La mia maratona di New York è iniziata alla 4 di mattina di domenica. Avevo scelto l’opzione di recarmi alla partenza di Staten Island con il ferry delle 6:15. Dunque mi è toccata questa levataccia che poi diventa un momento per rivedere i piani di corsa, controllare gli indumenti da portarsi alla partenza, preparare le scarpe da gara, il pettorale di gara. Insomma un ritual comune a chiunque si accinge a correre una maratona. Mi reco a South Ferry in metropolitana (linea 1) insolitamente gremita di podisti e di qualche infastidito operaio a cui tocca lavorare la domenica mattina e a NY sono tanti, in particulare modo tra gli emigrati. Alle 6 sono alla stazione dei traghetti per Staten Island pronto per l’imbarco. La traversata dura circa 25 minuti. A NY albeggia. Intanto per l’intero percorso fluviale e marittimo siamo scortati da un motoscafo della polizia di NY. I controlli si preannunciano severissimi. Già all’imbarco ogni sacco gara degli atleti veniva controllato accuratamente da un poliziotto. Arrivati a Staten Island ogni singolo atleta veniva individualmente controllato con metal detector da un poliziotto prima di poter accedere al Villaggio Maratona.
Sono arrivato al Village Maratona alle 7. Mi è stato assegnato il Coral Green. Due ore e 40 minuti (la partenza era fissata alle 9:40) passate in una tenda per atleti locali. Migliaia di altri maratoneti sono stati meno fortunate di me. Sui prati di Fort Hamilton con una temperature di 6 gradi centigrade alle 7 ed un forte vento da Nord. Alle 9 si aprono i coral. Insomma ci si schiera per la partenza. Ma non è finita. Bisogna aspettare altri 40 minuti prima del famoso colpo di cannone che dà il via. Ognuno si copre come può. Chi indossa un cappotto dismesso che al momento del via getta via. Chi un accappattoi. Io me la sono cavata con una giacca tipo militare offertami da una atleta che aveva previsto la bassa temperature di oggi.
Partiti alle 9:40. Corro nel livello inferior del Verrazzano bridge. Ciò non mi protegge da un vento freddissimo che spira da nord. Attraversiamo Brooklyn tra un mare di folla e di bandiere, soprattutto ispaniche, il Mexico fa da padrone. Viene poi la volta della zona ebraica ortodossa di Williamsburg. Si arriva attraverso il Pulanski Bridge nel Queens, qui le etnie sono più articolate. Spunta qualche bandiera italiana, diverse polacche, alcune dominicane.
Dal Queens attraverso il Queensborough Bridge (rinominato Ed Koch Bridge) si entra in Manhattan. La First Avenue è una esplosione di incitamenti e bandiere. Sento varie volte il mio nome. Saluto senza riuscire ad individuare i fans. Il Bronx con il Willis Bridge ed il Madison Bridge infligge altre pene alle gambe dei maratoneti. Ma ormai Central Park è vicino.
La Fifth Avenue viene affrontato con l’intento di raggiungere quanto prima il parco e finire la gara. Si entra in Central Park da Engineers Gate. Ormai mancano poco più di due miglia. Dopo la Boat House spunta il cartello dei 25 miglia. E’ fatta. Wrong! Appena imbocco Central Park South arrivano i temuti crampi. Non mi lascio prendere dal panico. L’importante è finire la Maratona. La proiezione finale mi dice che non riesco a scendere sotto le 3 ore. Pazienza. Ci riproverò.
Ultimi 400 metri. Durissimi. In salita. Crampi che non mollano. Nemmeno io mollo. Taglio il traguardo. Sono soddisfatto. Penso alle vittime di Boston. Ero li ad Aprile. Individuo tra la folla la CEO e President del NYRR, Mary Wittenberg. La abbraccio e la ringrazio per la straordinaria maratona che ha saputo ridare alla città ed al mondo. Mi avvio a ritirare il mio bagaglio. Dopo circa un’ora dall’arrivo sono a casa. Soddisfatto. Il mio tempo finale: 3 h 03 m 08 sec. La medaglia ricordo giace sulla scrivania. Il ricordo di una giornata straordinaria rimarrà a lungo nella mia memoria.
Per le sensazioni di Vincenzo Pascale alla vigilia della maratona, leggete qui