Quando ho lasciato New York per trasferirmi in California, l'ho fatto nel più puro spirito pionieristico americano: ho caricato la mia vita su un camion a noleggio e ho iniziato l’avventura della traversata continentale da costa a costa.
Al confine tra il New Jersey e la Pennsylvania c’è un enorme cartello al lato dell’autostrada che dice: “Benvenuti in Pennsylvania. L’America inizia qui”.
Come ho scoperto in seguito, quel cartello dice la verità.
Nel corso della mia ventennale permanenza a New York City ho creduto di essere un residente a tutti gli effetti degli Stati Uniti d’America, non sapendo, che ciò era vero solo a metà. Per chi non se ne sia ancora accorto infatti, New York è in realtà, una sorta di città-stato; un pianeta a sè stante con una cultura propria che ha ben poco a che vedere con il resto del continente che si estende ad ovest dell’Hudson.
Attraversare il George Washington Bridge significa entrare in una America diversa, per molti aspetti, molto più simile a quella che, nel bene e nel male, molti europei si immaginano.
É il Midwest degli hamburger e degli shopping malls, delle torte di mele, del più bieco provincialismo, del lavoro duro e del pregiudizio rampante.
Durante i sei giorni della mia traversata continentale ho proceduto quasi in apnea, stringendo i denti di fronte alla calura dei deserti dell’Arizona e del Nevada e tollerando stoicamente gli “orrori” della “gastronomia autostradale” made in Usa convinto che, una volta giunto in California, avrei ritrovato un ambiente in qualche modo più simile a quello newyorchese che mi ero lasciato alle spalle.
Niente di più sbagliato.
Se New York si può considerare infatti come la “meno americana” delle città americane, il Golden State è l’apoteosi dell’”americanità”.
Da un lato la California evoca una serie di stereotipi familiari a tutti: i surfisti abbronzati delle spiagge del sud; i pacifisti liberali delle città del nord; la pseudo-genialità tecno-imprenditoriale della Silicon Valley; l’agricoltura illuminata del “frutteto d’America”.
I californiani, dall’alto del loro sostanzioso reddito, amano fare sfoggio del loro cosmopolitismo; di una propria sofisticata urbanità diversa ma, allo stesso tempo, simile a quella della loro controparte newyorchese. Ma dopo qualche tempo ci si accorge che la differenza tra i due maggiori poli geografico-culturali del Paese è molto più accentuata di quanto possa sembrare.
Al termine del mio viaggio attraverso la sterminata “terra di mezzo” americana, mi sono accorto infatti che, in realtà, il provincialismo del Midwest sopravvive mitigato, ma qualitativamente intatto, anche nella mitica California la quale, proprio come ogni altro angolo del pianeta, non è immune dalla sua brava dose di contraddizioni.
In questo stato dalle grosse tradizioni liberali esiste ancora lo spirito americano della “frontiera” con il suo dinamismo ottimista, motore dei successi di quella che, se fosse una nazione a sè, sarebbe la sesta potenza economica del mondo.
Allo stesso tempo, questo spirito pionieristico ha i suoi rovesci della medaglia e, nella terra dell’ambientalismo più estremo, salta agli occhi l’arroganza ipocrita delle migliaia di SUV (i giganteschi veicoli concepiti per la guida fuori-strada ma tutti impeccabilmente puliti e lucidati) che, in genere con una sola persona a bordo, invadono quotidianamente le autostrade inneggiando a quella convinzione tutta americana sulla inesauribilità delle risorse del pianeta.
La passione californiana per l’automobile è proverbiale ed evidente, proprio come l’ipocrisia che sottende alla rigida severità di un codice stradale spietato nella sua applicazione ma che tuttavia non esita ad elargire a scalpitanti sedicenni permessi di guida per quegli stessi giganteschi SUV al cui fascino idiota non sfuggono, proprio come i loro genitori.
E dal momento che la California è sempre il terreno di prova di tutte le più illuminate iniziative del Paese, ecco che, per consentire ai rampolli di riempire gli enormi serbatoi dei loro veicoli, l’American Express escogita la nuova carta di credito per ragazzi dai dodici anni in su, che regala, sin dalla tenera età, l’ebbrezza dell’indebitamento precoce.
Qui negli Stati Uniti si dice che la California rappresenti il terreno di coltura e il centro di propagazione di tutte le tendenze e le mode che nascono qui per poi diffondersi nel resto del Paese e, aggiungerei io, del mondo. Se ciò corrisponde al vero, vivere in California offre, in un certo senso, la possibilità di osservare in anteprima la direzione intrapresa dall’intera società occidentale e magari non solo quella.
É un’esagerazione? Forse. Fatto stà che in California ho trovato moltissimi tra gli aspetti più positivi ma anche i più deteriori di una società americana estremamente viziata: la superficialità, la volgarità, lo sfoggio pacchiano di ricchezze inaudite e l’endemica incapacità di rinunciare a quanto di effimero e inutile “ingolfa” le nostre vite.