Ai primi di luglio, il Ministro Anna Maria Cancellieri aveva parlato di lobby che impediscono ai processi di funzionare. Si riferiva agli avvocati. Vale a dire, ai soggetti che, sulla carta, difendono i diritti dei cittadini. Non una parola verso i magistrati, non solo non gratificati dell’ambigua qualificazione, ma nemmeno considerati fra le possibili cause della morte del processo. (Per chi volesse, se ne è scritto nel “Fuori dal coro” del 5 Luglio). Seguendo una singolare schizofrenia valutativa, per cui se nelle scuole l’insegnamento arranca, andrebbero senz’altro esclusi da ogni responsabilità i docenti, e se negli ospedali diagnosi e terapia balbettano, mai guardare ai medici. Essendo costei Ministro della Giustizia, questo metodo di analisi già allora suscitava più d’una perplessità. Ma proseguiamo.
Una decina di giorni prima, Silvio Berlusconi era stato condannato per concussione, avendo chiesto e, si ritenne, imposto per telefono ad un funzionario della polizia di stato che la nota Ruby venisse affidata alla nota Minetti. Sei anni per concussione, più uno per prostituzione minorile.
A metà di quel mese di luglio, Giulia Ligresti venne sottoposta a custodia cautelare in carcere, su richiesta della Procura di Torino. In quelle stesse ore, il Ministro chiama la compagna di Salvatore Ligresti, sottoposto agli arresti domiciliari, esprimendo il suo dispiacere e dicendosi pronta a fare quello che poteva per soccorrere il padre e le figlie (anche l’altra figlia, Jonella, era finita in carcere). Si è così saputo che fra le famiglie Ligresti e Peluso/Cancellieri intercorre stabile amicizia da circa quarant’anni, coronata anche da una generosa liquidazione (cinque milioni di euro, dopo un anno di lavoro) deliberata da Fondiaria-Sai in favore del figlio del Ministro, Pier Giorgio Peluso.
A metà Agosto il Ministro convoca due alti funzionari del Dap, il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (il Ministero della Giustizia si articola in quattro dipartimenti) e raccomanda, per quanto di competenza (tecnicamente, nessuna), il caso di Giulia Ligresti, anoressica.
Cosa interessa di questa vicenda? Due aspetti, su tutti: primo, l’innegabile analogia fra l’intervento del Ministro Cancellieri, in favore di una persona sottoposta ad un provvedimento carcerario emesso da un giudice, e l’intervento del Presidente del Consiglio Berlusconi, in favore di una persona di cui la polizia stava accertando l’identità. Secondo: la conoscenza, da parte del Ministro Guardasigilli, già Prefetto di lungo corso, di “come vanno le cose” Italia in materia di giustizia.
Il primo punto è quello che agita di più: se si riconosce l’analogia (e come non si potrebbe?), allora dovrebbe sorgere l’imbarazzo per l’evidente anomalia della condanna inflitta a Berlusconi. Delle due l’una, infatti: o una valutazione equilibrata e serena ci mostra che un sentimento di amicizia o di generica umanità, che non abbia leso alcuno od alcunché (e ricordiamo qui ciò che, sulla propria, pretesa, intimidazione, hanno dichiarato in Tribunale i funzionari della Questura di Milano), non merita i rigori della Legge; e allora, salva la Cancellieri, non si vede come confermare in grado d’appello la condanna a Berlusconi, senza ridurre al grado più infimo la già misera fiducia verso la magistratura italiana. Oppure decidiamo che gli uomini e le donne cui è affidato il governo della Nazione devono essere dei pusillanimi: e allora male per Berlusconi che pusillanime non è stato, e male per la Cancellieri.
E qui sta l’inghippo. Perché, non solo nessuna accusa è stata mossa al ministro, ma il Procuratore capo di Torino, Giancarlo Caselli, è decisamente intervenuto sulla faccenda degli arresti domiciliari concessi a Giulia Ligresti, dichiarando che nessuna interferenza c’è stata, e ammonendo che ogni diversa interpretazione sarebbe “arbitraria, del tutto destituita e priva di fondamento”. Così veniamo al secondo punto saliente, alla conoscenza, nella stessa persona del Ministro, di “come vanno cose” in materia di giustizia.
La richiesta di sostituire il carcere con il confino a casa propria, nel caso di una persona obiettivamente malata, è una sciocchezzuola per qualsiasi avvocato, un’istanzuccia che avanzerebbe senza difficoltà anche uno sbarbatello alle prime armi e passato di lì per caso, cioè nominato d’ufficio. Figuriamoci la difesa di Giulia Ligresti. Solo che in Italia il processo penale non c’è più, è morto: gli indagati, come gli imputati (a meno che non siano collaboratori di giustizia) non hanno effettivi diritti. Possono solo congiungere le mani e pregare, invocando l’altrui misericordia, come si farebbe se fosse Dio a giudicare. E questo il Ministro, sin da quando gigioneggiava sulla “lobby” degli avvocati, a quanto pare, lo sa benissimo.
Fra quelli che non lo sanno è rimasto Berlusconi e, sembra, i suoi avvocati.