Quello austriaco è solo l’ultimo caso emblematico di una lunga serie. Una serie imbarazzante a cui bisogna mettere la parola fine. Ecco i fatti: a Vienna un pub dal nome volgare “Don Panino”, utilizza le vittime della mafia per invogliare gli avventori ad assaggiare i sandwich della casa. Cosa ci sarà mai di gustoso, nel sangue, nella vita spezzata, nei sogni perduti di migliaia di persone? Difficile comprendere. Mai avrei immaginato che il giudice Giovanni Falcone, assassinato nel 1992, saltato in aria con la moglie e la scorta nel triste “botto” di Capaci, venisse nella capitale austriaca “grigliato come un salsicciotto”. E che dire del giovane attivista di Cinisi, Peppino Impastato, giornalista di “radio Aut”, una voce libera, una vita contro Cosa nostra, morto per volere del boss Gaetano Badalamenti nel 1976? In terra d’Austria diventa “un siciliano dalla bocca larga, cotto in una bomba come un pollo nel barbecue”.
Naturalmente è scattata la polemica, la forte reazione da parte degli esponenti della politica e delle associazioni antimafia che hanno fatto giungere la loro voce indignata alla Farnesina. Il ministro degli Esteri Emma Bonino, ha definito “offensivo ed inaccettabile” l’utilizzo in maniera distorta di nomi di persone che si sono distinte nella lotta alla mafia ed è scoppiato il caso diplomatico internazionale che porterà (forse) a delle scuse ufficiali. Particolarmente irritata è anche la comunità italiana di Vienna che ha promosso una petizione: « Probabilmente dopo questo scandalo altri imprenditori italiani o austriaci a cui dovessero venire idee “geniali” del genere, ci penseranno due volte. L’obiettivo è quello di impedire o scoraggiare l’uso della mafia come brand pubblicitario o marchio commerciale». Per firmare la petizione basta collegarsi a questo link.
Tutto qui? Spero proprio di no. Perché è solo l’ennesimo caso. Presto ce ne potrebbe essere un altro. Non si tratta solamente di cattivo gusto, di leggerezza, di stupidità e di profonda ignoranza. No, è molto più grave, perché è qualcosa che coinvolge tutti.
Questa “irragionevolezza” non è solo colpa di chi su quei panini (spero indigesti) ci beveva una birra. La cosa più vergognosa è che chi ci specula è italiano. Il locale infatti, era (al momento risulta chiuso ma è ancora presente su tutti i siti di consegna a domicilio di Vienna, lieferservice.at, willessen.at, mjam.at.) gestito da una coppia di meridionali, Marco e Julia Marchetta, che hanno avuta la “grande idea”, nel 2009. I due vivono in Austria e non apprezzano la cucina del luogo. Così hanno pensato di preparare panini con le delizie del Sud, strizzando l’occhio allo stereotipo più bieco con coppola e lupara. E non sono gli unici. L’uso della mafia è consentito anche nelle pizzerie “Mafiosi”, “Camorra” o “Al Capone” di Vienna. Ma anche in Spagna a Saragoza, a Granada, a Valencia e a Madrid una catena di ristoranti dedicati a Cosa nostra offre la mafia a tavola, con menù dedicati a Provenzano, Al Capone e Don Corleone. Il crimine organizzato sembra essere uno spot accattivante ed infallibile che rende la cucina più appetitosa. E oltreoceano? The same. La mafia tra i fornelli risulta squisita. In Argentina il locale “Arte de mafia” di Buenos Aires, nel quartiere Palermo, presenta la pasta al nero di seppia color di mafia; la picada Don Vito ed il coniglio John Gotti, un omaggio al padrino della famiglia dei Gambino. Sul Web, la recensione di tripadvisor.it definisce divertente il locale e alla voce menù descrive come (cito testualmente) “carina l’idea dei riferimenti ai personaggi mafiosi, mentre la nota negativa è che sono vecchi ed andrebbero sostituiti”.
E in terra di mafia? Anche qui si registrano numerosi stupidi-spiritosi. A Palermo in pieno centro storico ad accogliere i turisti c’è “Baciamo le mani” e nella zona del porto per chi scende dalle navi, una processione di negozietti dell’ultima ora offrono souvenir di rara bruttezza: magliette, fischietti, coppole, portachiavi e gadget vari, con frasi e simboli vergognosi, alla faccia delle lotte per la legalità dei ragazzi di “Addio pizzo”. Nessuno se n’è accorto? Nessuno lo sanziona? Fa parte del piano strategico per ridare vigore all’economia dell’Isola? Non ci offendiamo a vedere americani, tedeschi, giapponesi, romani, in giro per il mondo con quelle scritte: “Mafia, made in Italy”, “Corleone family”? Cosa comunichiamo se non il segno distintivo di un degrado cerebrale?
Se vogliamo che questa terra (dove la mafia purtroppo ancora esiste) bellissima, colta, raffinata, non sia vilipesa dal malaffare e dalla pochezza, se crediamo di poter cambiare l’immaginario collettivo che ci vede spesso come l’isola dell’illegalità e dell’incuria, dobbiamo smetterla di “scherzare” su temi serissimi, di offendere la memoria di chi è morto per darci un futuro. La ribellione deve partire dal suo popolo, anche impedendo l’uso della mafia come brand commerciale e deve prevedere delle sanzioni per chi lo fa. Perché non solo il popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità, ma anche chi si siede a tavola con la mafia si gioca il suo destino.