QUEST’ESTATE, abbiamo deciso di trascorrere le nostre vacanze tra i bambini e i ragazzi che vivono nelle zone piu povere delle cittá di Nairobi e Nakuru. Nel visitare le scuole e le comunità di Kayole, Nakuru e Bahati, ci siamo imbattuti in volti intensi intrisi di speranze, che difficilmente si trasformeranno in realtà. Questi volti erano quelli di bambini, donne e uomini. Con amara consapevolezza, ci siamo resi conto che ogni loro sforzo ed energia sono consumati per la sopravvivenza quotidiana ed incredibilmente per un futuro che a molti di loro è ancora sconosciuto.
I volti profondi degli studenti delle scuole elementari e medie esprimevano curiosità che nel corso delle lezioni-incontri si trasformavano in domande specifiche di approfondimento sui problemi internazionali e sulle varie culture. Un desiderio vivace di sapere e di scoprire altri mondi dai luoghi ignorati o strumentalmente illustrati da altre civiltà.
Pensieri e messaggi che trascendono la nozione di carità, sostenuta, invece dalla volontà di farsi conoscere e di trasmettere valori che si evincono nel loro vivere quotidiano. Studenti muniti di uno spirito unico, devoto e conscio, pronti a crearsi uno spazio nella loro società attraverso lo studio. Ed è proprio lo studio l’unica forma di riscatto cui molti bambini ambiscono con grandi sacrifici, persino percorrendo dalle prime luci del giorno lunghi tragitti, ore di cammino per raggiungere le loro scuole.
Immergersi in questo mondo non è facile. Insieme a Valerie, la mia compagna, e Olivia, mia figlia, lo abbiamo fatto in modo graduale e in una forma di piena rispettabilità della loro cultura, iniziando subito a capire che i sogni, in questa parte di mondo, devono essere accompagnati da azioni concrete. Far seguire alle parole i fatti. Vivere insieme agli student e ai loro insegnanti, comunicare e scambiare idee, consegnare matite e penne nuove, farina, zucchero, riso ed altri alimenti per i pasti quotidiani. Gesti concreti per contribuire alla loro esistenza e fornire ulteriori stimoli per la loro crescita fisica e intellettuale.
Spesso noi occidentali facciamo conoscere, attraverso i mass media, una realtà ben diversa da quella che questi bambini e ragazzi vivono quotidianamente. Questa povertà ha anche le sue proprie energie. Essi sono consci della loro difficile condizione e, pur accettandola, la vivono mostrando grande volontà di su- perarla perché consapevoli che occorre munirsi di determinazione e di mezzi per cambiarla.
Lo sport come mezzo creativo/associativo – Ci siamo dunque immersi in questa realtà costruendo un dialogo graduale e positivo, sostenendo idee e attività già a loro conosciute. Ecco perché abbiamo pensato di avviare un programma creativo e formativo attraverso il gioco del calcio, presentando questa disciplina come un mezzo di supporto al sistema educativo, introducendo la nozione di movimento–azione individuale e collettiva, rafforzando il concetto dello spirito di gruppo. Tale idea è stata possibile metterla in pratica anche grazie al contributo e alla sensibilità dell’AIAC di Pesaro, che ha sponsorizzato il progetto con la donazione di diciotto divise e di palloni che sono serviti ad accrescere in modo significativo l’attenzione e l’entusiasmo degli studenti.
I ragazzi della scuola JM Kariuki del villaggio di Bahati (Nakuru), dove la povertà e le condizioni di vita sono ai limiti dell’esistenza, erano stimolati da questo gesto di solidarietà che pro- veniva da un mondo a loro estraneo ma che sembrava dire “sappiamo che esistete, vi conosciamo e non vi abbandoniamo”. Un messaggio semplice, ma concreto, che ha suscitato grande attenzione anche tra le scuole vicine e tra la comunità che è stata presente durante gli allenamenti e che è corsa in massa per assistere all’incontro dell’amicizia, disputato su un campo di terra battuta circondato da casupole che si prestavano a tribune naturali. Un evento questo che ha coinvolto la comunità intera, gli studenti delle scuole della zona e moltissimi bambini che incitavano la loro squadra, che finalmente indossava una divisa vera, quella “azzurra”.
E’ stato proprio così, il vivere nelle aule, la gente che parlava e mai mostrava insofferenza alla nostra presenza e giocare a calcio nelle stradine dei villaggi, con i sassi che sostituivano le porte. È’ stato anche attraverso gli incontri con le altre comunità locali, ai quali il nostro amico scrittore Koigi Wa Wamwere ci ha introdotto e presentato, che siamo riusciti ad arricchire la nostra conoscenza sulle diversità culturali. Questa nuova cognizione ci ha aiutato nel corso degli allenamenti ad interagire positivamente con gli studenti-calciatori. Infatti gli atleti hanno mostrato una concentrazione particolare durante le spiegazioni e l’introduzione di nuovi concetti, che trovano nella loro applicazione il modo di compiere azioni semplici e razionali.
Il criterio adottato è stato quello di creare movimenti appropriati dove i princìpi fondamentali del calcio vengono confermati, rafforzati e sviluppati. Inoltre ho integrato nozioni di carattere filosofico per non separare lo sport dallo studio, ma bensì unirli. Per esempio, lo sviluppo dei princìpi base si rilevano necessari perché creano i presupposti e giustificano l’applicazione coerente dell’azione. La mia osservazione legata a questa esperienza è di comprendere quali possibilità si possono fornire ad un calciatore-studente affinché possa divenire un agente creativo e razionale. L’obiettivo rimane quello di realizzare un gesto utile e costruttivo mirato allo sviluppo di crescita individuale e collettiva.
Per spiegare e mostrare tali princìpi nel corso delle fasi degli allenamenti sono stati vitali la disciplina e l’interesse degli studenti Kenioti pronti a recepire il nuovo. Princìpi che evitano “l’ordine e le regole prefisse”. Questo è un elemento importante nel dialogo con le altre culture fatte dininterazioni piuttosto che da regole già stabilite e perciò imposte.
Un altro elemento è stato il dialogo con gli insegnanti e gli altri membri della comunità che ci hanno fatto meglio comprendere le caratteristiche storiche e i pregiudizi che avevano negativamente interferito nelle loro vite. Quindi la mia famiglia (la mia compagna è un’insegnante di lunga esperienza e mia figlia Olivia è una studentessa empatica che ha effettivamente contribuito a creare un rapporto di fiducia con i bambini) ed io abbiamo imparato a comprendere dagli sguardi e dai silenzi degli studenti/esse che quest’ultimi/e desideravano raccontarci storie mai scritte.
Così il gioco è divenuto strumento didattico e mezzo per dialogare con le comunità a noi prima sconosciute. Abbiamo inoltre notato che lo spirito di competitività, spesso eccessivo, aveva tolto spazio alle individualità e all’importanza del lavoro di gruppo. Venti giorni intensi, particolari e diversi dove abbiamo notato una costante crescita nei rapporti con questo nuovo ambiente. Tale sviluppo ha trovato il culmine nel corso dell’incontro ufficiale di calcio che si è svolto tra la scuola JM Kariuki e Loreto Academy. Lo “stadio” segnato con il gesso era in mezzo al villaggio, i piccoli negozi erano le “tribune” e gli studenti e i membri della comunità accorrevano a sostenere le proprie squadre.
L’incontro si è svolto nel villaggio di Bahahi situato a nord di Subukia. Qui non ci siamo mai sentiti estranei. I bravi calciatori in erba hanno onorato la partita con il loro entusiasmo, la tecnica e l’agilità che li contraddistingue, muovendosi proprio come delle gazzelle, con un comportamento leale, civile e rispettoso verso gli avversari e la comunitá intera.
Bahati JM ha vinto 2-1; ”forse l’azzurro dell’Aiac di Pesaro ha dato uno stimolo particolare?”
In quella bella atmosfera, ove non vi è stato bisogno della presenza di alcun servizio d’ordine, la gente ha trovato un momento di contentezza, un attimo di felicità in mezzo ad una povertà estrema; lì, la comunità ha celebrato la vittoria dell’amicizia.