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Cento giorni di Trump: il caos come strategia del potere

Indice di gradimento in caduta libera, istituzioni indebolite e tensioni internazionali

Massimo JausbyMassimo Jaus
Cento giorni di Trump: il caos come strategia del potere

Donald Trump/Ansa

Time: 3 mins read

Martedì 29 aprile sono stati esattamente 100 giorni che il presidente Trump si è insediato per il suo secondo mandato. Un giorno importante perché i primi tre mesi della presidenza sono generalmente considerati quelli sui quali si fonderà l’agenda della Casa Bianca per i prossimi anni.

Il presidente andrà  in Michigan per celebrare questo evento in un momento in cui l’opinione pubblica è profondamente disincantata dal suo operato per il caos da lui creato da quando è tornato alla Casa Bianca.

Un sondaggio del Pew Research Center, condotto pochi giorni fa, ha rilevato che il suo indice di gradimento è attualmente al 40%, mentre quello di disapprovazione è al 59%.

In un altro sondaggio pubblicato da Cnn, condotto da Ssrs  Trump ha il tasso di approvazione presidenziale più basso di qualsiasi presidente neoeletto negli ultimi 100 giorni, dai tempi di Dwight Eisenhower. I tassi di approvazione presidenziale per Trump sono scesi di 4 punti da marzo e sono 7 punti più bassi rispetto alla fine di febbraio. Secondo il sondaggio solo il 22% afferma di approvare fermamente la condotta di Trump, un nuovo minimo, mentre circa il 45% della popolazione la disapprova fortemente. Sempre oggi un altro sondaggio condotto dal Washington Post, dall’Abc News e dall’Ipsos, ha indicato che il presidente “si scontra con una crescente opposizione al suo ambizioso e controverso programma” e che il suo indice di gradimento è in calo.

La metà degli elettori intervistati ha detto di non condividere le politiche commerciali di Trump con gli altri paesi e il 61% ha affermato che un presidente non dovrebbe avere l’autorità di imporre dazi senza l’approvazione del Congresso. In un altro sondaggio, questo fatto dal New York Times, il 63% degli elettori che hanno votato – incluso il 40% dei repubblicani – ha affermato che “un presidente non dovrebbe poter espellere immigrati in possesso del visto di soggiorno solo perchè hanno preso parte alle proteste contro Israele”.

Non meno critica l’Associated Press che giovedì scorso ha messo in luce in un sondaggio che circa la metà degli intervistati afferma che le politiche commerciali di Trump faranno aumentare i prezzi e che sono “estremamente” o “molto” preoccupati per la possibilità che l’economia nei prossimi mesi vada in recessione.

Anche Fox News, stretta alleata di Trump, ha evidenziato che solo il 38% degli americani approva il suo operato per quanto riguarda l’economia, mentre il 56% lo disapprova. Ma quello che è più importante per Trump è che solo il 54%, dei repubblicani che hanno votato per lui ha affermato che si sta concentrando sulle “giuste priorità”, mentre il 46% sostiene che sia troppo sbilanciato con gli estremisti MAGA. E tra gli elettori indipendenti, che alle ultime elezioni, con il 34% dei votanti sono stati il maggior gruppo elettorale, contro il 33% dei repubblicani e il 32% dei democratici, solo il 9% ha detto che oggi rivoterebbe per Trump.

Subito dopo le elezioni il presidente aveva un indice di gradimento al 52%, ma da allora il consenso è costantemente diminuito. I sondaggi evidenziano che le cause della perdita di popolarità sono la sua gestione dell’economia, il rispetto dello stato di diritto, il caos creato dai licenziamenti che Musk sta conducendo nell’Amministrazione federale.

Finora Trump ha governato con una serie di azioni esecutive, molte delle quali sono state contestate in tribunale. Decreti presidenziali che hanno soddisfatto solo l’ala più intransigente del partito repubblicano. Un aggressivo assalto, quello lanciato dal presidente, per forzare il cambiamento e cercare di far decollare dalle sabbie mobili del Congresso la sua agenda.

Tutto da vedere se ci riuscirà. Finora, nonostante gli sterili mugugni dei democratici e qualche rimbrotto dai magistrati, c’è riuscito. E poi il presidente è maestro nel gioco d’anticipo. Quando le cose non vanno per il verso giusto trova sempre la scappatoia. Il colpo di teatro che fa risalire improvvisamente  le sue quotazioni. Ora, alla vigilia dei 100 giorni, con tutti i sondaggi che lo condannano, dal suo cappello di prestigiatore tira fuori la “riscoperta” di Cristoforo Colombo, oltraggiato, vilipeso e condannato dal “woke” della sinistra dem durante le proteste contro la brutalità della polizia. Una decisione che farà ribollire il sangue a chi lo odia, ma che di sicuro riceverà il plauso della comunità italiana d’America che già, in larga parte, lo sostiene.

La maggior parte dei presidenti impiega mesi o addirittura anni per varare alcune riforme e per farlo deve barcamenarsi al Congresso. Ma questa volta, con l’uso senza precedenti dei poteri esecutivi, ha già ridotto la forza lavoro federale, vietato i programmi di diversità, smantellato l’USAID, ha spinto gli alleati storici degli Stati Uniti a riflettere su come affrontare questa nuova realtà. Ha più volte ripetuto che vuole annettere il Canada e la Groenlandia, ha disdetto anche gli accordi commerciali con Messico e Canada che lui stesso, nel suo primo mandato, aveva siglato.

Un caos creato ad arte, destabilizzando regole e certezze, per mobilitare la sua base presentandosi come un outsider che combatte contro un “sistema corrotto”, e che dà forza alla sua narrativa di “noi contro di loro”. Un caos che ha indebolito le istituzioni, i media, i governi stranieri e perfino gli alleati che non riescono ad adattarsi rapidamente alla sua logica, perdendo terreno.

È convinto che con il caos può creare le pressioni per ottenere condizioni più favorevoli nei rapporti commerciali. E poi con il caos è riuscito a delegittimare la magistratura e il sistema giudiziario, e a rendere irrilevanti i procedimenti contro di lui.

I presidenti passano, gli Stati Uniti restano. Ma dopo la presidenza Trump non saranno più gli stessi.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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