Oggi Erich Priebke, l’uomo che il 23 marzo del 1944 partecipò attivamente all’eccidio delle Fosse Ardeatine, compie cento anni.
L’ex ufficiale delle SS, condannato a un ergastolo che per motivi d’età sta scontando agli arresti domiciliari, sembra quasi un innocuo nonno come tanti quando accompagnato dalla badante fa la sua passeggiata quotidiana nel quartiere romano della Balduina, dove vive.
Difficile riconoscere in questo nonno Erich, quel Priebke attivo protagonista di una strage dove 335 persone furono sommariamente giustiziate per rappresaglia, in seguito a una bomba lanciata dai partigiani contro una colonna di polizia tedesca in via Rasella. Le vittime furono rastrellate praticamente a caso, portate nei cunicoli delle fosse e uccise.
Il capitano delle SS, inizialmente fuggito in Argentina (dove si è goduto cinquant’anni di libertà), fu poi estradato e condannato in Italia dopo una lunga e contorta vicenda processuale, alla fine della quale la Corte di Cassazione ha riconosciuto il suo ruolo nella strage delle Fosse Ardeatine, decretando che “collaborò alla preparazione dell’esecuzione collettiva in posizione di assoluta preminenza organizzativa”.
Un criminale nazista mai pentito. Questo è e resta Priebke, anche settant’anni dopo. Un delinquente che ha attivamente e consapevolmente torturato e massacrato un numero esorbitante di esseri umani.
Non lasciamoci ingannare dalla maschera degli anni che si sono accumulati sulle spalle di questo tenebroso personaggio. Anni che ha potuto vivere, e anche bene, considerando che la condanna è arrivata troppo tardi ed è stata, in definitiva, troppo blanda.
E non tolleriamo queste azioni con la storia dell’adempimento degli ordini, giustificazione esclusa dal tribunale a causa del contenuto evidentemente criminoso. E non crediamo ai loro “non sapevo, non vedevo, non sentivo…”, giustificazioni di cui si continua ad abusare anche in altri processi molto più recenti, e alle quali il procuratore generale per gli Stati Uniti Robert Jackson, che sostenne l’accusa al processo di Norimberga, rispose affermando: “Se si dovesse dire che questi uomini non sono colpevoli, sarebbe come affermare che non vi è stata guerra, non vi sono cadaveri, non vi è stato delitto”. Infatti, secondo Jackson, considerando solo le storie degli imputati, emergeva un quadro dove il governo di Hitler sarebbe stato composto da un numero 2 ignaro del programma di sterminio, da un numero 3 che era solo un innocente mezzo per trasmettere ordini, da un ministro degli esteri che sapeva poco di affari esteri e niente di politica internazionale e da un ministro degli interni che non sapeva nemmeno quello che era successo all’interno del proprio ufficio.
Ma nonostante questo, oggi non sono mancate sconcertanti manifestazioni di affetto pro-Priebke, con tanto di striscioni di auguri che paiono spuntati come funghi sotto casa dell’uomo e in giro per Roma. Senza contare la manifestata volontà di festeggiamenti pubblici, che fortunatamente non ci saranno. Nostalgici ed estremisti? Neo-nazisti della domenica? O semplicemente esseri umani poco brillanti e annoiati in cerca di un istante di notorietà?
In ogni caso, con tutto il massimo rispetto per la libertà di opinione (di cui siamo orgogliosi sostenitori), crediamo che prima di inneggiare ai carnefici con tanta leggerezza ci si dovrebbe un attimo fermare a riflettere, magari mettersi nei panni dei parenti delle vittime, e chiedersi se non è forse il caso di scegliersi un altro idolo.
Siamo felici di vedere che sui social media la reazione più diffusa a tali manifestazioni è lo sdegno, e un commento in particolare colpisce: “Priebke compie 100 anni: non lo vuole neanche il diavolo”.