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September 7, 2013
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Così in Sicilia si lasciano morire le opere d’arte e le donne di parto

Giulio AmbrosettibyGiulio Ambrosetti
L'entrata del Museo del Palazzo Abatellis

L'entrata del Museo del Palazzo Abatellis

Time: 5 mins read

Forse per capire che cosa è la vita in Sicilia, oggi, bisogna partire dal museo di Palazzo Abatellis, a Palermo. E’ un Palazzo del ‘400, un tempo museo nazionale, oggi museo regionale. In questo luogo sono custodite sculture di Antonello e Domenico Gagini (si pensi all’ “Annunciazione” e al “Ritratto di giovinetto” del primo e alla “Madonna del latte” del secondo). Quindi il celebre “Busto di gentildonna” di Francesco Laurana, opera conosciuta come “Eleonora d’Aragona”. Per non parlare dell’altrettanto nota “Annunziata” di Antonello da Messina. O del “Trionfo della morte”, altro quadro famoso.

Chi ne vuole sapere di più può consultare la rete. Dove, su Palazzo Abatellis troverà tante altre informazioni. Un luogo unico. Un museo gestito dalla Regione siciliana, che è un po’ come uno Stato degli USA, dal momento che la Sicilia è una Regione che gode, almeno sulla carta, di larga autonomia.

Ebbene, come abbiamo denunciato qualche giorno fa dal nostro giornale on line, LinkSicilia, in questo museo succedono cose incredibili. Succede che opere di inestimabile valore siano abbandonate alle temperature siciliane. In pratica, non c’è, all’interno del museo regionale, un impianto di climatizzazione.

Non c’è bisogna che vi diciamo che cosa succede alle opere d’arte con le alte temperature estive tipiche della Sicilia, unite a un’elevata umidità dell’aria. Pensate: il caldo e l’umidità sui quadri di Antonello da Messina, sulle sculture del Gagini e del Laurana, sui tetti lignei, insomma, tutto Palazzo Abatellis preda dell’umidità e del caldo estivo e dell’umidità e del freddo invernale.

Pensate, dalle parti di New York, che dopo la denuncia sia successo qualcosa? Che le autorità della Regione siciliana e del comune di Palermo siano intervenute di corsa per salvaguardare le opere del Gagini e di Antonello da Messina? Vi sbagliate: a parte un’interrogazione parlamentare dei deputati siciliani del Movimento 5 Stelle (la Sicilia ha un proprio Parlamento, uno dei più antichi del mondo, e si trova nel Palazzo Reale) non è successo nulla. Perché alle autorità della Sicilia, dei monumenti e delle opere d’arte non gliene può fregare di meno. 

Questo è Palazzo Abatellis, questa è la Sicilia. La cosa che colpisce è la ‘naturalezza’ con la quale opere d’arte di grande valore – opere d’arte che il modo ci invidia – vengano abbandonate. Attenzione: qui non siamo a Pompei che crolla. Non siamo in un’area per la quale occorrono chissà quali investimenti per tenerla in piedi. Siamo a Palermo. A Palazzo Abatellis, museo della Regione siciliana. Un Palazzo storico è perfettamente in piedi. Servirebbe solo un impianto per mantenere la temperatura costante in tutte le stagioni. Una cosa semplice che si fa in tutti i musei del mondo a tutela delle opere d’arte. In tutto il mondo, ma non a Palermo. Non in Sicilia. Qui, nella nostra Isola, delle opere d’arte non gliene frega niente a nessuno.

La stessa cosa, lo scorso anno, l’abbiamo descritta al museo regionale di Messina. Dove, però, avevano ovviato al problema piazzando un ‘Pinguino’, un impianto portatile. Una cosa incredibile. Ma vera.

Un impianto per mantenere la temperatura e l’umidità dell’aria costante non è una grande spesa. Tutt’altro. Ma non sono i soldi a impedirlo. E’ l’incuria, il menefreghismo, la strafottenza delle autorità. Di tutte le autorità. La verità è che i beni culturali, in Sicilia, tranne poche eccezioni, sono trascurati.

L’anno scorso una turista inglese, in compagnia di una sua amica siciliana di Palermo, rimangono imbottigliate nel traffico dalle parti di Piazza Principe di Camporeale. A due passi dal Castello della Zisa, monumento storico di Palermo. A un certo punto trovano un parcheggio. Ci si gettano.

“Da qui non usciremo prima di un’ora – dice l’amica palermitana all’amica inglese -. Dai a questo punto ci vediamo il Castello della Zisa”.

Le due ragazze arrivano all’entrata del Castello della Zisa a mezzogiorno. Trovano quattro o cinque custodi. Perché il bello della Sicilia è che nei siti culturali invece di trovare un custode e tre o quattro guide, trovi quattro o cinque custodi e nessuna guida.

La ragazza inglese si chiede perché i pochi cartelli con le indicazioni sono scritti solo in italiano e non anche in inglese. I custodi non sanno cosa rispondere. In quel momento – era già mezzogiorno l’ora magica del pranzo – avevano improvvisato uno ‘schiticchio’. In Sicilia lo ‘schiticchio’ è una grande mangiata. E una grande mangiata avevano ‘apparecchiato’ i custodi del Castello della Zisa raggiunti da altri amici.

La ragazza insiste. E chiede se c’è una guida in grado di parlare l’inglese. I custodi, che sono quasi tutti lavoratori precari inviati lì, a castello della Zisa, non si capisce bene in base a quale criterio allargano le braccia. E rispondono che la Regione non ha mai pagato i corsi d’inglese.

Insomma il dialogo surreale dura una ventina di minuti. Poi la ragazza inglese ha capito che il Castello della Zisa dovrà visitarlo da sola. Arrangiandosi. Questa è Palermo. Questa è la Sicilia.

Ogni anno le università siciliane sfornano centinaia di laureati in lingue straniere. Basterebbe bandire i concorsi per guide nei musei siciliani. Invece nei musei dell’isola, nel 90 per cento dei casi, ci sono i precari assunti per raccomandazione dai politici che parlano a malapena l’italiano e organizzano ‘schiticchi’.

Spiace scrivere queste cose. Ma perché nasconderle? Secondo voi come ha fatto la Sicilia – queste è notizia di un paio di settimana fa – ad essere stata classificata tra le ultime regioni dell’Unione Europea, dietro alla Calabria?

Proprio per questo: perché è ultima nella gestione dei beni culturali, è ultima nella pubblica amministrazione, è ultime nei servizi alle imprese. Anche la sanità pubblica resiste perché ci sono bravi medici e bravi infermieri. Ma appena ci mette mani la politica…

E’ successo meno di un mese fa a Gangi, paese arroccato sulle Madonie. Una donna di 40 anni incinta si è sentita male. L’hanno trasportata in ospedale con urgenza a Nicosia, in provincia di Enna. Qui è stata operata. Parto cesareo d’urgenza. Il bimbo era già morto.

Sono sopravvenute complicazioni. Ma all’ospedale di Nicosia non c’era la sala per la Rianimazione. Può sembrare incredibile: in un ospedale pubblico c’è la sala operatoria, ma non c’è la Rianimazione. Hanno chiamato il Servizio di Elisoccorso. Il soccorso d’urgenza con l’elicottero. Peccato che l’elicottero è arrivato dopo quasi tre ore! Risultato: la donna, appena arrivata all’ospedale di Sciacca, è morta.

Voi pensate che ci sia stata una mobilitazione? Pensate che un magistrato abbia chiamato l’assessore regionale alla Sanità e i più alti dirigenti della Regione per farsi spiegare come mai, in un ospedale pubblico, c’è una sala operatoria ma non c’è la Rianimazione? Pensate che indagheranno sul perché il Servizio di Elisoccorso è arrivato con tre ore di ritardo, in estate, in una giornata di sole e senza vento?

Noi in Sicilia non pensiamo più. Osserviamo. E fino a quando ce lo consentiranno, scriveremo. Anche su La VOCE di New York. Scriveremo che in Sicilia, nel 2013, le donne muoiono di parto. Che negli ultimi tre mesi hanno chiuso, per ‘risparmiare’, 28 Punti nascita, ovvero i luoghi dove nascono i bambini. In Sicilia hanno chiuso i Punti nascita delle aree cosiddette disagiate. Zone di montagna, già abbandonate. Una scelta ‘intelligente’. Così le aree disagiate diventeranno ancora più disagiate. E la gente muore. Anche di parto.

La Sicilia come la Grecia? Sì, ma senza clamore. Senza rumore. In silenzio. Senza manifestazioni di piazza. Almeno per ora.  

 

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Giulio Ambrosetti

Giulio Ambrosetti

Sono nato a Palermo, ma mi considero agrigentino. Mio nonno paterno, che adoravo, era nato ad Agrigento. Ho vissuto a Sciacca, la cittadina dei miei genitori. Ho cominciato a scrivere nei giornali nel 1978. Faccio il cronista. Scrivo tutto quello che vedo, che capisco, o m’illudo di capire. Sono cresciuto al quotidiano L’Ora di Palermo, dove sono rimasto fino alla chiusura. L’Ora mi ha lasciato nell’anima il gusto per la libertà che mal si concilia con la Sicilia. Ho scritto per anni dalla Sicilia per America Oggi e adesso per La Voce di New York in totale libertà.

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