurda sanatoria edilizia. Ma ci sarà poco da combattere, perché la Sicilia, ormai, è terra di ‘saccheggio’ integrale, tra militari americani che si fanno i cavoli loro, una politica di ladri e i mafiosi che fanno il bello e il cattivo tempo. Un baratro. Con Musei e Teatri chiusi (sono rimasti senza soldi il Teatro Massimo di Palermo e il Teatro Vincenzo Bellini di Catania e altri Teatri di prosa). Per non parlare di prestigiose Fondazioni e Associazioni culturali. Lo ripetiamo: un disastro.   

La Sicilia è fallita, dicevamo. Da quasi tutti i punti di vista. Certo, è fallita dal punto di vista economico e finanziario. Non vogliamo annoiare i lettori con i numeri. Ne diamo solo due per indicare la tragedia sociale di cui stiamo parlando. Il primo l’abbiamo già accennato: il ‘buco’ di bilancio di un miliardo e mezzo. Poi c’è un altro dato che potrebbe essere oggetto di studio delle società di rating: in pratica, su 15 miliardi di entrate – questo il Bilancio della Regione Sicilia – 3 miliardi di euro non ci sono: sono fittizi! Un Bilancio con i ‘buchi’ e falso!

Ma non siamo qui per annoiarvi con i numeri: anche perché, come già accennato, le lobbies hanno l’ordine di tenere ‘bassa’ la notizia: fari spenti e basta. 

Noi, oggi, vogliamo raccontare ai lettori in America che cosa c’è dietro il fallimento finanziario di un’Isola che, con i tesori monumentali e naturalistici che possiede, dovrebbe essere uno dei luoghi più ricchi del mondo. Insomma, dietro il fallimento di una Regione come la Sicilia – al centro del Mediterraneo e con mille opportunità – c’è in primo luogo, un fallimento culturale. Dalla fine degli anni ’70 del secolo passato in poi la Sicilia non esprime un progetto culturale e, di conseguenza, non può esprimere un progetto politico. 

La cultura politica siciliana del ‘900 si fonda, soprattutto, sull’esperienza politica e sociale di don Luigi Sturzo, sacerdote e pro Sindaco di Caltagirone tra la fine del ‘800 e i primi del ‘900. Il rapporto di Sturzo con la Sicilia si affievolirà con la conquista dell’Autonomia a metà anni ’40 del secolo passato (i democristiani, tranne poche eccezioni, non lo sopportavano) e si interromperà definitivamente poco prima della sua morte che avverrà alla fine degli anni ’50.

Tutti celebrano l’esperienza della Sinistra in Sicilia nel secondo dopoguerra. In effetti, i personaggi importanti non sono mancati. Ma, nel complesso, la Sinistra siciliana, già alla fine degli anni ’40 del secolo passato, viene ‘colonizzata’ – per le cose che ‘contano’ – dalla mafia. I morti di dirigenti politici e sindacali della Sinistra (ma anche democristiani), eliminati ad uno ad uno dai mafiosi, sono personaggi che si oppongono non solo alla mafia, ma a una politica controllata dalla mafia. La differenza tra Dc e Pci, rispetto alla mafia, è che nello Scudocrociato i mafiosi entravano come il coltello nel burro, mentre nel Pci trovavano qualche resistenza (ma nemmeno poi tanta) in più. 

Succedeva anche che, nella Sinistra siciliana, i dirigenti antimafiosi venivano osteggiati dai loro stessi Partiti. E’ in questo scenario che, a Sciacca, in provincia di Agrigento, il 4 gennaio del 1947, viene ammazzato il segretario della Camera del Lavoro, Accursio Miraglia. Che i nemici, oltre che tra i mafiosi, li aveva dalla propria parte politica. E, del resto, nel corso degli anni, la Sinistra agrigentina non ha mai perso i suoi saldi legami con la mafia (e con ‘pezzi’ dello Stato che in Italia, spesso, si identifica con la mafia: vedi la ‘famigerata’ trattativa tra Stato e mafia dei primi anni ’90). Ancora oggi – e non è certo un caso – Agrigento e la sua provincia sono un esempio di illegalità.  

La mafia, dagli albori dell’Autonomia siciliana (1946) fino ad oggi ha sempre condizionato la politica creando una ‘sottocultura’ che, spesso, si è identificata con la cultura. Chi capisce perfettamente tutto, già a metà anni ’60 del secolo passato, è lo scrittore Leonardo Sciascia che, con straordinaria lucidità, mette a nudo non soltanto mafia e cultura mafiosa, ma anche i legami tra la mafia siciliana e il Nord Italia, allora ricco e prospero. Sciascia è il primo a scrivere – in un volume straordinario dal titolo: “La palma va al Nord” – che la vera mafia, tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70, si andava radicando  nel Nord Italia. 

Questa premonizione gli costerà carissima. Perché avrà contro personaggi  che, piaccia o no, di quel sistema – magari indirettamente – comunque beneficiavano. Scontro che diventerà sempre più duro negli anni ’80.

Sciascia, oltre che grande scrittore, era capace di raffinate analisi politiche. E’ sempre lui, lo scrittore di Racalmuto, a capire che l’operazione Milazzo – uno strano Governo regionale durato un anno e mezzo, dalla fine del 1958 al 1960 – aveva finito col distruggere completamente quel poco di ‘verginità’ della Sinistra siciliana. In questo Governo regionale presieduto da Silvio Milazzo – personaggio più furbo che intelligente – la Dc ufficiale era passata all’opposizione. Nel Governo erano entrati dissidenti democristiani, fascisti, comunisti e socialisti. Un’alleanza politica inedita. Strana, per quegli anni di ‘Guerra fredda’.
Milazzo, in un anno e mezzo, guiderà tre Governi. Il primo, di rottura, fatto di chiacchiere. Il secondo e il terzo con i mafiosi che manovravano tutto insieme ai comunisti. Certo, nel Pci siciliano di allora c’erano quelli che dissentivano nel vedere il loro partito alleato dei mafiosi: contrarissimi erano Girolamo Li Causi e l’allora giovane Pio La Torre. Ma vennero messi a tacere. Non è un caso che circa 25 anni dopo – il 30 aprile del 1982 – La Torre verrà ammazzato. Di mezzo, in questo delitto, si dice ci fossero anche gli americani che, in quegli anni, piazzavano i missili Cruise in Sicilia con La Torre che aveva creato un grande Movimento popolare  per la pace insieme con i cattolici. Ma i veri nemici di La Torre erano i mafiosi: mafiosi che aveva sempre combattuto a viso aperto, spesso contro certi suoi compagni di Partito che, per sminuirne il messaggio, dicevano: “Pio ha la fissa della mafia…”. In realtà, La Torre non era affatto fissato: le cose le sapeva e le capiva, anche troppo: e andava eliminato. 

Perché queste digressioni nel passato, tutto sommato non lontano? Perché, oggi, quello che manca completamente alla Sicilia – alla politica siciliana – è un progetto culturale. Se oggi, in Sicilia, nella politica siciliana, il mondo cattolico non conta più nulla è proprio perché la mafia, nel corso dei decenni, ha soffocato nella ‘culla’ ogni anelito di ribellione, ammazzando quei pochi politici, anche democristiani, che riuscivano a sfuggire da ‘piccoli’ a questa logica criminale: eclatante, al riguardo, l’uccisione, il 6 gennaio del 1980, di Piersanti Mattarella, un democristiano che i mafiosi vedevano come il fumo negli occhi proprio perché portatore di un progetto culturale e politico che rischiava di creare seri problemi all’onorata società, proprio nel momento in cui la mafia siciliana si affermava negli Stati Uniti d’America con la cosiddetta “Pizza Connection”. 

Forse, dopo Mattarella, l’unico governante siciliano con in mente un progetto culturale e politico è stato Rino Nicolosi, presidente della Regione dal 1985 al 1991. Ma era troppo solo in un ‘sistema’ politico che era quello che era. E in una Sicilia dove la politica tradiva sempre i siciliani e mai i boss mafiosi.
E oggi? La Sicilia, come entità politica autonoma, è un’aporia già da quattro cinque anni. Guarda caso, da quando gli eredi del vecchio Pci siciliano sono entrati nel Governo della Sicilia. ‘Affamati’ di potere (e di altro…), da cinque anni a questa parte hanno finito di ‘saccheggiare’ la Sicilia. 

Cari lettori in America, la Sicilia che conoscete, che vi raccontano, in parte non c’è più. Intanto, come abbiamo ricordato la scorsa settimana, i mafiosi – che ormai sono in Europa, in quell’Europa che, non a caso è pessima – attendono la già citata sanatoria edilizia per speculare sul quello che resta del territorio. Penserete: alla fine distruggeranno altra parte del territorio e creeranno sviluppo. Errore: i mafiosi sono i nemici dello sviluppo economico. Non lo vogliono. Perché la crescita delle imprese porta libertà e autonomia di pensiero. E i mafiosi e i politici siciliani, oggi come ieri, non vogliono sentir parlare di sviluppo dell’economia. Tenendo i siciliani nel bisogno, li controllano. Un’idea di Sicilia e di Sud Italia che oggi coincide – guada un po’ che caso – con quella dell’Unione Europea, della Banca centrale europea (Bce) e del Fondo monetario internazionale (Fmi): rigore per tutti i cittadini nel nome di quella truffa che è il debito pubblico italiano (arrivato a 2 miliardi e 100 milioni di euro) e, di fatto, soldi e potere a chi ce li ha: che in Sicilia – altra strana coincidenza – sono i mafiosi.

In fondo, il fallimento della Sicilia è un capolavoro della grande mafia: la mafia vera: la mafia che condiziona i grandi flussi finanziari tanto ‘cari’ a banchieri, Bce e Fmi. 

Che succederà? Promettiamo di tenere informati i nostri lettori americani. Anticipando, soltanto, che comincerà il grande ‘saccheggio’. Che, in realtà, è già cominciato. Il Muos di Niscemi – guarda caso in coincidenza con il fallimento della Regione Sicilia (ma quanti casi…) – sta per entrare in funzione con mezza Sicilia alla fame che, prima che protestare per le onde elettromagnetiche del Muos, dovrà pensare a mettere d’accordo pranzi e cena (altra coincidenza…). Altri ‘pezzi’ di Sicilia sono già nelle mani di militari che scorrazzano non si capisce bene in vista di quali guerre. Insomma, tutto procede ‘bene’…            

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Giulio Ambrosetti

Giulio Ambrosetti

Sono nato a Palermo, ma mi considero agrigentino. Mio nonno paterno, che adoravo, era nato ad Agrigento. Ho vissuto a Sciacca, la cittadina dei miei genitori. Ho cominciato a scrivere nei giornali nel 1978. Faccio il cronista. Scrivo tutto quello che vedo, che capisco, o m’illudo di capire. Sono cresciuto al quotidiano L’Ora di Palermo, dove sono rimasto fino alla chiusura. L’Ora mi ha lasciato nell’anima il gusto per la libertà che mal si concilia con la Sicilia. Ho scritto per anni dalla Sicilia per America Oggi e adesso per La Voce di New York in totale libertà.

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