La tragica fine di George Floyd, l’afroamericano ucciso dalla polizia a Minneapolis quasi tre anni fa, è stata la conseguenza dell’uso sistematico della forza eccessiva e del razzismo del locale dipartimento della polizia. Lo ha stabilito il Dipartimento della Giustizia in una indagine durata due anni.
L’Attorney General Merrick Garland si è recato questa mattina a Minneapolis per dare l’annuncio. Il rapporto finale delle indagini, in tutto 89 pagine, è molto critico con il dipartimento di polizia di Minneapolis affermando che metteva a rischio inutilmente sia gli agenti che gli abitanti della città ignorando i ripetuti avvertimenti sul comportamento violento e irrispettoso di molti poliziotti, peraltro denunciati per le loro azioni ma mai perseguiti dagli alti gradi della polizia.
“Come ho detto stamattina alla famiglia di George Floyd, la sua morte ha avuto un impatto enorme sulla comunità di Minneapolis, sul nostro Paese e sul mondo. La sua perdita è ancora profondamente sentita dai suoi familiari ed è stata un tragico allarme sulle ingiustizie sociali nel nostro Paese. George Floyd dovrebbe essere vivo oggi”, ha detto Garland.
“Abbiamo osservato molti agenti di Minneapolis che hanno svolto il loro difficile lavoro con professionalità, coraggio e rispetto – ha continuato il ministro – Ma ci sono stati anche problemi ripetuti in serie per anni, segnalati dalla comunità molto prima dell’uccisione di George Floyd. Problemi che sono stati ignorati e per i quali non sono state svolte le indagini. Abbiamo anche scoperto che gli agenti della polizia di Minneapolis ignoravano abitualmente la sicurezza delle persone in loro in custodia”.
In vividi dettagli Garland ha descritto alcuni dei comportamenti inquietanti scoperto dagli inquirenti.

Nel 2017 un agente di Minneapolis “ha sparato e ucciso una donna disarmata che, secondo lui, lo aveva” spaventato “quando si era avvicinata alla sua macchina della polizia”, ha detto Garland. “La donna aveva chiamato i servizi di emergenza sanitaria per denunciare una possibile violenza sessuale in una casa vicina”, ha detto Garland.
“I dati hanno mostrato, ad esempio, che gli agenti di Minneapolis hanno fermato i neri e i nativi americani quasi sei volte più spesso dei bianchi in situazioni che non hanno portato all’arresto o a contravvenzioni”, ha detto Garland.
“Molto spesso gli agenti denunciati per condotta o commenti razzisti non sono stati indagati fino a quando non c’è stata una protesta pubblica”, ha aggiunto il ministro.
Nello specifico, il rapporto critica la polizia di Minneapolis per l’uso di “tattiche e armi pericolose” – tra cui la presa per il collo e l’uso dei taser – contro persone che erano sospettate di reati minori o di nessun reato. Ma non solo. Quanti si lamentavano della brutalità della polizia venivano a loro volta puniti con false accuse da parte degli agenti, con multe per violazioni che non avevano fatto, con perquisizioni nelle case e negli appartamenti. Inoltre gli agenti pattugliavano i quartieri della città in modo diverso in base alla loro composizione razziale; e discriminavano con le persone che aveva disabilità sia fisiche che comportamentali.
Il rapporto ha definito il controllo sugli agenti “fondamentalmente imperfetto”, con le indagini interne sulla loro cattiva condotta “che si perdono in un labirinto opaco” di falsi impedimenti avanzati dagli alti gradi del corpo di polizia per insabbiare le inchieste interne senza svolgere le indagini o per minimizzare le accuse.
“La nostra indagine – c’è scritto nel rapporto – ha rilevato che i problemi sistemici del dipartimento della polizia di Minneapolis, la mancanza di controlli e la violenza degli agenti, hanno reso possibile ciò che è accaduto a George Floyd”.
Le indagini federali fanno eco alle ripetute affermazioni fatte dai residenti nel corso degli anni sulle forze di polizia di Minneapolis, e sono anche simili per molti versi a un’indagine statale che ha concluso l’anno scorso che il dipartimento era pieno di comportamenti inutilmente aggressivi e della mancanza di supervisione sugli agenti.

Il rapporto porta con sé l’imprimatur del Dipartimento di Giustizia e quanto prima ci sarà un’ordinanza del tribunale federale che imporrà le modifiche. Un passo significativo in una città dove ci sono state a lungo tensioni tra le forze di polizia e i residenti locali, in particolare i neri nel nord di Minneapolis, che hanno ripetutamente protestato per la brutalità della polizia.
L’indagine di Minneapolis ha richiesto più di due anni per essere completata, poiché gli investigatori federali hanno esaminato migliaia di documenti interni e migliaia di ore di riprese fatte con le telecamere messe nei giubbotti antiproiettile degli agenti, esaminato documenti disciplinari, condotto visite alle strutture e intervistato agenti, residenti, leader della comunità e funzionari locali.
In un altro rapporto, condotto dal dipartimento per i diritti umani di Minneapolis lo scorso anno, è stato messo in evidenza il razzismo degli agenti tollerato dai responsabili della polizia che non hanno mai tentato di cambiare la mentalità e il comportamento degli agenti che loro avrebbero dovuto supervisionare.
L’anno scorso il sindaco di Minneapolis ha scelto come nuovo capo della polizia Brian O’Hara, un esperto di management delle forze dell’ordine che è stato vice sindaco di Newark. A Minneapolis, O’Hara si è impegnato ad aiutare a trasformare il suo travagliato dipartimento di polizia ea ripristinare la fiducia del pubblico.