Quello che avremmo voluto sentir dire 10, 20 anni fa, ce lo ha detto giovedì scorso in forma ufficiale una persona fuori dal comune, un gran brav’uomo di origini piemontesi, nato in Argentina: Papa Francesco. Riassumiamo in breve il discorso tenuto dal Pontefice a Città del Vaticano in occasione dell’udienza concessa a un gruppo di ambasciatori africani e caraibici, ma esteso a tutti gli Stati, i Governi, i Parlamenti, i partiti politici; a imprenditori e speculatori, a agenti di cambio: al mondo intero, insomma. Francesco ha centrato alla perfezione il problema: la precarietà nel mondo del lavoro “provoca effetti funesti”, “non deve essere il mercato” a stabilire come debbano vivere le persone, una oligarchia “invisibile” – quella dell’alta finanza – s’è impadronita della società umana e, aggiungiamo noi, questo risulta in modo spaventosamente evidente in Italia. Secondo il Pontefice, quindi, è folle consegnare il destino di popoli e Paesi ai manovratori del mercato. Gli Stati, i Governi – ha incalzato Francesco – devono fare di più per i poveri, ne hanno il dovere, un dovere a cui non è ammissibile sottrarsi.
La CEI (Conferenza Episcopale Italiana) e Papa Wojtyla la questione l’avevano varie volte sollevata, ma (a nostro modo di vedere) non con la incisività, col fervore, con l’afflato che riscontriamo nel successore di Papa Benedetto XVI. Francesco (così ci pare) ha capacità di sintesi, ha capacità “giornalistica”, “chirurgica”. Non si lascia certo spaventare dai termini che si accinge a usare: “effetti funesti” sono due parole, due sole, pesanti quanto macigni. Parole chiare. Chiarissime. Incontrovertibili. Arrivano come cazzotti alla figura di affaristi, banchieri, speculatori, Capi di Stato, primi ministri, ministri, reggicoda di primi ministri e ministri, parlamentari, alti burocrati. Rappresentano un atto di sfiducia verso l’intero sistema nazionale, verso sistemi nazionali che poi sono espressioni del potere finanziario. Rappresentano un atto umiliante per chi appunto lo riceve, ma, almeno in Italia, di facce di bronzo penuria mai v’è; anzi, se ne registra una raccapricciante abbondanza… Sulle “facce di bronzo” le sacrosante parole del Pontefice scorreranno come acqua… Si seguiterà a raccontare barzellette, a snocciolare “battute”, a tramare, a disquisire, a spaccare il capello in quattro, a giocare sul destino di milioni di famiglie ritrovatesi quasi di colpo nella morsa della precarietà, della disoccupazione; di un’alienazione al cui confronto quella letteraria e cinematografica degli Anni Sessanta pare uno “scampolo” di noia, di piccola, trascurabile, appunto episodica noia…
Il Vaticano non ci è simpatico. Non ci è mai stato simpatico. Già non ci piace per nulla la figura del sacerdote al quale è vietato prender moglie… Questo è malsano. E’ contro natura. Eppoi, sulle sfortune dell’Italia attraverso i secoli, i millenni ormai, la Santa Sede ha ben precise responsabilità. Ma Francesco ci è perlomeno vicino. “He strikes us as one of us”. Ne avvertiamo la sincerità, la pena, le afflizioni. Quest’uomo è un grand’uomo. Se ve lo dice un ateo “mangiapreti” nato e cresciuto in Toscana come me…
*Questo articolo viene pubblicato anche su Oggi7-America Oggi