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May 18, 2013
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Al confine tra libertà e tirannide

Fabio CammalleribyFabio Cammalleri
Karima el-Mahroug, detta Ruby Rubacuori, fuori dal tribunale di Milano attorniata dai giornalisti

Karima el-Mahroug, detta Ruby Rubacuori, fuori dal tribunale di Milano attorniata dai giornalisti

Time: 3 mins read

E siamo arrivati pure a questo. Al sermone inacidito, al ghigno sagrestano, alla maledizione digrignata fra bava e bile. Alla caccia della lussuria colpevole, della carne corruttrice, dell’alcova che dissolve virtù e anima. Uno quasi non ci crede. Con il diritto della Repubblica, i suoi apparati, i suoi palazzi, piegati ad annusare umori liquamosi, a sprofondare nelle pieghe del peccato. Un compiacimento livoroso e un cavillare leguleio a tessere la filigrana rugginosa e farlocca di un invasamento da portineria in tocco e pettorina. Da rimpiangere, come tesori perduti, ferocia domenicana e scaltrezza gesuitica.

Come se le pire purificatrici, l’Inquisizione di ogni luogo e tempo, i tribunali speciali, i processi rivoluzionari, non avessero avuto tutti un fondamento giuridico, formalmente legittimo. Come se il confine fra libertà e tirannia, imperfetta democrazia e compiuta tirannide non venisse infranto proprio da aule di tribunale invase dalla fazione, da un potere coercitivo, quello eterno, plumbeo statutario dei ceppi e della gogna, asservito ai demoni della nettezza ultramondana e superomistica. Come se tutta una secolare vicenda di accuse e punizioni, non avesse visto la legittimità formale, ciò che si è compiuto in nome della Legge, umiliare la civiltà dell’individuo esaltando la barbarie istituzionale, una prepotente ragione collettiva soggiogare la gracilità solitaria dell’errore.

I nostri peggiori incubi hanno il volto della norma giuridica.

Il pericolo si fa tanto più insidioso, quanto più norma giuridica e norma morale sembrano somigliarsi. Poiché la morale cristiano-medievale possiede un noto sostrato sessuofobico, e poiché le norme penali sulla prostituzione si prestano a letture improprie, che tendono a trasformare il peccato in reato e a riscuotere il demone di un’insondabile persecuzione dalla sua oscura caverna, bisogna tener sempre desta la vigilanza. E lo sfruttamento della prostituzione, come ogni reato, richiede il dolo, cioè la conoscenza di ogni elemento della condotta che si sta tenendo e la volontà di tenerla proprio con tutti quegli elementi.

Solo che anche la minore età è uno di quegli elementi della condotta che si devono conoscere e volere. Altrimenti non c’è il dolo. E sempre che “l’alcunchè” ci sia stato. Sempre che l’unilaterale pregiudizio spirituale e materiale e l’unilaterale vantaggio spirituale e materiale ci siano stati. Sempre che ci sia stato lo sgambetto psichico e il povero sia stato lo stupido e il ricco lo scaltro e non viceversa.

 La distinzione, il muro di protezione dalla fregola espiativa, è quello che si è costruito in una lunghissima storia di sofferenze e di faticosissime conquiste. La morale fuori dal diritto, il peccato fuori dal reato, la tonaca lontana dalla toga. A favore dei più deboli: storicamente donne, liberi pensatori, e classi subalterne, tendenzialmente sottomessi all’interpretazione della morale, abusivamente resa “giuridica”, più confacente agli interessi di poteri o “potentati” egemoni.

 Che le giovani donne passate al setaccio della Procura di Milano siano state protette e non esposte al dileggio di Boccadirosa, con quel soprannome putridamente vezzeggiativo che sorride mentre marchia d’infamia, e, letteralmente, sfruttate per un disegno investigativo platealmente fazioso e cupamente persecutorio, uno lo può dire solo se è cretino o un pessimo ruffiano.

Sì, è vero: pensare a vent’anni che la vita possa riempirsi unicamente di griffes, che possa risolversi in un’arrampicata verso una fissità esibizionistica e simil-glamorous, remota dalla buona abitudine delle letture, della riflessione, del sereno ritmo della giornata, del passo sicuro di sé, e votata invece ad inseguire l’inquietudine rapinosa e seduttrice della folgorante vittoria sulla paura di un presente ritenuto insulso, da conseguire con ogni mezzo e, in primo luogo, con l’uso intensivo del bello e del gusto corporeo, può non piacere; e, se e in quanto assume i tratti di un costume diffuso, deve preoccupare.

E, allora, dovrebbe indurre a proporre, persuadere, esemplificare. Come avvilisce, più che indignare, la constatazione che lo stordimento fallico occupi estesamente le energie e il tempo di un uomo di stato o di chi tale si crederebbe (sebbene buon ultimo di una palindroma e nutrita tradizione). Ma, nel primo caso, si lavora di parola e di studio e, nel secondo, di voto e di militanza agguerrita e tenace.

La manetta no. La gogna del peccatore carnale, del “piacere del Cavaliere” o di chicchessia, la lapidazione della complice fessura del diavolo, no. Bisogna ripeterlo: proprio ora. E, se non ora, quando?

 

 

 

 

 

 

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Fabio Cammalleri

Fabio Cammalleri

Il potere di giudicare e condannare una persona è, semplicemente, il potere. Niente può eguagliare la forza ambigua di un uomo che chiude in galera un altro uomo. E niente come questa forza tende ad esorbitare. Così, il potere sulla pena, nata parte di un tutto, si fa tutto. Per tutti. Da avvocato, negli anni, temo di aver capito che, per fronteggiare un simile disordine, in Italia non basti più la buona volontà: i penalisti, i garantisti, cioè, una parte. Forse bisognerebbe spogliarsi di ogni parzialità, rendendosi semplicemente uomini. Memore del fatto che Gesù e Socrate, imputati e giudicati rei, si compirono senza scrivere una riga, mi rivolgo alla pagina con cautela. Con me c’è Silvia e, con noi, Francesco e Armida, i nostri gemelli.

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