Caro Direttore,
Colgo al balzo l’occasione di poter dire la mia opinione, del tutto personale, su quello che succede nella nostra Italia.
Vi ho scoperti su Facebook, e quella frase “Giornale online protetto dal Primo
Emendamento della Costituzione USA” mi ha dato la spinta per far sentire la “mia voce” dal mio punto di osservazione tutto italiano.
Il mio non vuole essere un articolo vero, ma vorrei riuscire a trasmettere ai nostri “expact” che leggono “La Voce di New York,” lo stato di profonda frustrazione in cui versiamo un po’ tutti.
Ho avuto il piacere, tramite i miei parenti in USA, di entrare in alcune comunità italo-americane, cogliendo attraverso le loro parole un forte sentimento di amore patriottico, che sicuramente il nostro paese meriterebbe, se solo non fosse così mal rappresentato dai nostri leader.
L’incontro con questi uomini e donne, italiani d’altri tempi, capaci di commuoversi pensando al loro mare, ai loro monti, alla loro non-vita vissuta in Italia mi ha molto toccata. Il racconto dei loro sacrifici in una terra ostile e sconosciuta mi ha riportato alla mente i racconti della mia famiglia, partita agli inizi del Novecento verso la terra delle opportunità.
La mia rimane una visione di un’Italia descritta da chi ancora ci vive, male, e senza alternative.
Grazie dello spazio e di avermi dato modo di allungare la mia voce fino a lì.
Durante il mio ultimo viaggio negli Stati Uniti (nell’ormai lontano 2008) ho avuto l’onore e il grandissimo piacere di immergermi nel mondo degli Italiani d’America, ovvero di quella parte di coraggiosi italiani che in un lontano passato, o chi per loro, hanno lasciato la loro Patria d’origine per esplorare e conquistare con grandissimi privazioni e sacrifici, una fetta della grande torta americana. Uomini e donne che hanno deciso di salpare verso un Mondo Nuovo e dove hanno contribuito fortemente a creare un pezzo del tessuto sociale americano e vi si sono perfettamente integrati, non dimenticando però la loro provenienza, la loro cultura, le loro tradizioni, molto più presenti nella loro comunità di espatriati che in chi è rimasto in terra italica.
Ho notato in loro un altissimo senso di appartenenza, di patriottismo, di fedeltà verso la loro terra che a tratti rasenta la morbosità. Ed ho notato le profonde differenze che ci sono tra chi vive sul territorio e chi invece ne è lontano. E’ questo un tema che è stato affrontato in ogni discussione, libro o dibattito inerente gli immigrati, ma è pur vero che spesso, la visione oltreoceano che si ha del “Bel Paese” è alquanto distorta, ed è solo una visione che ci rimanda di riflesso il cuore di chi l’ha abbandonato.
Viverci è tutta un’altra storia. E io, ahimè ci vivo.
Vivo in un Paese che non ho mai sentito veramente il mio. Ci sono nata, è vero, ma sono figlia di cittadini Americani, con doppia cittadinanza e doppio passaporto, ma con davanti un percorso effettuato tutto italiano.
Sono stata cresciuta e quindi educata secondo alcuni canoni tutti americani.
Rispetto di se stessi, della società e delle regole che essa impone. Rispetto verso gli altri e le cose di pubblico utilizzo, e coltivando sempre e comunque un altissimo senso civico e morale. In questo paese, l’Italia, fatto passare per civile e democratico, sia io che mio fratello, ci siamo sempre sentiti come pesci fuor d’acqua e soli nella nostra vita sociale perché sempre estranei alla regnante indifferenza verso ogni forma di regole.
Per dire: per me è inconcepibile saltare una fila, o fare file orizzontali nei pubblici uffici mandando a farsi friggere la privacy o qualunque forma di riservatezza, o per esempio disfarmi della piccola spazzatura per strada, o ignorare qualsiasi divieto venga imposto.
Nonostante questa mia “diversità” conclamata, e forse proprio per questo, sono stata letteralmente inghiottita dalla peggior forma di “approssimazione” che regna sovrana nella società italiana. Non sono mai uscita dalla rete del menefreghismo imperante, nonostante abbia operato grandissimi “buchi” alla rete che mio malgrado, mi ha catturato in passato.
Io, purtroppo, non posso emigrare così come ha fatto tanti anni fa la mia famiglia anni fa. Sono legata con filo doppio a loro, ormai anziani e bisognosi di attenzioni; ad una attività commerciale avviata dopo che sia io che mio marito, a 40 anni siamo stati entrambi privati della nostra dignitosa occupazione lavorativa (leggi taglio al personale per crisi) e intrappolati tra le trame di una burocrazia discriminatrice, perchè ormai troppo vecchi, troppo referenziati, troppo poco flessibili, così tanto “troppo” di tutto che chiedere una nuova ricollocazione occupazionale era decisamente impossibile.
Inoltre, non ho abbastanza “forza economica” per poter attraversare l’Oceano, (lo farei anche a nuoto, in casi estremi), non considerando i grandi centri ovviamente, e consapevole del fatto che la grande burocratica macchina americana, che stabilisce delle regole ben precise entro cui muoversi, mi travolgerebbe sotto piccoli e grandi sacrosanti cavilli, impossibili per me, affrontare.
Per cui, amaramente, mi rendo conto che qui devo rimanere.
Ma non sapete come è difficile vivere (?) in un paese che non mi rappresenta più, di cui non ne si condividono gli usi e i (malsani) costumi, sentendosi soffocare dal regime di precarietà imperante. Un paese che, personalmente, mi ha illusa facendomi credere che pur senza punti fermi, fosse “il” luogo ideale, dove tutto veniva preso e dato lecitamente e (molto) illecitamente, condividendo tutto con il furbo o politico di turno, facendo passare tutto come una cosa “di normale amministrazione” come se non ci sarebbe stato, poi, un domani. E invece……
Un paese, l’Italia, dal grandissimo passato storico e culturale, ma di una profonda e radicata maleducazione come pochi al mondo. Dove le istituzioni sono fatte per essere denigrate e schernite, dove la grande macchine statale, che dovrebbe garantire equità per tutti, è un baratro senza fondo che inghiottisce le magagne di intere amministrazioni, assecondati da personale compiacente e che nel baratro attingono linfa vitale per placare la propria sete di lusso sfrenato.
La nostra classe dirigente occupa ampi spazi televisivi, come dive d’operetta, regalandoci, a parole, l’illusione che il nostro sia “un paese che guarda avanti”, e forse sarà pure vero, non lo metto in dubbio, ma stiamo guardando il nulla, perché e quello che vediamo davanti a noi. Il nulla.
Vivere in questo paese, cari expact, richiede un grande sforzo, psicologico, morale ed economico non indifferente. Sono consapevole che neanche nella vostra Patria adottiva le cose vadano per il verso giusto, anche voi state affrontando un periodo di grandi sofferenze economiche, ma almeno avete la grande chance di vivere in una Nazione capace di individuare i mali che la affliggono, e in grado di combatterli con l’impegno, il sacrificio e la coscienza di tutti, sia del popolo che di chi governa. Ma del resto, vivete in una Nazione “giovane”, energica e futurista.
Noi, da questa parte dell’Oceano, di contro, viviamo nella terra del sole e del mare, cullati dagli echi di una storia millenaria, che ci ha lasciato forti testimonianze del nostro passato culturale da cui però, non siamo stati capaci di trarre insegnamenti positivi rendendoli i nostri punti di forza.
E se un popolo non sa riconoscere i propri sbagli, i propri fallimenti, che popolo è? E che cosa può lasciare agli altri? Cosa può insegnare agli altri? La cosa allarmante per questo nostro paese è l’evidente incapacità di sapersi rimboccare le maniche e ripartire, avere la capacità e la volontà di eliminare i mali che lo affliggono o perlomeno cercare una cura per alleviarli. Si potrebbe fare partendo dal basso, attuando controlli e sistemi che nel resto del Mondo funzionano. Ma del resto poi, chi controllerebbe i “controllori”?
L’approssimazione, i favoritismi, l’accondiscendenza tutta italiana non verranno mai debellati del tutto, ci conviviamo tutti i giorni, li abbiamo definitivamente assorbiti e non ci facciamo quasi più caso, ed è uno stato riscontrabile nei vari livelli sociali. Non cambierà mai nulla, nessun tentativo da parte di qualche individuo di buona volontà andrà a buon fine perché questi sistemi impropri sono talmente ben radicati che solo un’evento naturale, che so, uno tsunami, o un’eruzione vulcanica potrà estirpare resettando così tutto l’intero sistema. Il mio malessere quotidiano, accompagnato dalla consapevolezza di non aver saputo riconoscere i segnali d’allarme benchè ci vivessi in mezzo, e ne ero l’unica nota stonata, mi terranno compagnia, in ogni momento e pensando a chi ha avuto l’intelligenza di sapersi staccare da questi sistemi, si acutizza sempre più.
Non amo il mio Paese, ma vorrei tanto tornare a farlo prendendo esempio da tutte quelle persone che ho incontrato nel 2008. Partiti dai loro piccoli paesi sperduti, poveri di moneta e di ogni sicurezze, ma ricchi di speranza e volontà che li ha resi sicuramente degli italiani migliori di noi, segno evidente che questo Paese i propri figli li allontana, ne calpesta l’orgoglio e la dignità, ne ignora le capacità e quasi le ostacola, ed è solo tenendoli lontano che mostra loro il lato migliore di se, scatenando una sorta di amore incondizionato, al di sopra della realtà, evidente a chi ne è prigioniero in patria.
Vorrei poter far parte di questi figli lontani, forse solo in questo modo potrei amare il mio Paese.
O tornare ad amarlo.
Maria Antonietta Fordellone, Piedimonte S. Germano (Frosinone)