Sono volati insulti e recriminazioni alla riunione dei repubblicani della Camera di questa mattina dopo che James Jordan aveva prima ritirato la candidatura per la carica di speaker della Camera. Poi, nel pomeriggio ci ha ripensato ed è tornato alla carica ricandidandosi per un terzo voto, nascondendo la debacle del giorno precedente. In mattinata aveva detto che la seconda bocciatura lo aveva costretto a sospendere la sua candidatura e a sostenere la nomina temporanea di Patrick McHenry, l’attuale speaker interinale, mentre lui nei prossimi mesi avrebbe preparato la strategia per tentare una nuova scalata alla leadership repubblicana. Ma nel pomeriggio, dopo la tumultuosa riunione con i suoi compagni di partito ci ha ripensato ed è tornato alla carica. Non si sa per ora quando ci sarà il voto.
Alcuni suoi compagni di partito la pensano diversamente. “È un bullo”, ha detto la deputata dell’Iowa Mariannette Miller-Meeks, che ha votato contro Jordan al secondo scrutinio e ha detto di aver ricevuto “minacce di morte credibili e una raffica di chiamate minacciose”.
Con lei il parlamentare del Nebraska Don Bacon ha detto che lui e la sua famiglia hanno ricevuto minacce. “Anche mia moglie ha ricevuto messaggi e telefonate anonime per costringerla a convincermi a cambiare il mio voto “, ha detto.
Così come il parlamentare della Florida Carlos Gimenez, che ha detto ad ABC News che il suo ufficio e il suo staff hanno ricevuto numerose telefonate perché sostenesse Jordan.
Il deputato Drew Ferguson, della Georgia ha votato contro Jordan e ha detto che lui e la sua famiglia hanno ricevuto minacce di morte.

Una campagna intimidatoria orchestrata dall’ex consigliere di Trump alla Casa Bianca, Steve Bannon all’inizio di questa settimana che ha esortato i suoi sostenitori a fare pressione sui parlamentari repubblicani affinché si allineassero e sostenessero Jordan. “Chiamali ed entra nella loro rete. Fagli sapere cosa pensi… Invia e-mail, chiama il loro ufficio locale, fagli sentire il tuo peso”, ha detto Bannon nel suo podcast mandato in onda mercoledì, prima del secondo voto per Jordan. Dopo che Jordan ha perso le due votazioni, il terzo voto fissato per oggi è stato annullato. I parlamentari repubblicani si sono riuniti per decidere cosa fare con il combattivo alleato di Donald Trump che con i suoi alleati di estrema destra al suo fianco, minaccia di bocciare tutti gli altri candidati.
Nello statuto della Camera è stato istituito dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 la figura dello “speaker ad interim”, nel caso che lo speaker della Camera fosse stato impossibilitato a svolgere le sue mansioni. Lo “speaker ad interim” può solo gestire le elezioni per la nomina dello speaker. Per dargli la possibilità di svolgere le funzioni di speaker c’è bisogno di un voto di maggioranza per cambiare la regola e per ora il voto di maggioranza non c’è.
McHenry ha respinto finora le richieste dei suoi compagni di partito per assumere l’incarico temporaneo dopo che Kevin McCarthy è stato sfiduciato più di due settimane fa. “Non voglio poteri aggiuntivi”, ha detto McHenry, un parlamentare apprezzato dai suoi colleghi e considerato un legislatore altamente competente. “Il mio compito, come afferma lo statuto della Camera, è far eleggere il prossimo speaker”. Ma i parlamentari di estrema destra, compresi alcuni che hanno estromesso McCarthy, non piace l’idea definita “asinina”, dal deputato del Texas Chip Roy, uno dei leader del House Freedom Caucus.
I democratici sono favorevoli a trovare un accordo, ma i repubblicani non vogliono l’appoggio bipartisan per la scelta dello speaker anche se non hanno i voti per nominarne uno da soli.
Cosa succederà ora non è chiaro. Alcuni prevedono che la Camera potrebbe rimanere sostanzialmente ferma fino al 17 novembre il giorno in cui scade il provvedimento temporaneo che era stato raggiunto da McCarthy con la Casa Bianca per evitare lo stop automatico alle spese federali. E per questo accordo lo speaker è stato silurato dal suo stesso partito – o meglio dall’ala più estrema, legata a Trump. Se il Congresso non approverà i finanziamenti si rischierà la chiusura del governo federale.

“Penso che il 17 novembre sia una data che riporterà i parlamentari con i piedi per terra”, ha detto il deputato Kevin Hern, che guida il maggiore caucus del partito.
Con la Camera di fatto chiusa da 16 giorni il Senato discute sulle due maggiori questioni del momento: gli aiuti all’Ucraina e Israele e mantenere aperto il governo senza tagli al Pentagono, mentre la Casa Bianca prepara la richiesta al Congresso di 100 miliardi di dollari, di aiuti per la sicurezza nazionale.
Come ultimo atto prima di essere estromesso, il deputato Kevin McCarthy ha costretto il Senato ad approvare un disegno di legge di spesa senza aiuti all’Ucraina imposto dai sostenitori di Trump alla Camera. Ma con la scadenza del 17 novembre e senza uno speaker il prossimo confronto sui finanziamenti federali è politicamente diverso perchè McConnell vuole un generoso pacchetto di aiuti per Ucraina e Israele ed è in armonia con il leader della maggioranza al Senato Chuck Schumer per questi finanziamenti. Il leader della minoranza al Senato deve affrontare l’opposizione interna, ma al momento la sua posizione anti-shutdown e filo-ucraina dà almeno ai leader democratici un repubblicano con cui parlare.
“È l’unico negoziatore del GOP – ha detto di McConnell il suo collega democratico del Vermont Peter Welch – perché alla Camera più a lungo lottano per trovare uno speaker, più si dimostrano inaffidabili per confrontarsi con i problemi reali del Paese”.