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May 19, 2011
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ANALISI/ Obama, la prudenza e il coraggio

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 3 mins read

Anche al Palazzo di Vetro dell’ONU c’era molta attesa per il discorso di Barack Obama sul Medio Oriente e la cosí chiamata "primavera araba" che il presidente Usa avrebbe pronunciato giovedí dal Dipartimento di Stato.

Tante le crisi che il capo della Casa Bianca avrebbe affrontato, ma due in particolare erano nel radar delle cancellerie mondiali: la Siria e il conflitto arabo-israeliano.

Per la prima, il consiglio di Sicurezza dell’ONU é da settimane "congelato", non é riuscito finora a votare nemmeno un documento di condanna e mostra che la nuova norma internazionale "della responsabilitá di proteggere" un popolo quando viene massacrato dal suo governo, vale fino a quando quel governo non é protetto da alcuna delle grandi potenze con il potere di veto. C’era chi sperava che Obama volesse forzare lo stallo e rompere il ghiaccio all’ONU,  ma invece le parole del suo discorso sulla Siria sono state, alla fine, piú prudenti del previsto. Perché se é vero che il presidente ha condannato le violenze del regime di Bashar al Assad sul suo popolo, non lo ha definitivamente scomunicato come invece aveva fatto precedenemente con Gheddafi, con il tunisino Ben Ali e l’egiziano Mubarak.  Perché se Obama sulla primavera araba ha detto tante belle frasi ad effetto sulla democrazia, come il diritto di scegliersi i propri leader e la necessitá, se veramente si vuole accelerare il progresso nel Medio Oriente,  che le donne partecipino attivamente ai cambiamenti nella società e nei governi,  per quanto riguarda il regime di Bashar al Assad, Obama non ha detto quello che in molti attendevano: "Ora basta, é ora che se ne vada!". 

Invece sembrerebbe che per la Casa Bianca il figlio di Assad potrebbe ancora mettersi a condurre le riforme democratiche… Dopo le fosse comuni e i video dei massacri visti su youtube? Questo potrebbe essere un errore di valutazione grave e un segnale di debolezza lanciato da Washington che praticamente rassicura soltanto quelle potenze (Russia, Cina) che finora hanno  frenato il Consiglio di Sicurezza, perché sono convinte che la caduta di Assad sarebbe una catastrofe per l’intero scacchiere Medio Orientale. Cioe’ per loro, la "primavera araba" in realtá starebbe diventando un inferno di instabilitá.

Invece il passaggio piú coraggioso del discorso di Obama é stato sul conflitto israelo-palestinese. Il presidente Usa ha praticamente detto ai palestinesi: non avrete mai il vostro stato se negate il diritto ad esistere di Israele. Cioé o Hamas cambia, o ve ne sbarazzate, oppure peggio per voi….
Ma anche agli israeliani ha intimato: lo status quo non e’ sostenibile… Per poi far esplodere la "bomba" nel suo discorso: "crediamo che l’accordo per i due stati dovrá essere basato sui confini del ’67, con alcuni reciproci scambi…" 

Che per raggiungere la pace Israele dovesse ritirarsi nei confini del ’67, é un concetto che sarà stato presente magari in tutte le precedenti sette amministrazioni americane, ma non era mai stato affermato in un discorso pubblico  come condizione necessaria al successo del processo di pace. 

Obama ha cosí rilanciato, alla vigilia del suo incontro con il premier Bibi Netanyahu, il processo di pace arabo israeliano ponendo gli Stati Uniti nella posizione piú equidistante dalle parti in conflitto mai avuta cosí negli ultimi quaranta anni. 

Quindi se sulla Siria Obama avrebbe potuto dire molto di piú, sulla soluzione al conflitto israelo palestinese, la Casa Bianca ha mostrato di possedere quel coraggio necessario a condurre i due popoli in conflitto per la stessa terra, verso il raggiungimento di una pace equa e durevole. 

Ora si attende la replica  che per prima toccherá al Premier israeliano Netanyhau, in visita a Washington.   

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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