L’attesa continua. L’ufficio del procuratore distrettuale di Manhattan Alvin Bragg ha “cancellato” la riunione del gran giurì che doveva svolgersi oggi e l’ha convocata per domani. Molto probabilmente si tratta di un rinvio strategico per dare modo agli avvocati della difesa di Donald Trump di organizzare gli spostamenti dell’ex presidente dalla Florida a New York per costituirsi ed evitare che venga spiccato il mandato di cattura dalla procura distrettuale di Manhattan.
Per ora c’è solo la tensione dell’attesa con i canali televisivi all-news che 24 ore al giorno chiamano esperti di tutti i generi per analizzare le vicende giudiziarie e politiche di Donald Trump. Professori di diritto costituzionale di prestigiose università, avvocati difensori di grido, politologi e sociologi si alternano sugli schermi per dare i loro pareri e fare le loro previsioni trasformando una vicenda giudiziaria in un evento sociale.
È un fenomeno tutto americano magicamente catturato da Sydney Lumet nel film “Twelve Angry Men”: l’attesa per il verdetto, la camera di consiglio, i giurati e le loro interpretazioni sui crimini per cui sono chiamati a decidere. Un dramma che eviscera la complessità della giustizia umana, le scelte etiche degli individui, mentre fuori dal tribunale la gente nervosamente attende la decisione. Un film che rende l’idea come una sola persona possa cambiare una decisione data per scontata. Nel film la giuria era quella che doveva emettere un verdetto per un omicidio e la sentenza doveva essere unanime.
A New York il dramma si snoda con i 27 giurati chiamati a decidere se gli inquirenti hanno prove sufficienti per rinviare a giudizio Donald Trump. In questo caso la decisione è a maggioranza semplice. E la tensione emotiva sale alle stelle dato il ruolo dell’indagato poiché la decisione dei giurati inevitabilmente si aggroviglia con la politica e rischia di mettere in secondo piano le accuse per le quali Trump è chiamato a rispondere.

Gran parte dell’America è incollata davanti alla tv aspettando che la giuria emetta la decisione. Gli ingredienti per rendere questa vicenda appetitosa ci sono tutti: un discusso miliardario americano prestato alla politica che è riuscito a trasformare un partito, una pornoattrice che rivela una relazione sentimentale con lui mentre la moglie era incinta, un giro di soldi sborsati in nero da un’azienda già condannata per la poco cristallina gestione. Pagamenti fatti dall’avvocato di Trump che, abbandonato dall’ex presidente, è finito in prigione ed è stato radiato dall’ordine degli avvocati e che ora vuole la sua vendetta. La trama è semplice e ammalia l’America.
New York si è preparata in caso ci siano dimostrazioni, ma finora l’unico traffico è quello delle troupe televisive che hanno messo le telecamere davanti l’ingresso del tribunale che è stato transennato. Gli agenti hanno piazzato i furgoni della polizia nei punti strategici vicino alla Corte Suprema di New York. Ci sono anche molti camion carichi di altre transenne, mentre gli agenti in tuta antisommossa sono “parcheggiati” nel palazzo della sede della polizia che è a cento metri di distanza dai tribunali e dalla procura Distrettuale.
I maggiori quotidiani degli Stati Uniti, New York Times, Washington Post e Los Angeles Times, analizzano con differenti chiavi di lettura i tentativi di alcuni parlamentari strettamente legati all’ex presidente di trasformare questa vicenda giudiziaria in una accusa politica. “Il sordido attacco di Jordan” scrive il Washington Post non cambierà il corso della giustizia. Un’accusa al parlamentare diventato capo della Commissione Giustizia della Camera che vuole aprire un’inchiesta sul District Attorney di Manhattan. “Non fatevi ingannare le accuse a Donald Trump sono vere” – scrive il New York Times in una opinione di due professori di legge uno dei quali ha preso parte alle indagini sul Russiagate con il procuratore speciale Robert Muller. Le accuse dei repubblicani sono un tentativo di gettare a mare il corso della legge scrive in un editoriale il Los Angeles Times, accusando il partito dell’ex presidente di voler nascondere le attività criminali dell’ex inquilino della Casa Bianca.
Trump scalpita, lancia nuovi messaggi, sprona i suoi a scendere in piazza, ma le masse che lui vorrebbe che manifestassero per difenderlo fino ad ora non si sono presentate. La fine che hanno fatto i suoi sostenitori dopo l’assalto al Congresso è un deterrente più forte del suo appello e per ora le strade sono deserte. L’attesa continua.