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May 28, 2013
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Diseguaglianze sociali? E chi se ne frega!

Marcello CristobyMarcello Cristo
Time: 4 mins read

Qual è il vostro atteggiamento verso la riccheza altrui? Siete invidiosi di ciò che il vostro vicino può permettersi e voi no? Rimanete indifferenti di fronte alle immense fortune del miliardario di turno?

In un editoriale che risale a qualche anno fa, Robert J. Samuelson su Newsweek riassumeva efficacemente un aspetto importante della dinamica sociale di questo paese: come mai agli americani non importi più di tanto di vivere in una società caratterizzata da enormi disparità socio-economiche. “Bill Gates ha uno stipendio molto più grosso del mio – dichiarava Samuelson – ha più azioni e vive in una casa più grossa della mia. Ma a me la cosa non secca per nulla”.

Come mai?

“Perchè noi americani – continuava Samuelson – non consideriamo la ricchezza altrui come una minaccia alla nostra e questo è un importante elemento nel dibattito sulla crescente diseguaglianza economica in America, considerata da molti come un problema mentre invece non lo è”.

Ma senti…! E allora il problema qual è?

“Il problema – sentenziava il Nostro – è la povertà, non la diseguaglianza, anche se spesso si tende a confondere le due cose”.

Beh certo… quella della povertà è una questione drammatica ma siamo proprio certi che essa non sia in qualche modo legata anche all’enorme concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi?

“Assolutamente – ci assicurava Samueson con i numeri alla mano – Negli ultimi 25 anni il divario tra i ricchi e i poveri è aumentato: nel 1974 il 5% più facoltoso degli americani possedeva il 43.1% della ricchezza totale mentre il 5% più povero possedeva il 4.4%. Nel 1999, i più ricchi avevano ancora di più (49%) mentre i più poveri sempre di meno (3.6%)”.

Vabbè!.. E allora?

“Ciò significa – concludeva il bravo Samuelson – che se gli americani non fossero indifferenti a queste diseguaglianze ci sarebbero proteste e disordini nelle strade ma, dal momento che non ci sono, è chiaro che la gente si preoccupa di più del proprio avanzamento personale che non della distribuzione della ricchezza”.

Disordini nelle strade? Ma dove?… Qui in America? Ma figuriamoci!!…

Osservando l’organizzazione sociale negli Usa, a me pare che la popolazione americana si divida in tre gruppi: da un parte quelli che in strada ci vanno per fare shopping; dall’altro quelli che ci vivono e, nel mezzo, quelli che, essendo troppo presi dal proprio “avanzamento”, non hanno nè il tempo nè la voglia per scendervi con cartelli e striscioni.

Per fortuna il gap tra ricchi e poveri non è la sola cosa ad aumentare. In America infatti anche la “felicità” è in confortante ascesa, come ci informa uno studio condotto sempre qualche anno fa da un gruppo di economisti (tra i quali l’italiano Alberto Alesina) dell’Università di Harvard e della London School of Economics impegnati a capire il diverso atteggiamento che europei e americani hanno verso la diseguaglianza economica e la soddisfazione per le proprie condizioni.

Ne veniva fuori un risultato prevedibile. Gli americani si ritengono più felici degli europei e se ne fregano altamente degli squilibri economici della loro società (attenzione, non dei poveri ma del fatto che, accanto ad essi convivano i super-ricchi). Gli abitanti del Vecchio Continente invece considerano il divario tra ricchi e poveri come un problema e, in genere, si sentono meno “felici” dei loro “cugini” d’oltreoceano.

Commentando sui risultati di questo studio, Robert Samuelson concludeva il suo articolo tornando al “falso problema” della diseguaglianza e affermando che “questa ossessione (per la diseguaglianza sociale. NdR) non è altro che un sintomo di qullo pseudo-idealismo che in molti usano per sentirsi superiori e per fare sfoggio di una maggiore, e più autogratificante considerazione per i meno fortunati”.

Come europeo che vive in America da oltre un ventennio, posso dire di trovarmi d’accordo con molte delle affermazioni di Samuelson: gli americani sono sicuramente più ottimisti degli europei e meno preoccupati delle disparità sociali.

Ma torniamo per un attimo alla mia domanda iniziale. Se il vostro vicino di casa fosse un milionario nutrireste un senso di risentimento nei suoi confronti perchè lui ci ha i soldi e voi no?

Io personalmente no. Se si è guadagnato i suoi milioni onestamente e lavorando duro non potrei far altro che complimentarmi.

Ma ammettiamo che un bel giorno venite a sapere che il vostro fortunato vicino è il Consigliere Delegato di un Hmo che ha appena rfiutato di pagare per un trapianto per uno dei suoi “assistiti”, provocando così la morte del malcapitato.

E se fosse accaduto a voi?

Oppure ammettiamo che il vostro vicino sia uno dei titani di Wall Street che si é arricchito confenzionando complicati strumenti finaziari legati a mutui sub-prime, vale a dire a prestiti concessi ad individui che, in condizioni normali, avrebbero avuto un difficile accesso al credito bancario.

“Che genio! Che intuito!… Speriamo che ci inviti al barbeque in giardino!” pensate voi ignari del fatto che, da li a poco, questi stessi titoli avrebbero compromesso la stabilitá economica del pianeta, mandando in fallimento centinaia di aziende e provocando un catastrofico aumento della disoccupazione.

A questo punto, siete ancora sicuri, come dice il simpatico Samuelson, di “non percepire la ricchezza altrui come una minaccia alla vostra?”

In conclusione, a me pare che questo aspetto della cultura statunitense che Samuelson metteva in evidenza, ignori un importante elemento che invece salta ai miei occhi di europeo: e cioè che gli americani hanno una maggiore tolleranza per le diseguaglianze economiche anche e soprattutto perchè la loro cultura sociale è storicamente più “anestetizzata”, più estranea a quella conflittualità di classe che invece ha segnato in maniera così profonda la storia  dell’Europa.

In altre parole, è vero ed è giusto che gli americani nutrano un profondo e legittimo rispetto per chi ha fatto i soldi. Ma è anche vero che in questo Paese in tanti restano sconfortantemente inconsapevoli dei molti casi in cui questi soldi vengono fatti sulla loro pelle.

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Marcello Cristo

Marcello Cristo

Sono nato e cresciuto a Napoli dove, nella tradizione magno-greca della mia città, mi sono laureato in Filosofia. Vivo negli Stati Uniti con la mia famiglia da oltre vent'anni facendo la spola tra New York e la California. Dall’America, ho iniziato a collaborare con pubblicazioni italiane come Il Giornale di Indro Montanelli e La Gazzetta dello Sport di Candido Cannavò e poi con il quotidiano in lingua italiana degli Stati Uniti America Oggi per il quale ho lavorato come editor, opinionista e corrispondente dalla California. Nei ritagli di tempo, sto tentando disperatamente di insegnare ai miei figli il napoletano.

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