Randall Island, la piccola isola di fronte la 125ma strada nell’Upper East Side di Manhattan, ieri pomeriggio, fin dalle prime ore del tramonto, si è magicamente colorata di rosa!
Proprio li, lontano dal caos della city, migliaia di donne provenienti da tutta la east coast americana si sono date appuntamento per celebrarsi e per sostenere una grande ed importante causa: la lotta contro il cancro al seno.
A metterle insieme un’iniziativa davvero unica la Walk the Walk America. Si tratta di una passeggiata notturna nata in Gran Bretagna diversi anni fa per sensibilizzare l’opinione pubblica ma anche per raccogliere fondi a sostegno della ricerca e della lotta contro il cancro. La manifestazione già si svolge a Londra e Edimburgo con grande coinvolgimento popolare. Partecipano molte donne colpite dal cancro, i loro familiari; ma anche dottori, ricercatori e tutti coloro che sostengono la battaglia contro la malattia semplicemente come supporters.
Così, la passeggiata al chiaro di luna sbarca dal vecchio continente e giunge a New York per la prima volta con un incredibile carico di entusiasmo e di progetti molto utili sia per la sensibilizzazione ma anche per il sostegno concreto da offrire alle donne già affette dal male.
Due i percorsi possibili sui marciapiedi della grande mela: uno di 16 miglia che si ferma a Midtown arrivando fino alla 59ma strada; e un altro di 23 miglia che si spinge fino a Battery Park, la punta estrema di Downtown Manhattan. La particolarità di questa manifestazione è proprio il suo carattere di camminata. Non si corre, non ci si affanna, molte donne in fondo sono ancora convalescenti, ma alla fine il piacere di esserci e di partecipare diventa persino più grande di un’ipotetica vittoria. Il simbolo dell’iniziativa è un reggiseno, e per questo tutte le partecipanti sfoggiano dei corpetti lavorati ed elaborati con ogni fantasia possibile. Fiori, bandiere, stelle, piume ce n’è per tutti i gusti, anche quelli più tecnologici con luci a intermittenza di color rosa shocking.
Ieri mi guardavo intorno e mi chiedevo come la lotta contro un male così terribile possa trasformarsi in una festa: colorata, leggera quasi folkloristica. Guardavo quelle donne, con profondo senso di ammirazione, portare al collo con disinvoltura dei fiocchi rosa con su scritto survivor (sopravvissuta) e la data della loro operazione al seno. Accanto a loro molti mariti e figli, anche loro in reggiseno, con le pance scoperte e dei tutù colorati a fasciare il giro vita. Anche loro avevano al collo quel fiocco con su scritto, “lei ce l’ha fatta” Intere famiglia radunate con passione come delle vere squadre, la cui maglia di appartenenza era un reggipetto dello stesso colore, con lo stesso tema, lo stesso genio creativo.
Una ragazza sui 30 anni , insieme a un gruppo di amiche portava a spasso la gigantografia di una donna che le somigliava moltissimo: era la madre morta di cancro. Avevano tutte scritto sul petto il nome della signora, un cuore e la data della sua scomparsa; tutte con lo stesso corpetto decorato con dei boccioli di rosa, anche la sagoma ne indossava uno identico, come fosse una della comitiva, lì, presente, pronta a camminare. Mi ha straziato assistere a quella scena, sapere che la figlia e le sue amiche si erano persino auto tassate per fare una donazione per la ricerca scientifica. Ti investe e ti fa addirittura male avvertire la necessità di queste persone di essere generose. E non solo nel donare, ma soprattutto nel donarsi: nell’offrire agli altri la dolorosa testimonianza di sé, anche in chiave ironica.
La consapevolezza che nasce dal dramma vissuto di queste donne diviene il motore che le spinge a voler continuare a lottare, a non arrendersi a mantenere l’attenzione costante sul problema. È stata un’ esperienza straordinaria trovarmi in quel posto così diverso da quello che solitamente ci immagineremmo pensando ad un raduno di cancer survivors. C’era tutto, ma neanche la minima traccia di dolore. Ogni donna aveva condotto la sua personale lotta e non ne nascondeva i segni ma li condivideva, come elemento di speranza. Sorridevano tutte e ognuna partecipava con la propria fortissima motivazione, che la faceva essere portavoce di una battaglia forse difficile ma che assolutamente si può e si deve vincere.
E mi viene in mente che questa Walk the Walk potrebbe essere ribattezzata Bra Pride (l’orgoglio del reggiseno): in fondo, i colori, la musica, il folklore sono stati straordinariamente divertenti. Nulla da invidiare al miglior gay pride organizzato sul pianeta.