Bernardo Arévalo, il candidato-paladino della lotta contro la corruzione, ha stravinto il ballottaggio presidenziale tenutosi domenica in Guatemala, battendo la sfidante Sandra Torres con un margine di 58% a 37%.
La vittoria del candidato social-democratico 64enne, figlio del primo presidente democraticamente eletto del Paese centroamericano (Juan José Arévalo, in carica dal 1945 al 1951), potrebbe segnare un epocale momento di svolta per il Guatemala, che è alle prese con una cruenta ondata di violenza e una cronica crisi economica. Non a caso la nazione è prima nel Centroamerica quanto a numero di migranti (regolari e non) che ogni anno – in decine di migliaia – cercano di migrare negli Stati Uniti, formando il famigerato “Triangolo del Nord” insieme ai vicini Honduras ed El Salvador.
Fino a pochi mesi fa, il successo elettorale di Arevalo sembrava però tutt’altro che prevedibile. L’ex diplomatico è infatti emerso inaspettatamente dall’oscurità politica per costruire un ampio movimento anti-corruzione con il suo partito Semilla (lett. “Seme”), sbalordendo tutti al primo turno di giugno con un 15,58% che gli ha permesso di accedere al ballottaggio con il secondo miglior risultato.
Paradossalmente, a dargli una mano potrebbe essere stato lo stesso establishment che Arévalo si è proposto di defenestrare. Negli scorsi mesi, infatti, la magistratura di Città del Guatemala ha deciso di escludere numerosi candidati dell’opposizione dalla contesa elettorale per i più svariati motivi – facendo involontariamente confluire molti di quei voti proprio verso Arévalo e il suo partito anti-élite. Una doccia fredda anche per la rivale e favorita della vigilia Sandra Torres – ex first lady del presidente Álvaro Colom (in carica dal 2008 al 2012) e candidata dell’altro partito di centro-sinistra dell’Unità Nazionale della Speranza.

La vittoria di Arevalo sembra a tutti gli effetti un ripudio dei partiti politici tradizionali del Guatemala, e delle loro ramificazioni nella burocrazia. Il presidente-eletto ha di fatto reso la lotta alla corruzione il suo cavallo di battaglia, richiamando l’attenzione su come la fragile democrazia guatemalteca – ripetutamente defraudata da scandali politici – sia passata dall’essere pioniera della lotta al malaffare al soffocare legalità e pluralismo cacciando dal Paese giudici, procuratori e giornalisti onesti.
“Questa vittoria appartiene al popolo del Guatemala e ora, uniti come popolo guatemalteco, lotteremo contro la corruzione”, le prime parole del neo-presidente post-vittoria. Il 64enne, che giurerà ufficialmente il prossimo 14 gennaio, ha ripromesso di “epurare le istituzioni cooptate dai corrotti” e di far tornare in Guatemala tutti i cittadini a cui sta a cuore la “lotta per la giustizia”.
In politica estera, Arévalo ha dichiarato di voler espandere le relazioni con la Cina pur rimanendo alleato di Taiwan (il Guatemala è infatti uno dei 12 Paesi che riconosce Taipei come Stato sovrano) nonché degli Stati Uniti, affermandosi come leader di quella sinistra moderata che mal sopporta il socialismo radicale di molti corregionali.
Tra i primi a congratularsi con il vincitore è stato il presidente uscente Alejandro Giammattei, che su X (ex Twitter) lo ha pubblicamente invitato ad avviare una “transizione ordinata”.
Eppure, nonostante la vittoria, la battaglia potrebbe essere solo all’inizio. Rafael Curruchiche, pubblico ministero che figura nella lista di “funzionari corrotti” redatta dal Governo USA, ha annunciato che in arrivo potrebbero esserci la sospensione del partito e diversi mandati d’arresto per alcuni dei suoi membri, alla luce di presunte irregolarità nel processo di raccolta delle firme per la formazione del partito.
Il magistrato ci aveva già provato, infruttuosamente, dopo l’inaspettato exploit di Arevalo al primo turno. I prossimi giorni saranno perciò decisivi per capire se a prevalere sarà il terrore esistenziale dell’ancien régime oppure l’esigenza di ridare fiducia e speranza a un Paese in crisi.