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November 28, 2011
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L’INDRO/ I berlusconi d’America

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
in foto Dan Rather

in foto Dan Rather

Time: 6 mins read

Anche dopo aver lasciato Palazzo Chigi Silvio Berlusconi continua a rimanere il soggetto preferito nella discussione dei ‘mali italiani’ dalle colonne dei giornali USA sempre piú preoccupati del possibile crollo dell’euro. Nel ’New York Times’, la colonna di Frank Bruni, ex corrispondente dall’Italia e firma di punta per gli articoli di ‘culinaria’ del giornale – la sua permanenza tra le trattorie romane deve essere stata “ispiratrice” – proprio martedì tornava ad attaccare Berlusconi per il suo discorso di domenica in cui avvertiva l’Italia che non avrebbe lasciato il campo aperto “ai comunisti”

Come sempre, in questi commenti autorevoli, é sottinteso che é grazie ai suoi media e alla loro predominante ‘potenza di fuoco’ Berlusconi ha la possibilità di continuare ad ‘ipnotizzare’ gli italiani. Rispondo facendo notare ai colleghi dell’Universitá dove insegno che mi chiedono notizie sull’Italia ‘schiava’ dell’informazione berlusconiana, che i quattro maggiori e piú ‘autorevoli’ giornali a diffusione nazionale non sono di proprietá del tycoon Milanese: ti guardano come se gli avessi detto che la Terra é quadrata e gira attorno alla Luna.
 
Chi legge da qualche mese questa rubrica si sará accorto quanto sia personalmente avverso al conflitto d’interessi di Berlusconi, sicuramente un male per la democrazia. Al Lehman College della City University di New York, fino a pochi mesi fa, uno dei miei corsi era intitolato: ‘Media & Democracy: from Citizen Kane to Silvio Berlusconi’ (la seconda parte del titolo ora é cambiata in ‘from Citizen Kane to Wikileaks…’). Continuo a dedicare ampio spazio con i miei studenti all’ascesa politica del tycoon italiano, ma da qui l’influenza del potere mediatico di Berlusconi mi appare persino ‘esagerata’ per come viene descritta da parte dei media americani. In realtà è proprio negli USA che ’il conflitto di interessi’ tra la politica e il quarto potere dà segnali molto piú preoccupanti. La situazione qui è tanto più grave quanto più alto è il ruolo guida che la democrazia Americana e il suo ‘Primo Emendamento’ della sue costituzione hanno per il resto del mondo libero

La scorsa settima ero alla serata al Waldorf Astoria che l’autorevole Committee to Protect Journalists (CPJ) organizza ogni anno per premiare i coraggiosi giornalisti stranieri perseguitati nel mondo dai loro governi: tra i premiati a New York, c’era anche la bielorussa Natalya Radina che poi in una breve conversazione mi ha dichiarato come l’Italia, grazie a Berlusconi, sia stata il paese dell’Ue che piú ha dato appoggio al regime torturatore di Lukashenko. 

Ma in quella serata del CPJ si premiava anche con un riconoscimento speciale alla carriera il leggendario Dan Rather, per decenni anchorman di punta della CBS e che diventó un famoso reporter giá nella Guerra del VietNam. Nel 2006 fu costretto a lasciare il network tv dove aveva lavorato per oltre 40 anni per le polemiche successive ad un suo servizio d’inchiesta in cui, durante la campagna per le presidenziali del 2004, aveva messo in luce il servizio militare svolto dall’allora presidente George W. Bush. Per qualche presunta imprecisione in quell’inchiesta – della quale però non fu mai smentita il fatto che il Presidente si era ‘imboscato’ – il piú famoso degli anchorman americani perse il posto.

La scorsa settimana Dan Rather ha pronunciato un discorso in cui ha puntato il dito contro il ‘corporate money’ che sta distruggendo il sano giornalismo d’inchiesta americano: “C’era un tempo in cui il dovere professionale dei giornalisti era considerato patriottico e la libertá di stampa motivava e ispirava le redazioni. Lo so che é difficile crederlo, ma alle redazioni giornalistiche non veniva chiesto di stare attenti ai profitti. Le perdite venivano accettate perché le notizie facevano parte dell’interesse pubblico….” ha detto Rather in un sala che ospitava tra i piú famosi giornalisti d’America che ascoltavano praticamente pietrificati.

Invece ora “viviamo in un’era in cui i soldi controllano tutto. Incluse le notizie” ha continuato nel suo j’accuse Rather. “I contanti hanno comprato tanto silenzio e per troppo tempo. Da molto tempo il potere non piú controllato é riuscito a invischiare questo paese in vari conflitti d’estensione mondiale. Sappiamo tutti che ‘i soldi parlano’. Ma, anche la gente deve farlo…”

Rather nel suo discorso ha ripetuto piú volte come purtroppo tutti si sono abituati a questo stato delle cose, ’…And we’ve Gotten Used to It’, era infatti pure il titolo del suo intervento. Ma bisogna reagire, la gente deve farlo e soprattutto ai giornalisti tocca il dovere di farlo: “Dobbiamo superare il sistema. Ricordatevi che siete dei servitori pubblici e il vostro lavoro é quello di proteggere il pubblico da chi gli potrebbe arrecare del male. Anche se a farlo questo male sono proprio coloro che pagano il vostro salario”. (Per chi è interessato a tutto il bellissimo discorso)

Ma guardacaso il discorso di Rather non ha avuto la copertura che avrebbe meritato nemmeno dai grandi giornali Usa: magari il ‘tuttologo’ Bruni avrebbe potuto ragionarci su nella sua ‘colonna’ su quello detto nella serata, riflettendo sullo stato del giornalismo americano, anzichè ripetere quel che già sappiamo su Silvio Berlusconi (un pesce fin ’piccolo’ rispetto al potere di certi imprenditori americani).

Ecco un esempio di ‘pesce grande’, il sindaco della mia cittá, Michael Boomberg. Come, il primo cittadino di New York si é ’liberato’ del ’conflitto di interessi’ e da quando é a City Hall non si occupa del suo impero mediatico che, negli ultimi anni, é cresciuto enormemente: Ecco un bel servizio di ‘Newsweek-DailyBeast’ della scorsa settima, intitolato ’Bloomberg Plots World Domination’ 

Vi basterà leggere di come l’impero mediatico creato da Bloomberg – in cui, al di là delle cariche di facciata, lui ha sempre l’ultima parola – per capire come potrá continuare ad influenzare non solo Wall Street ma anche i nomi piú potenti della terra.

Il film ’Citizen Kane’, lo abbiamo ricordato qualche mese fa, raccontava la vita di William Hearst, il magnate dei media che nella prima metá del XX secolo tentó ma non riuscí a scalare il potere. Adesso Dan Rather ha nuovamente suonato l’allarme su come il potere del denaro stia deviando la funzione essenziale che il giornalismo dovrebbe avere nella democrazia piú potente della terra. Le conseguenze della fine del ‘Quarto potere’ nella democrazia americana sarebbero devastanti e non solo per gli Usa. Altro che continuare a scrivere di Berlusconi…

Una precedente versione di questo articolo è stata pubblicata sull’appzine L’INDRO ed è disponibile su www.lindro.it/

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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