Il 23 ottobre del 1983 una sconosciuta organizzazione terroristica chiamata Jihad Islamica distrusse con attacchi kamikaze la caserma dei marines americani e quella dei militari francesi, in missione di pace a Beirut. I giovani carabinieri italiani di stanza nella capitale libanese ricordano ancora l’orrore dei cadaveri ridotti a pezzi, caddero 241 marines, 58 soldati francesi e 6 civili, oltre cento i feriti.
L’allora presidente americano Ronald Reagan, considerato un falco, viene spinto alla reazione, deve «vendicare» la strage. Reagan ordina alla corazzata New Jersey, che incrocia nel Mediterraneo, di aprire il fuoco con i proiettili da 16 pollici, arnesi che scavano crateri grandi come campi da tennis non più usati dal Vietnam, «Volkswagen volanti» li chiamavano i libanesi. Partono undici cannonate e il raid si ferma. Il 7 febbraio 1984 «il falco» Reagan comanda il ritiro unilaterale dei marines dal Libano e il giorno dopo la New Jersey, per guadagnare titoli sui giornali, spara 300 cannonate – record dai tempi della Corea – sulla Valle della Bekaa, contro miliziani siriani e drusi.
Muoiono molti civili, molto odio è seminato, la ritirata è coperta dal frastuono di ordigni da 16 pollici.
È lo scenario che il pragmatico presidente Barack Obama, premio Nobel per la Pace, ha sul tavolo adesso per la Siria, in punizione per l’uso di gas tossici da parte del dittatore Assad, in palese violazione del diritto internazionale. Reagan, etichettato come «falco» non aveva in realtà nessuna voglia di essere coinvolto nella tragica guerra civile libanese e, salvata la faccia a cannonate, riporta tutti a casa. Obama, etichettato con altrettanta superficialità «colomba», non intende affatto contrariare il 60% degli americani ostili al blitz contro Damasco. Sa però di avere intimato ad Assad di non usare i gas e sa che Russia, Cina e Iran, veri bersagli psicologici del suo raid, lo scrutano. Se il Presidente, intimidito, non mantiene la parola, Mosca, Pechino e Teheran alzeranno il prezzo in ogni trattativa, civile e militare. E la forza americana, nella Grande Guerra Civile che divide l’Islam dal Nord Africa alla Turchia a Kabul, conterà meno di quel poco che conta oggi.
Centomila morti civili non son bastati a smuovere Usa, Europa, Onu e Nato, il veto imposto alle Nazioni Unite da Russia e Cina ferma tutto. Ma ora non conta il sangue, conta la credibilità politica e mezzo millennio dopo la pubblicazione del «Principe» di Machiavelli, il cerebrale Presidente americano è cosciente che un leader non temuto è un leader finito, anche nell’epoca in cui la cyberdiplomazia dei tweet conta almeno quanto le cannonate da 16 pollici.
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