Se ne vanno, alcuni sbattendo la porta. I legislatori stanno fuggendo dal Congresso a un ritmo record, con 7 senatori e 31 congressmen che hanno annunciato questo mese che non cercheranno la rielezione – il numero più alto in più di un decennio – alle prossime consultazioni elettorali.
I veleni, gli insulti, l’immobilismo, le vendette, la delusione degli elettori che li hanno votati che in alcuni casi si è trasformata in rabbia, ha fatto maturare la loro decisione di lasciare il Congresso.
Incapaci di portare avanti le grandi riforme che il Paese a gran voce richiede, e che hanno promesso all’elettorato quando si sono candidati, come una legge federale sul controllo delle armi, o la protezione dei diritti di scelta delle donne per la maternità, frustrati dalla forza conquistata dalle minoranze che bloccano la maggioranza centrista a legiferare, molti se ne vanno con l’amaro in bocca. Washington è cambiata. La politica della mediazione viene scambiata per debolezza. Vige la regola del tutto o del niente. Il poco, costruito insieme in modo bipartisan, viene aspramente criticato dalla minoranza furiosa.
Ma non solo. Gli elettori vogliono un cambio generazionale: la 118ma legislatura ha il Senato più anziano della storia e il 79% degli americani ora sostiene i limiti di età per i parlamentari. Così è stato, almeno ufficialmente, per la parlamentare repubblicana del Texas Kay Granger che ha deciso di non ricandidarsi “perché il Paese ha bisogno di politici che siano in contatto con i cambiamenti sociali e culturali degli Stati Uniti” ha detto dando l’annuncio. Anche se quello detto è una scusa perchè in realtà sono i parlamentari legati a Trump, all’interno del suo partito, che l’hanno messa alla porta. Così come hanno fatto con un altro parlamentare repubblicano Ken Buck. Entrambi hanno votato contro la nomina di Jim Jordan come speaker della Camera ed entrambi hanno deciso di non ricandidarsi dopo che nei loro distretti sono stati presentati candidati alternativi che li hanno sfidati alle primarie del partito.
Al senatore democratico della West Virginia Joe Manchin è costato caro il suo atteggiamento di sfida. A forza di fare il bastian contrario delle proposte presentate dalla Casa Bianca e dalla maggioranza dei suoi colleghi, in nome di un inesistente centrismo in un parlamento polarizzato, è mal tollerato sia dai democratici che dai repubblicani. Non si ricandida perché il partito democratico dopo i suoi teatrini con cui ha affossato la riforma elettorale (For the People Act) e la successiva proposta di Biden per il rilancio dell’economia dopo il Covid (Build Back Better) non lo aiuta con i fondi elettorali e perché i repubblicani hanno presentato contro di lui un candidato molto popolare, l’ex governatore Jim Justice. Abbandonato dal partito, minaccia di sfidare Biden alle presidenziali, ma non ha i fondi per lanciare la sua candidatura. Cosa che invece tenta il parlamentare democratico del Minnesota Dean Phillips, che ha lasciato il suo seggio per puntare alla Casa Bianca. Ha lanciato la sua sfida a Joe Biden alle primarie del partito per le presidenziali del prossimo anno.
George Santos, il parlamentare repubblicano di Long Island, invece, molto probabilmente nei prossimi giorni verrà espulso dopo che la Commissione Etica della Camera ha stabilito che ci sono prove sostanziali sulla violazione delle leggi federali da parte sua. E’ a piede libero in attesa del processo federale in cui è stato imputato di 23 reati, incluso il riciclaggio e la truffa.
Non lascia il suo seggio, invece, il novantenne senatore repubblicano dell’Iowa Chuck Grassley che continua a sostenere che nei momenti difficili come quelli che gli Stati Uniti stanno attraversando “c’è bisogno di mani esperte per tenere ben saldo il timone del Paese”.
“I parlamentari che hanno dubbi sulla loro riconferma se ne vanno lasciando lo spazio ai loro avversari politici”, sostiene amaramente Jack Pandol, portavoce del Comitato congressuale nazionale repubblicano.
“Non c’è da meravigliarsi che i repubblicani stiano scappando dal Congresso, specie dalla Camera dato il caos e le lotte intestine all’interno del loro partito”, ha detto Viet Shelton, portavoce del Democratic Congressional Campaign Committee.
“Il movimento MAGA, quello dell’ex presidente Trump, sta facendo terra bruciata intorno a tutti i moderati del partito Repubblicano – afferma l’ex congressman del Gop Adam Kinzinger – e il risultato è che sta vincendo un ottuso estremismo che blocca ogni mediazione politica”.
Il parlamentare che insieme alla collega repubblicana Liz Cheney ha fatto parte della Commissione della Camera che ha indagato sul tentativo insurrezionale del 6 gennaio e che ha votato peer l’impeachment di Trump, non si è ricandidato perché il partito repubblicano del suo stato, l’Illinois, ha ridisegnato la mappa dei seggi elettorali tagliandolo fuori da ogni possibilità di successo. E’ amaro con il suo partito e con l’ex presidente e ritiene che l’ingovernabilità creata da Trump non sia un fattore spontaneo.
“Alcuni parlamentari se ne vanno perché hanno cambiato idea sulla loro capacità di poter legiferare efficacemente, altri per esigenze familiari, e altri ancora sono semplicemente stanchi del continuo braccio di ferro che alla fine danneggia solo il Paese”, ha proseguito Kinzinger che ha parlato di altri fattori di dissuasione politica come “l’ambiente nazionale” la “Nazione divisa. Partigianeria amara. Performance politica. E soprattutto nessun desiderio di governare, ma solo alimentare il caos. Un punto di vista questo condiviso dal senatore repubblicano dello Utah Mitt Romney che ha anche lui annunciato che non si ricandiderà.
Al Senato dei 7 seggi che si renderanno liberi nel 2025 cinque sono democratici e due repubblicani. Alla Camera invece i democratici che lasciano sono 18 e i repubblicani 13. Abbastanza da mettere a rischio i precari equilibri delle due maggioranze.