Nitido il ricordo: quella mattina c’è la neve, spettacolo raro per Roma. Non sono di turno al TG2. Si prospetta una bellissima giornata: nulla da fare, in pigiama tutto il giorno, senza fare la barba, leggere, vedere in TV un vecchio film di Totò, addormentarsi…
Squilla il telefono. “Che fai?”. La voce è nota: Marco Pannella. “Niente”, rispondo. “Oggi non lavoro”. “Perfetto”, fa lui. “Vieni, che ti invito a cena…”. Ottimo. So che da qualche giorno Pannella ha intrapreso uno sciopero della fame: allegria sorseggiare un cappuccino in sua compagnia.
L’appuntamento è nel tardo pomeriggio, alla sede del Partito Radicale. Quando arrivo, attorno al “suo” tavolo c’è già schierato tutto lo stato maggiore dell’epoca. Pannella accende il suo sigaro, poi annuncia di aver chiesto udienza sia al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, sia al segretario del Partito Democratico di Sinistra che allora era Pierluigi Bersani. “Berlusconi ha già risposto, ci dobbiamo vedere stasera a casa sua”. Pausa. “Per questo ho deciso che viene Rita (Bernardini, ndr.) per via del suo impegno sulle carceri e i detenuti; Maria Antonietta (Farina Coscioni, ndr.) per il suo impegno sui temi legati alla libertà di ricerca e i disabili gravi”. Poi mi fissa: “Vieni anche tu…”. Io? “Sì, andremo noi quattro”, guarda l’orologio. “Ci aspetta fra un quarto d’ora”.

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Non ho mai capito il senso di quella scelta, né in seguito l’ho chiesto. Pannella sapeva perfettamente che del dire e del fare di Berlusconi e del suo partito nulla condividevo; per questo l’ha fatto, per una sorta di contrappasso? Oppure perché ho appena pubblicato un libro su di lui, e oltre alla copia da dare a Berlusconi vuole “esibire” anche il suo autore?
Fatto è che in piccolo corteo ci si avvia a piedi da Largo Argentina a palazzo Grazioli, dove Berlusconi vive quando soggiorna a Roma. “Potevi dirmelo, Marco”, bofonchio. “Mi sarei messo la cravatta”. Non c’è problema: da una sacca che porta a tracolla ne estrae una delle sue, quelle sgargianti e multicolori di cui va fiero, che dice di comperare in vai a sapere quale negozio di Parigi. La indosso senza fiatare, mentre si procede a passo di carica verso la residenza di Berlusconi. A me quelle cravatte di Pannella non sono mai piaciute, qualcosa da circo; anche questo, mi fa pagare.
Ecco che siamo nel santa sanctorum del leader di Forza Italia. Ci accoglie Angelino Alfano, che ancora non ha rotto con Berlusconi. “Il presidente ritarderà di qualche minuto, è appena finito il consiglio dei ministri e ora si intrattiene con dei giornalisti”. Offre dei torroncini. Un cameriere serve qualcosa da bere. Un’anticamera di una decina di minuti ed ecco che arrivano Berlusconi e il fidato Gianni Letta.
È allegro Berlusconi, grandi pacche sulle spalle di Pannella che lo sovrasta, sembrano l’articolo “il”, ci si siede per quella che nonostante tutto è una cena. Il tavolo è rettangolare: da una parte Alfano, Berlusconi, Letta. Di fronte Bernardini, Pannella, Farina Coscioni, io. Di fronte ho Letta, persona che si rivela squisita. Si ricorda di certi miei articoli pubblicati anni prima su Il Tempo, quando ne era il direttore. “Li pubblicavo proprio perché erano l’opposto della linea del giornale”, dice sorridendo.

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Vengono serviti dei tagliolini; con un certo orrore sul velo di parmigiano stende una punta di peperoncino piccante… Seguono scaloppine. Insomma una cena così. Del resto Berlusconi reca ancora in viso, vistosi, i segni di quel lancio della riproduzione del Duomo di Milano che gli ha scagliato un esagitato contestatore. Confessa di masticare a fatica, nonostante sia passato qualche mese dal fattaccio. Mentre noi si lavora di mandibola Pannella, che pure ha sospeso il digiuno, torrentizio, espone le sue ragioni: referendum, raccolta di firme, spazi di informazione…
Berlusconi prova un paio di volte a interromperlo, con un paio di barzellette del suo repertorio. Pannella neppure gliele fa finire, e prosegue con il suo cahier de doléances. Berlusconi a questo punto si arrende. A metà cena si alza e si infila in una stanza vicina. Torna con quattro pacchetti: per le ragazze confezioni di foulard, per noi tre cravatte a testa, il tutto “firmato” dal napoletano Marinella. L’offensiva pannelliana prosegue, martella implacabile, alla fine per sfinimento, strappa a Berlusconi la promessa che si farà quello che lui chiede.
È mezzanotte circa, quando lasciamo la residenza di Palazzo Grazioli. Pannella a parte, e qualche risposta di Berlusconi, noi siamo stati testimoni muti di questa tutto sommato amichevole contesa. Per strada, Pannella estrae il telefono cellulare e compone un numero, quello della Radio Radicale. Dall’assonnato redattore di turno si fa dare la “linea” e meticoloso racconta punto per punto la serata. Il giorno dopo il resoconto finisce alle agenzie e da lì sui giornali.

Quando arrivo in redazione, da parte di molti colleghi del “politico” occhiate strane. Alla fine uno prende coraggio e chiede: “Allora, com’è la casa di Berlusconi?”. Perché me lo chiedi? “Sei stato a cena da lui, no?”. Solo allora mi rendo conto che le agenzie hanno riferito il resoconto pannelliano e citato i presenti. All’epoca Berlusconi era un potente riverito, sono l’oggetto dell’invidia di molti che avrebbero pagato più di qualcosa, per accedere alla sua “corte”.
Che vado a spiegare a questi qui, dei tagliolini parmigiano e peperoncino un poco scotti, delle scaloppine fredde, delle barzellette troncate a metà? Mi mantengo sul vago e questo fa credere che sia depositario di chissà quale ordito. Poi, come è giusto che sia, tutto torna nei binari della “normalità”: non ho fatto mistero che dal dire e dal fare di Berlusconi ero stellarmente lontano, e che quella era una cena tutt’altro che “elegante”. C’è chi si rassicura: non sono stato e continuerò a non essere un “rivale” da cui guardarsi, per i magheggi nel mondo berlusconiano.
Ah! Le cravatte: fanno polvere da anni in qualche cassetto, ancora nella loro originaria confezione. Magari un giorno le metterò all’asta come memorabilia…