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June 10, 2013
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Il Terzo dopoguerra in Sicilia

Giulio AmbrosettibyGiulio Ambrosetti
Studenti disoccupati e precari durante una manifestazione a Palermo

Studenti disoccupati e precari durante una manifestazione a Palermo

Time: 5 mins read

 

Cosa raccontare della Sicilia, nell’anno di grazia 2013, agl’italiani d’America? Che dire ai siciliani, o agli uomini e alle donne di origini siciliane che vivono tra New York, Baltimora e altri piccoli e grandi centri degli Stati Uniti dove hanno deciso di passare la vita? Che qui da noi, nell’Isola un tempo felice, le cose vanno veramente male. Malissimo. Non c’è stata una guerra, ma l’atmosfera, in tanti centri siciliani, è quella del secondo dopoguerra, se non peggiore.

Noi che abbiamo passato i cinquant’anni e che ancora ricordiamo le testimonianze dei nostri genitori e dei nostri nonni sul 1943, sul 1944, insomma sugli anni del secondo dopoguerra, sappiamo che allora lo scenario post bellico era difficile. Era difficile nelle grandi città della costa, che erano stata bombardate e dovevano essere ricostruite. Era un po’ meno difficile nelle altre parti dell’Isola, dove – bene o male – tra mercato nero e aiuti degli americani, si sbarcava il lunario.

E oggi? La Sicilia che va sui giornali e in tv, oggi, non racconta delle nuove, spaventose povertà. Non racconta, di Palermo, delle mense dei poveri frequentate, soprattutto nell’ultima settimana di ogni mese, da pensionati che, fino a qualche anno fa, mai si sarebbero sognati di non poter mangiare negli ultimi giorni del mese.

Della nuova, spaventosa povertà della Sicilia arrivano solo piccoli echi che non trovano grande spazio nei mezzi di comunicazione. La scorsa settimana, ad esempio, il Centro “Tagliacarne” ha presentato il Rapporto sul 2012 su Palermo e provincia. E’ venuto fuori un dato allarmante che, però, è stato snobbato dai grandi giornali. E cioè che, a Palermo e provincia, tantissime famiglie – il 10 per cento e forse più – sono all’indigenza. Non hanno cosa mangiare e, tra qualche tempo, non avranno nemmeno la casa.

Palermo e la sua provincia, alla fine, hanno poche industrie, ma vanno avanti con un terziario molto diffuso. Insomma, se nel capoluogo dell’Isola il 10 per cento delle famiglie è ridotta in miseria, nelle altre province siciliane la situazione potrebbe essere peggiore. Ma nessuno se ne occupa. La povertà non fa notizia. 

Sui giornali arriva la demagogia della politica – Berlusconi in testa – che dovrebbe restituire l’Imu sulla prima casa agli italiani. Ma nessuno dice che è stato lo stesso Cavaliere, tra il 2001 e il 2006, a creare l’Agenzia delle Entrate. Con un mandato preciso: vessare la gente che non può pagare.

In Italia fare impresa è difficile a causa di una burocrazia ottusa e di una pressione fiscale tra le più alte del mondo. In Sicilia fare impresa è ancora più difficile perché, oltre a burocrazia e Fisco, c’è anche la mafia. Pagare tasse e mafia, in Sicilia, è impossibile. Chi resta indietro – cosa che alla grande maggioranza delle imprese – succede viene subito assalito e tartassato dall’Agenzia delle Entrate e dalla società di riscossione che nella nostra Isola si chiama “Riscossioni Sicilia”. La vessazione è assicurata. Chi possiede un bene subisce l’aggressione. Ipoteche a mai finire.  

Per questo motivo, qualche anno fa, è esploso il Movimento dei Forconi. Ma ora anche loro si sono arresi. Oggi la gente sembra senza forze. E qualcuno, come è avvenuto qualche settimana fa, si è anche tolto la vita. E’ successo a Vittoria, in provincia di Ragusa. Dove un uomo si è ucciso dandosi fuoco perché le banche, per un debito di 10 mila euro non pagato, hanno messo in vendita la sua casa.

La povertà, in Sicilia, si allarga a macchia d’olio. Colpisce le imprese e, come già accennato, anche le famiglie. Resistono quelli che hanno ancora un posto di lavoro pubblico. Gli altri, i liberi professionisti, se non hanno ‘agganci’ con la politica, fanno la fame.

Già, la politica. Che in Sicilia fa sempre più schifo. Una politica di falliti, di ladri, di corrotti. Di ‘ascari’. Gli ‘ascari’ sono quelli che hanno svenduto l’Autonomia della Sicilia ai migliori offerenti (la Sicilia è una delle cinque Regioni italiane a Statuto autonomo). Una politica che, invece di far nascere nuove imprese, per creare posti di lavoro veri, crea precari.

Come spiegare i precari agli’italiani d’America? Facciamo un esempio. Immaginate che il Sindaco di New York, una bella mattina, chiami mille disoccupati e gli dica: “Fate una società cooperativa che io ve la finanzio con i soldi del Comune”. Immaginate il Sindaco di New York che, invece di utilizzare i soldi delle tasse dei neworkesi per fornire servizi ai cittadini, prenda questi soldi per pagare mille disoccupati che lui ha assunto senza una selezione, ma a proprio piacimento, chiedendo in cambio il voto.

Sì, avete letto benissimo: invece di utilizzare i soldi delle tasse dei cittadini per fornire servizi agli stessi abitanti di New York, immaginate che il Sindaco di New York paghi i mille disoccupati che lui ha scelto ad uno ad uno. Togliendo i servizi ai cittadini. O aumentando a dismisura le tasse agli stessi cittadini.

Se a New York succedesse una cosa del genere i cittadini si ribellerebbero. Il Sindaco verrebbe cacciato nell’arco di qualche giorno. In Sicilia, soprattutto a Palermo, capitale della mafia e della cultura mafiosa, quella dei precari assunti da politici e sindacalisti, è la regola. E i disoccupati scelti ad uno ad uno dalla politica e dai sindacati corrotti si chiamano precari. Vi sembra una follia? Tranquilli: è la verità.

Quattro giorni fa, a Palermo, sono scesi in piazza centinaia di portatori di handicap. Sono persone che hanno bisogno di cure. Quasi tutti poveri. Ai quali il Comune, fino a qualche anno fa, pagava la retta in particolari strutture, che si chiamano ‘Case famiglia’. Per pagare l’enorme numero di precari il Comune di Palermo, ormai da quattro-cinque anni, non paga più la retta a questi poveri portatori di handicap alle ‘Case famiglia’. E’ una vergogna, ma è così. E non gliene frega niente a nessuno.

Risultato: chi, tra i portatori di handicap, ha qualche soldo, bene o male viene ricoverato. Chi è povero in canna è affidato alla pietà o all’abbandono.

Oggi, in Sicilia, per andare avanti, bisogna girarsi dall’altra parte. E bisogna farlo continuamente, perché la povertà aumenta di giorno in giorno.

Non pensate, cari lettori americani, che i precari siano solo a Palermo. Sono in tutta la Sicilia. In tutta l’Isola se ne contano circa 100 mila. Tutti scelti, ad uno ad uno, dalla politica e dai sindacalisti corrotti. Un posto di precario in cambio di voti. Voto di scambio.

I precari, negli ultimi quindici anni, hanno impedito il ricambio della classe politica. Una corruzione generalizzata. Con la sola eccezione del Movimento 5 Stelle, che è fuori da questo meccanismo. Ma questa è un’altra storia. 

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Giulio Ambrosetti

Giulio Ambrosetti

Sono nato a Palermo, ma mi considero agrigentino. Mio nonno paterno, che adoravo, era nato ad Agrigento. Ho vissuto a Sciacca, la cittadina dei miei genitori. Ho cominciato a scrivere nei giornali nel 1978. Faccio il cronista. Scrivo tutto quello che vedo, che capisco, o m’illudo di capire. Sono cresciuto al quotidiano L’Ora di Palermo, dove sono rimasto fino alla chiusura. L’Ora mi ha lasciato nell’anima il gusto per la libertà che mal si concilia con la Sicilia. Ho scritto per anni dalla Sicilia per America Oggi e adesso per La Voce di New York in totale libertà.

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