Il rapporto degli scienziati accreditati presso le Nazioni Unite, e diffuso giovedì scorso da Stoccolma, non fa una grinza, è preciso, è inattaccabile: le condizioni climatiche sulla Terra fanno spavento e ne faranno parecchio di più fra venti, trenta, quarant’anni. E’ stato calcolato che, di questo passo, alla fine del secolo (ma anche un po’ prima) la temperatura media nell’aria salirà di 1 o 2 gradi (tantissimi), interi litorali spariranno sotto le acque. Spariranno le spiagge di Viareggio, Forte dei Marmi, Mondello, tantissime altre ancora. Si ridisegnerà la Geografia della Terra… Sarà una catastrofe. Una catastrofe le cui conseguenze risulteranno più agghiaccianti ancora. Tali da sfuggire, oggi, alla nostra immaginazione.
Ma una via d’uscita, come sottolineato a Stoccolma, ci sarebbe. C’è: ridurre del 50 percento in tutto il pianeta le emissioni industriali. Cina Popolare, India, Brasile, tuttavia, non vorranno ridurle, quindi mai le abbasseranno. A tal proposito ricordiamo lo scempio che lo Stato federale brasiliano sta commettendo in Amazzonia, la quale Amazzonia è il polmone del mondo: sparito questo miracoloso polmone, i contraccolpi in tutto il mondo saranno micidiali. Come respireremo? Ma potremo respirare ancora?
Se m’azzardo ad accendere una sigaretta dove c’è un po’ di gente, rischio il linciaggio! Ma industriali e automobilisti possono impunemente seguitare ad avvelenare l’aria e nessuno alza un dito, nessuno s’indigna; non si lanciano campagne di stampa con l’”automobile ammorbante”, contro l’uso sfrenato dell’industrializzazione. E’ come se tutto ciò non avvenisse. Questo fa rabbrividire. Questo esaspera, scoraggia.
Salvo poche, troppo poche, eccezioni, la classe politica internazionale finge di non vedere, finge di non udire. E’ una classe politica che si dedica soltanto all’”immediato”; una classe dirigente (!) in campagna elettorale permanente, almeno in Italia. E’ un Sistema senz’anima, quindi senza coscienza. Senza cervello.
Invertire la rotta che ci sta spingendo nel baratro, sarebbe troppo “faticoso”, troppo “impegnativo”. Certo, sarebbe un’impresa ciclopica, dopo almeno mezzo secolo d’industrializzazione sfrenata, invertire, sì, la rotta. Ma la salvezza vera risiederebbe nel ritorno alla campagna, alla campagna abbandonata sia a causa di un padronato non sempre attento e generoso, sia in nome (come accadde in Italia fra gli anni Cinquanta e Sessanta) della “emancipazione” della classe contadina.
Senza girarci tanto intorno, la sola salvezza sarebbe proprio questa: il ritorno alla campagna. Se vogliamo dare un futuro almeno accettabile ai figli, ai nipoti dei nostri figli. Altra soluzione non c’è.
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